venerdì 13 marzo 2015

Kolbrin: la Bibbia Parallela che Annuncia 'il Distruttore'

A cura di Anticorpi.info
Esistono diverse versioni della Bibbia, le quali in un modo o nell'altro sono riuscite ad attraversare i millenni e giungere fino a noi. Tra esse abbiamo i Rotoli del Mar Morto rinvenuti in Israele; la Biblioteca di Nag Hammadi (Egitto); il Kebra Nagast (Africa); la Bibbia Bee cinese (ancora osservata dai cristiani ortodossi orientali); gli Scritti ed Insegnamenti del Buddha Issa (Gesù) originari del Tibet; ed infine la bibbia Kolbrin - di cui stiamo per parlare - originaria della Gran Bretagna. 
Ciascuna di esse contiene un punto di vista differente degli stessi eventi.
Il Kolbrin è più significativo di una mera lezione di storia religiosa. E' il primo documento giudaico/cristiano che collega la nostra comprensione scientifica dell'evoluzione umana con il creazionismo ed il disegno intelligente. I principi matematici enunciati nel Kolbrin riflettono l'antico interesse druidico verso astrologia, matematica e studio degli eventi catastrofici.

Il Kolbrin narra inoltre del ritorno del (pianeta) Distruttore, una stella oscura che in un remoto passato causò una catastrofe, e che sarebbe destinata a causarne una anche in futuro. 

Si tratterebbe di una raccolta di documenti (Bronze Book) portati in salvo nel 1184 dC, dal rogo con cui Edoardo I Plantageneto (Longshanks) distrusse l'Abbazia di Glastonbury in Inghilterra, e per 850 anni custoditi da gruppi segreti, tra cui i Culdians (Culdiani?), i quali avrebbero deciso di renderlo pubblico nel 1992. 

Eduardo cercò di distruggere il Kolbrin in quanto lo riteneva un rivale eretico della Sacra Bibbia ed una potenziale minaccia per la sua personale affermazione come legittimo re d'Inghilterra.
A quel tempo i 1.920 ettari di Glastonbury erano considerati un dono sacro alla famiglia di Gesù e trattati da nazione sovrana, non sottoposta alle tasse della corona. Erano un luogo pieno di mistero e misticismo. 

Esistono due versioni ufficiali del Kolbrin: quella americana e la versione neozelandese, ma si rinvengono altri esemplari isolati in Libano, Inghilterra, Vaticano ed altri paesi in tutto il mondo.

Le Dieci Tribù Perdute
La Gran Bretagna riveste un ruolo significativo nella saga biblica e in alcune vicende della vita di molti dei suoi personaggi più significativi.

I Romani definivano l'antica fratellanza druidica della Gran Bretagna col nome di Magi. Tale congrega influì profondamente sui faraoni egiziani, gli imperatori nell'antica Cina, i reali indiani e tutti i cesari di Roma.

Tali 'Wisemen' (Saggi) erano maestri di 9 corsi di studio tra cui Astronomia, Matematica, Oratoria, Medicina e Religione. Molte di tali conoscenze sono contenute nel Kolbrin. 
Le mummie dei Wisemen sono state rinvenute sulle rotte commerciali della seta in Cina; le loro figure raffigurate in tanti dipinti e storie; inoltre si segnalarono come consiglieri di molti governanti mondiali. Grazie alla loro conoscenza delle stelle e agli insegnamenti tramandati dai loro antenati, furono il primo gruppo internazionale a riconoscere Gesù come il messia delle profezie che ne avevano anticipato la nascita.

Stonehenge e altre simili strutture della Gran Bretagna erano usate come strumenti di studio nelle loro scuole. Il teologo Benjamin Jowett stima che all'epoca di Gesù le scuole della Gran Bretagna fossero frequentate da una media di 60.000 studenti, tra cui molti futuri notabili come Ponzio Pilato (Lucius Spagna), il suo patrono Lucio Seiano, prefetto pretorio di Tiberio Cesare ed un significativo gruppo della élite romana.

Perfino Costantino fu educato in Gran Bretagna e molto probabilmente studiò il Kolbrin. La stessa parola Brit (Great BRITain - n.d.t.) non deriva dall'inglese ma dall'ebraico, e significa Alleanza. Gli inglesi si consideravano il popolo dell'Alleanza, in quanto collegati alle dieci tribù perdute dopo la conquista assira della Giudea nel 8° secolo aC. La parola 'sassoni' indica i figli di Giacobbe. 

Le dieci tribù perdute non sarebbero mai del tutto scomparse. Il Kolbrin potrebbe essere chiamato la Bibbia Perduta delle dieci tribù perdute. Durante la conquista dei babilonesi del 600 aC Geremia il profeta fuggì in Etiopia e poi in Gran Bretagna, dove fu sepolto. Attualmente la sua tomba si trova in Irlanda. Portò con se la figlia del re Sedechia della casa di Davide, illustre antenato di Gesù. Ecco perché S.Anna, nonna di Gesù, era nata in Bretagna. Ecco perché i sopravvissuti dopo la crocifissione migrarono in Francia ed in Inghilterra (Glastonbury) dopo la morte di Gesù.

Costoro avevano un ramo di famiglia ed altri alleati in Europa occidentale. Conoscevano e avevano compreso gli insegnamenti del Kolbrin già molto tempo prima che la nostra Bibbia fosse compilata nel 325 dC da Costantino al Concilio di Nicea. 

Nel Kolbrin è narrato un episodio che ebbe luogo durante l'Esodo dall'Egitto al tempo di Mosè. La principessa Scota, figlia di Ramases II e vissuta al tempo di Mosè, sposò un nobile ebreo che la condusse in Gran Bretagna. La Scozia prende il nome da lei. 

