Fonte: Il Fatto Quotidiano Economia & Lobby - 21 Giugno 2020 Loretta Napoleoni
Impossibile capire bene cosa stia succedendo all’economia mondiale in relazione alla crisi del Covid
e alle politiche messe in atto per arginare il contagio. Altrettanto
difficile è estrarre la verità scientifica dalla pandemia, le teorie
sono tante – alcune decisamente imbevute di dietrologia – ma i fatti scarseggiano.
Che succede? Ma soprattutto cosa succederà? Una bussola economica che nei momenti di grande crisi raramente sbaglia è il prezzo dell’oro. E allora proviamo ad affidarci a questa per capire dove ci troviamo e dove stiamo andando.
Per
renderci conto del valore politico del metallo giallo facciamo un
piccolo passo indietro nella storia e torniamo agli anni ‘70. Dopo la
tragica dichiarazione di Richard Nixon, che poneva fine
alla convertibilità del dollaro in oro, si pensò che l’oro fosse
destinato solo all’industria dei gioielli, ma non fu così. Quando subito
dopo lo shock petrolifero della metà degli anni 70
l’inflazione iniziò a galoppare, per difendersi dall’erosione del valore
delle monete cartacee gli investitori comprarono oro, confermando che
non c’è bene rifugio più popolare del metallo giallo. E questo è vero
anche oggi.
Dallo scoppio del Covid la corsa all’oro è
ricominciata e il prezzo ha ripreso a salire – oggi è per il 25 per
cento più alto di un anno fa. Nell’incertezza chi ha liquidità la
parcheggia in lingotti e azioni di miniere d’oro.
Questo comportamento ci dice che nei momenti di pericolo e di grande
incertezza il prezzo dell’oro sale perché sale la domanda. Anche dopo
il crollo della Lehman Brothers si verificò lo stesso
fenomeno e il prezzo dell’oro iniziò a salire vertiginosamente
arrivando nel 2011 a ben 1.900 dollari l’oncia. Poi, improvvisamente,
iniziò a scendere.
La natura politica dell’oro fa sì che sia
estremamente sensibile agli eventi politici, vedi il Covid. Ma è anche
vero che essendo un bene rifugio che appartiene ad un mercato molto
piccolo è anche molto sensibile alle opportunità economiche e finanziarie alternative.
La
discesa iniziata nel 2011 è legata all’impennata degli indici di borsa
che attrassero liquidità. Gli investitori decisero di vendere le
posizioni in oro per acquistare quelle in azioni e così
il prezzo dell’oro quasi si dimezzò: ciò significa che chi lo aveva
acquistato vicino al picco perse intorno al 40 per cento del proprio
investimento. Una perdita di questo genere nel mercato azionario succede
solo nei grandi crolli. E’ dunque importante usare l’oro con la massima cautela ed essere pronti ad abbandonarlo nel momento giusto.
E’
vero che negli ultimi trent’anni il prezzo del metallo giallo non ha
fatto che salire – da 400 dollari l’oncia nel 1990 è passato a 1.900
nel 2011 – ma è anche vero che fino al 2007 il prezzo si è mosso di soli
200 dollari. Dal crollo della Lehman al 2011 il prezzo dell’oro in
dollari è salito di ben 1200 dollari. Fu questo il grande momento di crescita.
Come
può questa breve cronistoria dell’oro aiutarci a navigare l’incertezza
del presente? La risposta è semplice: i mercati temono il ritorno
dell’inflazione, i soldi dall’elicottero in
circolazione nel sistema economico stanno già spingendo i prezzi di
alcuni beni verso l’alto. Chi sostiene che ci troviamo in una fase recessiva
sbaglia: in realtà i beni e i servizi operativi, ad esempio i prodotti
alimentari, costano di più. E’ solo questione di tempo prima che le
tendenze inflazioniste inizino a farsi sentire.
In fondo anche all’indomani della crisi finanziaria
del 2007 il timore era l’inflazione. Lo stimolo da migliaia di
miliardi di dollari immesso nel sistema e finito nelle tasche delle
banche e finanziarie produsse la cosiddetta ‘asset inflation’,
l’inflazione dei beni dalle case alle tenute ai beni durevoli come le automobili. Il lingotto offrì protezione a chi poteva acquistarlo.
Morale:
prepariamoci all’ondata inflazionista, che a differenza della seconda
ondata del Covid sicuramente ci travolgerà tutti. E se avete diverse
migliaia di dollari a disposizione comprate qualche lingotto.