Qual'è il Contenuto del Kolbrin?
Il Kolbrin è uno dei più eleganti racconti sulla Creazione e la saga biblica. Di colpo la storia di Atlantide e Lemuria e le leggende sull'Eden e sulla catastrofe provocata dalla malvagità, destinata a ripetersi, si fondono in un'unica narrazione.

Il Kolbrin è composto da dieci libri, ognuno dei quali suddiviso in capitoli e paragrafi. Di seguito, un elenco dei libri.

Il Libro della Creazione (Grande Libro dei Figli del Fuoco).
Il Libro di Spigolature (Trascrizione di antichi testi culdei parzialmente distrutti in tempi antichi).
Il Libro delle Pergamene (Precedentemente chiamato Il Libro dei Libri o Il Libro Minore dei Figli del Fuoco).
Il Libro dei Figli del Fuoco (Ciò che resta delle Sacre Scritture un tempo contenute nel Grande libro dei Figli del Fuoco).
Il Libro dei Manoscritti (Contenente Il Tesoro della Vita compilato con scritti conservati da Amos, un egiziano; Claudio Linus, un romano; e Vitico, un gallo).
Il Libro della Morale e dei Precetti (Precedentemente chiamato Il Libro delle Elite, terzo testo del Grande libro dei Figli del Fuoco).
Il Libro delle Origini (autorizzato dal Conclave di Venedase e compilato attingendo da tre libri della tradizione britannica che formavano il Koalbook, precedentemente chiamato Hiferalt).
Il Libro dei Ramo d'Argento (un tempo conosciuto come Il Libro delle Sacre Scritture), raccolta di scritti conservati per mano di Gwinder Apowin.
Il Libro di Lucio (ristesura del Libro dei Pemantris, di origine ignota).
Il Libro della Sapienza (revisione e fusione di due libri che quando furono aggiunti agli originari Bronzebook formarono il Kolbrin con la trascrizione avvenuta nel XIX secolo).

La prima parte del Kolbrin contiene la storia della creazione, la quale si presta ad una duplice chiave di lettura, sia religiosa che scientifica. Gli ultimi due libri sono dedicati a Gesù e sono una sorta di biografia come fu insegnata nelle antiche scuole britanniche.
Il Kolbrin contiene gli insegnamenti morali che erano ritenuti fondamentali nella società. Ma è anche il più antico libro di storia britannica. E' il solo documento giudaico/cristiano che narri tutta la storia della creazione umana, e nel suo racconto comprende anche le persone che si trovavano sulla terra da prima della venuta di Adamo ed Eva, alle quali allude la Sacra Bibbia. Il termine 'angeli caduti' presente nel libro della Genesi non si riferisce ad esseri spirituali ma ad altri uomini che sposarono le figlie di Adamo ed Eva, procreando dei figli.

Una precedente linea storica che raggiunse elevati livelli scientifici e spirituali, per poi essere spazzata via da una catastrofe e tramandare se stessa grazie ai pochi superstiti che si salvarono nascondendosi nelle caverne. Costoro si autodefinivano i Figli di Dio (v. correlati). La metafora degli Angeli Caduti si riferisce al fatto che dopo avere raggiunto alti livelli spirituali, la loro civiltà fosse diventata sempre più malvagia, conducendoli ad un cataclisma. 

I Figli di Dio profetizzarono il verificarsi di un nuovo immane cataclisma provocato da ciò che definivano: 'Il Distruttore' -  seguito da 1000 anni di pace che avrebbero preparato il ritorno del Dio Sole, proprio come i profeti ebrei predissero il Millennio e la venuta del Messia prima del Giudizio finale di Dio.

Il Distruttore
Libro delle Spigolature, capitolo 4 (Il Diluvio), paragrafo 24
Poi, con l'alba, gli uomini videro uno spettacolo impressionante. A cavallo di una nuvola nera giunse il Distruttore, comparso dai confini delle volte del cielo, che infuriava sui cieli perché era il suo giorno del giudizio. La bestia con la sua bocca aperta eruttò fuoco e pietre calde ed un fumo vile. Esso coprì tutto il cielo e il luogo di incontro del cielo e della terra non poté più essere visto. In serata i luoghi delle stelle cambiarono, e poi le acque del diluvio vennero. Le cateratte del cielo si aprirono e le fondamenta della terra furono spezzate. Le acque inondarono la terra e si infransero sui monti. Tutto fu sollevato dai venti delle tempeste e poi scagliato sulla Terra. Nelle acque brulicanti e ululanti del Galles tutti gli edifici furono distrutti, gli alberi sradicati e le montagne crollarono. Vi fu un momento di grande calore e poi giunse un freddo pungente. Le onde sulle acque non salivano e scendevano, ma ribollivano e ruotavano, e sopra di esse si alzò un suono terrificante.
Altri quattro passi a fine capitolo descrivono come Il Distruttore giunse e passò, lasciando dietro di se un diluvio di sette giorni.
Libro dei Manoscritti, Capitolo 5, Paragrafo 1
Il Doomshape, chiamato il Distruttore in Egitto, fu visto da tutte le terre. In colore era luminoso e ardente, in apparenza mutevole e instabile. Si contorceva come una serpe e ribolliva come acqua termale gorgogliante, e tutti gli uomini ne furono spaventati. Non era una grande cometa o una stella cadente, era più simile a un corpo di fuoco.
Paragrafo 4
Si dice che quando il Doomshape appare nei cieli, la terra si spacchi dal calore come una noce al fuoco. Poi le fiamme schizzano in superficie e saltano come demoni su sangue nero. L'umidità viene prosciugata, campi e pascoli ​​consumati dalle fiamme e gli alberi diventano ceneri bianche.
Nei capitoli dal 6 al 31 è descritta una massiccia sollevazione incoraggiata dal caos provocato dal passaggio del Distruttore, al termine della quale molti schiavi riuscirono a fuggire.

Poi, sul futuro: 
Libro delle Pergamene, capitolo 3 (Il Distruttore), paragrafo 1
Gli uomini dimenticano i giorni del Distruttore. Solo il saggio sa dove è andato e che giungerà il giorno in cui sarà di ritorno all'ora stabilita.
Paragrafo 3
Con il passare dei secoli alcune leggi operano sulle stelle nel cielo. Esse cambiano, c'è movimento e irrequietezza, e non sono più costanti e una grande rossastra luce appare nel cielo.
Paragrafo 4
Quando il sangue scorrerà sulla terra il Distruttore apparirà e le montagne si apriranno ed erutteranno fuoco e cenere. Gli alberi saranno distrutti e tutte le cose viventi inghiottite da acque bollenti.
Secondo il Kolbrin tutto ciò accadrà nuovamente quando:
"Gli uomini voleranno nell'aria come uccelli e nuoteranno nel mare come pesci"
"Le donne saranno come gli uomini e gli uomini come le donne" (ecc.)

Sintesi di due articoli in lingua inglese.
Link diretti:
http://www.zetatalk.com/index/blog0803.htm 

Traduzione e sintesi a cura di Anticorpi.info
p.s.
non sono un creazionista nè tantomeno un credente ma mi ritengo un viaggiatore della conoscenza; parto sempre dal presupposto che se incontri  un ostacolo non sempre la via migliore è quello di saltarlo, a volte basta girargli intorno!
E' troppo facile uscirsene con alzate di spalla o scetticismo di maniera così com'è facile, troppo facile, fare come fa la storia e l'archeologia ufficiale che nemmeno prende in considerazione queste cose: gli arroccamenti non servono e ricordano tanto gli atteggiamenti inquisitori della chiesa. Studiosi, come Hancock, Biglino, Stichin e tanti altri non possono aver preso tutti un abbaglio.... limitandosi a tradurre e spiegare LETTERALMENTE testi che raccontavano a loro volta storie già per gli estensori antiche: qualcosa ci può esser stato e chiudere gli occhi è negativo oltre che stupido!
niente quiz stavolta, ma mito che nasconde .. cosa? Sappiamo bene che in realtà sono racconti ma quasi sempre i "racconti" nascondono qualcosa che può essere storia o solo leggenda ma in ogni caso varrebbe sempre la pena esplorare e chissà che forse si riesce a far luce sul famoso anello mancante, chissà........
Buona lettura e Buon wek end a tutti

giovedì 12 marzo 2015

Datagate, CIA al cracking di Apple

Fonte: Punto informatico del mercoledì 11 marzo 2015  a firma di Alfonso Maruccia

Roma - Stando agli ultimi documenti riservati forniti da Edward Snowden e consultati da The Intercept, le agenzie di intelligence statunitensi (e la CIA in particolare) hanno una vera e propria passione per i gadget Apple. Al punto da dedicare anni e anni di studio al tentativo, non è dato sapere quanto riuscito, di comprometterne la sicurezza per spiare, intercettare e controllare tutto e tutti.

Lo sforzo dei ricercatori della CIA rivelato da The Intercept si è in questi anni focalizzato su diverse iniziative Apple-centriche, come ad esempio il tentativo di compromettere le chiavi crittografiche usate sui gadget mobile di Cupertino oppure l'ideazione di un metodo per compromettere Xcode, l'ambiente di sviluppo integrato usato da Apple per creare le app iOS e OS X.

Il lavoro della CIA e delle altre agenzie di intelligence USA è proseguito per anni, come emerge dai documenti di Snowden, e ha anche visto la partecipazione di ricercatori ed esperti di sicurezza privati chiamati a raccolta tramite la conferenza (ovviamente segreta) "Jamboree".
Tra i metodi presentati durante i meeting tra spioni spiccano Strawhorse, un lavoro di ricerca a opera di Sandia Labs e focalizzato su una versione compromessa di Xcode con cui installare backdoor remote su OS X, rubare tutti i dati presenti su iPhone e iPad, oppure una presentazione su un updater per OS X modificato con cui installare impunemente software keylogger su sistemi Mac.Non ci sono conferme, nelle nuove rivelazioni del Datagate, che CIA e altre agenzie a tre lettere abbiano avuto successo nei vari tentativi compiuti di compromettere i gadget della Mela. Traspare invece l'ipocrisia delle autorità USA, che si lamentano delle backdoor solo quando a volerle installare nei gadget sono i produttori cinesi.

I continui scoop del Datagate evidenziano ancora e ancora come gli Stati Uniti siano poco meritevoli di fiducia su questioni come cyber-sicurezza e integrità degli apparati elettronici, ambito in cui non a caso in Germania - uno dei paesi europei più controllati e spiati dalla NSA - le autorità che usano il servizio di posta elettronica De-Mail possono ora contare su comunicazioni crittografiche protette da PGP.

Alfonso Maruccia
p.s.
e se non fosse per quelli che ritengo cittadini coraggiosi come Snowden e Assange noi non ne sapremmo assolutamente nulla..... parafrasando un famosissimo motto: più conosco gli USA ....più amo la libertà e la democrazia, quelle vere!

mercoledì 11 marzo 2015

Agenzie di rating, rinviati a giudizio a Trani otto manager di S&P e Fitch

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 28/10/2014
[la notizia è datata lo so ma indovinate un pò...... il programma il geco e la farfalla di radio capital (Gruppo espresso) l'ha data stamani associandola all'assoluzione di mr. B, perchè? Le ipotesi possono essere tante: una quella che all'alleanza pd/pdl una associazione del genere può far comodo perchè spinge nella mente, debole, delle persone comuni che tutto è stato un vile complotto per far fuori uno dei due pilastri del riformismo in salsa italiota; un altro è una mano tesa per l'alleato di destra populista da partre della destra economica; un altra interpretazione può essere che le due fazioni opposte che si combattono per il potere hanno... fatto pace; infine la più perfida è che il potere salva sempre se stesso mentre con i comuni mortali fa la faccia feroce! Fate voi... per quanto mi riguarda vale sempre quel motto letto fuori un circolo anarchico di napoli, anni '70, che spiegava, ante litteram, la situazione di questo paese: " i caxxi cambiano ma il cxxo è sempre lo stesso....", chiaro, no? Bene detto ciò vi (ri)propongo l'articolo sulle agenzie di rating (la'ltro è notizia di oggi quindi immagino che ne sappiate o almeno ne avrete sentito parlare visto che ne hanno parlato per tutto il giorno).
Oops ultima considerazione: HSBC, e altre banche d'affari, hanno pagato alla SEC americana fior di miliardi di $ per aver "Falsato" il mercato dei titoli e dei tassi fregando i comuni consumatori di quasi tutti i paesi del mondo occidentale: in pratica s'erano messi d'accordo per falsare l'euribor e il tasso di scambio interbancario per creare profitti da dove non dovrebbero essere spremuti, noi..... direte: e i controllori? Erano d'accordo o meglio erano "distratti" e il loro sguardo era altrove; in pratica controllori e controllati erano d'accordo, e sicuri di non andare in galera, fra loro per fare soldi a scapito degli utenti variando i due tassi di cui sopra a danno dei cittadini. La branca italiana? Eccola ma dal 2014 non se ne sa più nulla: tutto quel che ne rimane è quest'articolo, buona lettura]

Sei tra manager e analisti di Standard&Poor’s e altri due dell’agenzia di rating Fitch sono stati rinviati a giudizio dal gup di Trani Angela Schiralli per intenzionale manipolazione del mercato finanziario, aggravata dal fatto che è stata commessa ai danni dello Stato italiano e dall’ingente danno patrimoniale provocato. I rinvii a giudizio, che riguardano anche le due società, si riferiscono a report emessi tra il 2011 e il 2012 sull’affidabilità del sistema creditizio italiano, a “indebiti annunci preventivi” sull’imminente declassamento dell’Italia e al taglio del rating del nostro Paese deciso nel gennaio 2012. Decisione che ha provocato un terremoto sui mercati e un’impennata del differenziale di rendimento tra titoli di Stato italiani e tedeschi (lo spread).
Il gup ha dunque accettato la richiesta di rinvio del pm di Trani Michele Ruggiero, avanzata già nel 2012 e ribadita a settembre durante l’udienza preliminare a porte chiuse, per Deven Sharma, presidente mondiale di S&P Financial Service dal 2007 al 23 agosto 2011, Yann Le Pallec, responsabile per l’Europa-Londra, gli analisti del debito sovrano Eileen Zhang, Franklin Crawford Gill e Moritz Kraemer e David Pearce, legale rappresentante di S&P-Londra, a cui è contestata la responsabilità amministrativa della società. Per Fitch andranno invece a giudizio David Michael Willmoth Riley, capo rating sovrano della sede di Londra, e il responsabile legale Trevor Pitman, per la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche.
S&P dopo la decisione ha diffuso una nota in cui spiega di “credere fermamente che queste accuse siano completamente infondate e non supportate da alcuna prova”. “Abbiamo sempre svolto il nostro ruolo con coerenza, fornendo una opinione indipendente sul merito di credito dell’Italia in linea – spiega la società – con le nostre metodologie internazionali, con i nostri standard di qualità e integrità, e con la regolamentazione europea”. “Il merito di questa causa sarà ora esaminato da un tribunale nel pieno contraddittorio tra le parti. Siamo fortemente convinti che, quando questo avverrà, saremo pienamente assolti da ogni accusa.”
In entrambe le udienze si sono costituite parte civile una decina di consumatori e l’Adusbef, mentre Bankitalia partecipa come parte offesa ma per ora ha deciso di non costituirsi parte civile.
 

martedì 10 marzo 2015

Il mito della Magna Charta

Fonte: Megachip a firma di Franco Cardini
Redazione
domenica 8 marzo 2015 10:28
Grande anno di celebrazioni, questo 2015: centenario, o cinquantenario, o pluridecennale o comunque anniversario di un sacco di cose. Un tempo si diceva che la «storia per anniversari» era roba per assessori: oggi si comincia forse quasi a rimpiangere quel tempo felice nel quale politici e amministratori avevano talora un occhio per la storia. Il 15 giugno prossimo si celebrerà l'ottavo centenario di un documento dal nome solenne e un po' ingannatore, Magna Charta Libertatum , attorno al quale aleggia ancora una specie di mito, garante del quale è la grande letteratura dell'Ottocento romantico inglese: quello di sir Walter Scott, del suo Ivanhoe , dell'immaginario «Ritorno del re giusto» rappresentato dal buon re Riccardo «Cuor di Leone» reduce dalla crociata.
Peccato solo che Riccardo I Plantageneto, peraltro coraggioso guerriero, non fosse per nulla un «buon re», sotto alcun punto di vista; e che dalla crociata (la «terza») rientrasse in effetti in Inghilterra nel 1194, ma vi si trattenesse soltanto poco tempo prima di trasferirsi al di qua della Manica, nel suo ducato di Normandia, dove in quanto tale era vassallo del re di Francia Filippo II Augusto, suo compagno d'arme nella crociata e suo avversario storico. Dal continente non sarebbe più tornato: una freccia che lo colse durante una modesta scaramuccia lo fece uscire, appena quarantaduenne, dalla scena della storia.
Che ne è quindi delle vecchie care storie di Walter Scott, quelle che hanno fornito materiale a tanti film da «medioevo in calzamaglia» - da Errol Flynn a Sean Connery - con il brigante-gentiluomo Robin Hood «che ruba ai ricchi per dare ai poveri», in realtà spirito folclorico dei boschi a suo tempo decrittato da Eric Hobsbawm e del quale ha poi finito con l'impadronirsi il solito Walt Disney? Fu l'Inghilterra della regina Vittoria e di re Giorgio V, la Grande patria liberale, imperiale e colonialista della democrazia costituzionale europea, a comporre i differenti episodi della sua storia in un trionfale cammino teso verso la libertà moderna e a stabilire su ciò un longevo mito paradigmatico. All'interno di esso, la Magna Charta rifulgeva di luce propria come documento ed episodio fondatore di un lineare cammino di liberazione scandito dalla Gloriosa rivoluzione di Guglielmo d'Orange, dalla Costituzione americana, dalla nostra democrazia.
Se accettassimo questa persistente e rassicurante affabulazione parastorica, tutto sarebbe chiaro e coerente. Ma le cose non stanno esattamente così; Max Weber, impartendoci la dura ma salutare lezione del «disincanto», ci ha insegnato a guardar bene dentro il passato per liberarlo da equivoci e contraddizioni. La Magna Charta Libertatum fu un documento promulgato dal re d'Inghilterra Giovanni I detto «il Senzaterra», fratello di Riccardo (erano entrambi figli di Enrico II e della grande Eleonora d'Aquitania), il quale - «graziosamente» e «spontaneamente», sul piano formale - limitava le prerogative regie nei confronti dell'aristocrazia feudale. In realtà si trattò del risultato di un braccio di ferro durato a lungo, di una duplice sconfitta - militare e politica - del sovrano e di un compromesso tra la corona e l'aristocrazia che fondò la vera e propria «monarchia feudale».
La vicenda affonda i suoi presupposti non tanto nella storia inglese, quanto in quella francese. Nel corso dei decenni centrali del XII secolo il re capetingio Luigi VII aveva lavorato al consolidamento del potere della monarchia. La sua opera fu continuata dal figlio Filippo II Augusto (sul trono dal 1180 al 1223), che riformò la cancelleria e la corte e dette ulteriore impulso sia alla riorganizzazione amministrativa della corona, sia al rapporto fra questa e i ceti mercantili, che si sentirono privilegiati e protetti. Era comunque per lui prioritario risolvere il problema costituito dal fatto obiettivo che il re d'Inghilterra, suo vassallo in quanto duca di Normandia, conte d'Anjou e del Maine, duca d'Aquitania e di Guascogna nonché conte del Poitou, era signore effettivo di gran parte del territorio francese: a lui guardavano tutti gli aristocratici che, in un modo o nell'altro, intendevano svolgere una politica autonoma rispetto al loro re.
In Inghilterra, intanto, il regno di Enrico II aveva posto fine a un periodo di torbidi, che tuttavia ripresero alla sua morte (1189): la situazione si andò deteriorando con i suoi figli e successori Riccardo «Cuor di Leone» (1189-99) e Giovanni «Senzaterra» (1199-1216). I due, d'indole entrambi labile e ombrosa e per giunta in discordia tra loro, si erano già ripetutamente ribellati al padre. Giovanni, che aveva prima tentato di usurpare il potere del fratello e gli era poi succeduto nel 1199, condusse una politica scriteriata che gli inimicò al tempo stesso la nobiltà laica e le gerarchie ecclesiastiche: giunse addirittura a confiscare i beni ecclesiastici attirandosi per questo la scomunica di papa Innocenzo III; dopo di che, intimidito dalla reazione, corse ai ripari prestando omaggio feudale al pontefice (il che peraltro rinnovava una consuetudine normanna dell'XI secolo).
Filippo Augusto di Francia colse l'occasione della debolezza e dell'incapacità del suo vassallo Giovanni e, sfruttandone la fragilità, nel 1202 lo dichiarò colpevole di «fellonia» (il delitto del quale si macchiava il vassallo infedele) e lo privò formalmente di tutti i suoi diritti feudali, Aquitania esclusa. La risposta di Giovanni, dopo lunga incertezza, fu l'alleanza con il suo congiunto Ottone IV di Braunschweig, pretendente alla corona reale di Germania e concorrente del candidato favorito del Papa, Federico di Svevia (il futuro Federico II). Si configurò dunque una guerra europea franco-anglo-germanica che vide la coalizione tra Giovanni e Ottone scontrarsi con quella tra Filippo Augusto e Federico. Le sorti si decisero il 27 luglio 1214 nella battaglia di Bouvines, una località franco-settentrionale poco distante da Lille. Fu, quella, la celebre Domenica di Bouvines celebrata in un indimenticabile libro di Georges Duby (Einaudi).
Sconfitto sul campo, Giovanni fu costretto a prestare di nuovo omaggio feudale al re di Francia e a piegarsi ai suoi baroni ch'erano guidati dall'energico Stefano Langton, arcivescovo di Canterbury, riconoscendo tutte quelle prerogative e quei diritti (le libertates) sia della Chiesa, sia della nobiltà feudale laica, che aveva tentato di violare. In particolare dovette rinunziare al diritto d'imporre nuove tasse senza il consenso dei suoi nobili riuniti in un Magnum Consilium (dal 1242 definito Parlamentum) e di consentire che essi, in caso di processo, venissero giudicati da una corte di loro pari.
Va da sé che la Magna Charta non fu evidentemente intesa come uno strumento di «modernizzazione»: al contrario, sotto il profilo giuridico essa rappresentava il ristabilimento di antiche consuetudini poi cadute in disuso. Mentre la corona francese, con la sua forte spinta all'accentramento dei poteri, poneva le basi dello Stato moderno, quella inglese non faceva che piegarsi dinanzi ai diritti tradizionali che la feudalità aveva sempre rivendicato e che essa aveva cercato di strapparle.
Ecco il paradosso che ci sfugge. In sé, il celebrato documento - considerato dal punto di vista «moderno» - fu un «passo indietro» sulla strada che avrebbe condotto allo Stato assoluto e quindi alla democrazia. Esso affermava comunque libertates che poi sarebbero state rivendicate dalle borghesie urbane. Ci sarebbe voluto ancora quasi un mezzo millennio: ma da lì sarebbe scaturita quella libertà britannica, madre dell'americana, nella quale noi riconosciamo una radice della democrazia. Sennonché, si trattava - e si tratta - della democrazia «aristocratico/oligarchica» delle libertà (al plurale), quella di Edmund Burke: non lontanissima sotto molti aspetti dall'ordine auspicato dai tradizionalisti de Maistre e Donoso Cortés, e ben diversa comunque dalla democrazia egalitaria della Liberté , quella di Jean-Jacques Rousseau, madre della Rivoluzione francese, ma anche dei totalitarismi.
(15 febbraio 2015)
Link articolo
p.s.
lo potremmo definire il grande inganno se non fosse che da secoli ci mentono dicendo che lì con quell'atto è nata la democrazia..... non è così: in Sumer, oltre 5 mila anni fa, c'erano istituzioni che potremmo definire democratiche; in Atene c'era, durante il V° secolo a.c. c'era una sorta di democrazia; ecc. invece la storia vien piegata in modo diverso; ci sarebbe da chiedersi perche? Ma una riposta entrerebbe richiederebbe l'esplorazione di campi che da tutti non sono compresi, volutamente o meno, e non è questo l'obiettivo dell'articolo del Prof. Cardini.... quel che posso dire è che noi oggi stiamo vedendo le esalazioni finali di un regime che, come sostiene tanta parte della politologia (non tutta di sinistra), prima ha proclamato principi egualitari e onnicomprensivi ma poi, raggiunto lo scopo, ne ha distrutto l'essenza primaria svuotando completamente il significato primario per un "altro" potere che ne ha solo l'apparenza ma in realtà è solo, e concordo con Rodotà, "DEMOCRATURA": un ibrido che, come tutti gli ibridi, è e, sempre sarà, STERILE!

lunedì 9 marzo 2015

domenica 8 marzo 2015

8 marzo, non mimose ma opere di bene. Le firme del Fatto spiegano perché un giorno non basta

di | 7 marzo 2015
Ci sono due fatti storici che nell’immaginario collettivo sono legati alle celebrazioni per la Festa della donna: il rogo della fabbrica Cotton a New York dove nel 1908 persero la vita 62 operaie e quando in Russia, nel 1917, le donne di San Pietroburgo scesero in piazza per chiedere la fine della guerra, dando così vita alla “rivoluzione russa di febbraio” che ispirò la Seconda conferenza internazionale delle donne comuniste dell’8 marzo. Abbiamo chiesto ad alcune firme e amiche del Fatto Quotidiano di raccontarci se festeggeranno. E se non lo faranno, cosa pensano bisognerebbe fare di “diverso” dal solito il giorno della Festa della donna. E che cosa vorrebbero ricevere dagli uomini al posto delle solite mimose, alle quali ormai sono allergiche. Le stesse domande (che fare per vivere un 8 marzo diverso) rivolgiamo alle nostre lettrici, perché ci rispondano all’indirizzo lettere@ilfattoquotidiano.it  o nello spazio commenti qui sotto.

DANIELA RANIERI
Meglio far nulla che celebrare i 364 giorni di “festa dell’uomo”
Non c’è festa più ipocrita dell’8 marzo. Non è solo colpa degli uomini: ogni anno truppe di scalmanate si riversano nelle pizzerie per darsi alla trasgressione (un calco del già avvilente ideal-tipo trasgressivo maschile) e schiere di rispettabili signore fanno letture seriose, pur di fare qualcosa che gli altri giorni non possono fare: pensarsi libere. Da ricorrenza inventata dalle tetragone operaie della Russia pre-rivoluzionaria per i diritti delle donne, la Giornata internazionale della donna si è trasformata in una specie di Carnevale del sessismo benevolo, in cui vengono sovvertite tutte le regole a patto che il giorno dopo si riaffermi lo status quo. Il femminismo sosteneva la forza e l’autonomia delle donne; ora è una retorica moralista che in alleanza inconsapevole col maschilismo vede nella donna una figura debole e dipendente.
La formula “i diritti delle donne” si è logorata fino a non significare più nulla, se le donne delegano a tutelarli quegli uomini che hanno la bontà di promuoverle. Le donne di potere sanno che la retorica della doglianza è una garanzia di inattaccabilità. C’è la festa della mamma, del papà, del gatto, degli innamorati e della donna, mentre non c’è una festa dell’uomo. Segno che in un mondo di uomini e donne, quella dell’uomo si tiene 364 giorni all’anno. Io l’8 marzo non faccio nulla, dove questo far nulla non ha alcun intento polemico né contro “i diritti delle donne” né contro chi fa finta di assecondarli negandoli: è il semplice far nulla di chi rifiuta l’alternativa.

SELVAGGIA LUCARELLI
Niente quote rosa, ci fanno diventare solo casi umani
Per me l’8 marzo è la festa degli uomini. È l’unico giorno dell’anno in cui li stimo pienamente, perché nessuno mi fa mai gli auguri o mi regala un fiore da anni. Quando ho chiesto spiegazioni ad alcuni amici o fidanzati del momento mi hanno sempre risposto: “Non ce la vedo una come te che dà importanza a una festa da donnetta vetero femminista”. Io detesto il concetto quote rosa, le feste dedicate e la retorica boldriniana, tutte queste cose non mi fanno sentire una donna, ma un caso umano. In ogni campo, a parte eccezioni, anche in quelli che dovrebbero essere di competenza più femminile, al vertice della piramide ci sono gli uomini. Perfino nei campi che gli uomini duri liquidano come cose da donnette. Noi siamo pettegole e parrucchiere però poi le riviste di gossip le dirigono gli uomini. Noi stiamo dietro a scarpe e vestiti però il presidente della camera della moda è un uomo.
Le mimose comprate al semaforo le scarti a casa e si polverizzano tipo la tomba egizia appena l’archeologo toglie i sigilli. Cene tra amiche per carità. Non amo il cameratismo femminista. Non amo neppure il neologismo “femminicidio” perché lascia presupporre, appunto, che la violenza sulle donne sia una novità. I mariti e padri padroni di una volta forse ce li siamo dimenticati. Le scarpe rosse non le appendo. Le indosso. Avremo la parità quando nessuno ci riterrà meno credibili per una décolleté rosso fuoco.

LUISELLA COSTAMAGNA
Cominciamo dal ministro delle Pari Opportunità (che non c’è)
Non mi piace la Festa della donna, così come non mi piacciono le quote rosa. Sanno di riserva indiana. Ma in un Paese come il nostro – in cui le donne sono ancora, purtroppo, in una riserva indiana per diritti, possibilità di carriera, discriminazione, violenza subita – è forse un male necessario: un’occasione per farsi sentire e, possibilmente, cambiare le cose. Abbiamo tante ministre donne, ma non una alle Pari Opportunità, come se non ce ne fosse bisogno, e già questo vuol dire molto. Se ci fosse, le chiederei un’unica cosa: reale e piena parità tra uomini e donne sul lavoro, a cominciare dalla retribuzione. In Italia le donne – pur essendo più laureate degli uomini – lavorano meno di loro e, se lavorano, hanno posti più precari e salari inferiori: in media il 9 per cento in meno a parità di qualifica. La violenza e i femminicidi, che sono emergenza nazionale, sono anche aberrante conseguenza di questa discriminazione sociale, che con la crisi si è aggravata. Se le donne vengono considerate meno degli uomini in ufficio, lo saranno pure in casa, no?
Allora risparmiateci la retorica della Festa della donna, del solo giorno all’anno in cui “le donne sono un patrimonio”, della legge sul femminicidio in cui infilate anche le Province, e fate qualcosa di davvero utile: parità occupazionale, di retribuzione e di carriera. Perché si possa finalmente dire, ogni giorno dell’anno: è la persona migliore per occupare quel posto, la più brava e la più competente. Uomo o donna non conta.

SABINA CIUFFINI


Immaginiamo qualcos’altro, quando saremo meno stanche

Parlando tra noi, carissime donne italiane, cos’è che non abbiamo? Non abbiamo autorità né rilevanza politica, non abbiamo club esclusivi di potere economico, non abbiamo né banche né eserciti né pozzi di petrolio… ma abbiamo l’8 marzo. Tra le nostre fila non abbiamo versioni femminili statisticamente significative di dittatori sanguinari, serial killer, avvelenatori di pozzi, violentatori, mafiosi, trafficanti di carne umana, torturatori… ma abbiamo l’8 marzo. Rare eccezioni a parte , non abbiamo la possibilità di contemplare buoni esempi di corretta amministrazione, pratiche di pace sul pianeta, cura dell’ambiente, tutela dei deboli, libertà di culto, motivi ragionevoli di felicità… ma abbiamo l’8 marzo.
Un direttore di buona volontà mi chiede di scrivere di questo 8 che ci celebra e ci perseguita, ci irrita e ci rende indulgenti. Per l’ennesima volta faremo finta di niente in attesa che passino articoli e convegni, facendo buon viso a cattivo gioco, mentre il nostro segreto monologo interiore sull’8 marzo rimane, per fortuna, inespresso. Cent’anni di solitudine ci hanno insegnato la prudenza e soprattutto che “non si butta niente”. In futuro, quando saremo meno stanche, forse la prossima volta forse chissà quando, propongo di immaginare un 8 marzo memorabile e totalitario, un 8 marzo che passi alla storia e che nessuno, su questo pianeta, possa più dimenticare.

ELISABETTA AMBROSI
Aboliamo l’idea che, in qualche modo, “ci arrangiamo sempre”

 Amerei ancora di più l’arrivo della primavera se non fosse infestata da una ricorrenza che mi provoca autentica angoscia: quella dell’8 marzo, col suo stanco corredo di mimose e di incoraggiamenti istituzionali. Già verso fine febbraio comincio a guardare preoccupata l’albero dello sfortunato fiore davanti casa di mio suocero, che a causa del cambiamento climatico inizia a sbocciare prima del tempo, ricordandomi l’infausta festività dal senso evanescente.  
Dobbiamo festeggiare la donna e la sua femminilità? Allora perché snocciolare tristi litanie che ricordano i dati sulla disoccupazione femminile, la differenza negli stipendi, l’assenza di servizi? Dobbiamo, al contrario, denunciare con veemenza la condizione femminile per cambiarla? Allora che senso ha stracciarsi le vesti per ventiquattr’ore, invece di legare la ricorrenza a qualche obiettivo concreto – e vincolante – per la classe politica? Vista l’indifferenza di quest’ultima per la situazione delle donne italiane (ma d’altronde: anche dei poveri, dei giovani, degli immigrati e via dicendo e a pensarci bene allora ci vorrebbe la Festa del giovane, dell’immigrato, del povero) molto meglio sarebbe una coerente indifferenza alla celebrazione. Però un buon proposito per questo 8 marzo ce l’avrei: aboliamo la rassicurante idea che le donne alla fine, tra lavoro, casa e figli, “si arrangiano”. O meglio: usiamo il verbo nel suo vero significato. Sì, spesso si arrangiano: cioè rinunciano, subiscono, restano frustrate e deluse. Almeno, diciamo le cose come stanno.

VERONICA GENTILI

I fiori non bastano più a distrarci: passerete alle droghe pesanti?

Dietro ogni grande uomo c’è sempre una grande donna. Che a questo punto però si sarebbe anche stufata di stare dietro e si metterebbe volentieri davanti. Sperando che il grande uomo appena retrocesso in seconda linea non si trasformi in un piccolo uomo. Qualora gli uomini, piccoli o grandi che siano, dovessero sentirsi usurpati e vessati da queste grandi donne impostesi in prima fila, si suggerisce l’introduzione delle quote blu, che permettano al maschio un minimo garantito di posti al sole, in nome della parità di genere. Per quanto riguarda il tentativo di utilizzare la mimosa come sedativo per ammansire e chetare le velleità femminili, si fa presente che nel fiore non sono state riscontrate proprietà lisergiche.
Volendo quindi persistere nel sabotaggio della parità di genere estesa a tutti i giorni dell’anno mediante omaggio floreale una tantum, si suggerisce di mettersi in cerca di sostanze dal comprovato valore psicotropo, dirottando dal fioraio allo spacciatore. Forse solo sotto l’effetto di droghe pesanti, i panda in gonnella potranno trovare appropriata una festa che li consacri ufficialmente a specie protetta. Le donne hanno sperimentato e continuano a sperimentare in prima persona le vessazioni su coloro che vengono percepiti come più deboli e questo deve renderle particolarmente sensibili a derive politiche retrive che, senza neanche farne troppo mistero, ammiccano alla supremazia del più forte.

ROBERTA DE MONTICELLI
Russia 1917, Italia 1946: festeggiamo i diritti civili
8 marzo 1917, le donne di San Pietroburgo scendono in piazza per chiedere la fine della guerra, dando vita alla “rivoluzione russa di febbraio”. Non per distrazione muliebre, ma perché in Russia vigeva ancora il calendario giuliano, in luogo di quello gregoriano. Magari fosse continuata così, la rivoluzione russa, come finì la sua primavera. Con la proclamazione da parte della Duma di libertà di parola, di stampa, di associazione, di riunione e di sciopero; eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge senza limitazioni di condizione, di religione e di nazionalità; abolizione della polizia, sostituita dalla milizia popolare; convocazione di un’Assemblea costituente ed elezioni delle amministrazioni locali per voto universale, diretto, eguale e segreto; diritti civili garantiti ai militari compatibilmente con il servizio…
8 marzo 1946, per la prima volta, tutta l’Italia ricorda la Festa della donna. L’Italia è incinta della sua Costituzione. Nascerà bellissima, vivrà nella miseria. Maggio 1968. Si festeggia il ventennale della Dichiarazione Universale dei Diritti umani. Jeanne Hersch, il più grande dei miei maestri, dirige la sezione di filosofia dell’Unesco. E impegna le risorse di quell’organizzazione raccogliendo testi tratti dalle tradizioni e culture del mondo, anteriori al 1948, “in cui si manifestasse, in qualunque forma, un senso dei diritti dell’uomo come tale”. 8 marzo 2015. È appena uscita la nuova traduzione italiana di questa magnifica Antologia mondiale della libertà. Vorrei farne omaggio a Lady Pesc, perché un’idea le si accenda in cuore.

SILVIA TRUZZI
Oddio, anche “otto” e “marzo” sono maschi. Che dirà la Boldrini?
Partiamo dalla grande emergenza: “Otto” e “marzo” sono entrambi maschili. Dove sono le nostre politichesse, le legislatore, le amministratore? Che fanno? Possibile che sia ancora in vigore il calendario Gregoriano (ooo!) dove tutti i mesi e i giorni sono virili? Non è vita.
E cambiate fiore: la mimosa puzza e lascia la polverina gialla. Poi chi li lava i vestiti? Non dite la lavatrice, anche la lavatrice è una di noi. Noi siamo quelle del gender gap, del “ruolo sociale multiplo”, degli stereotipi nelle pubblicità. Noi non serviamo a tavola l’oppressore, noi portiamo i pantaloni come l’oppressore. Non siamo in cerca di guai, e nemmeno davanti al telefono che non suona mai. Siamo donne liberate, preferiamo il paladino all’arrotino; siamo moderne e aggiornate: via il diritto alla parità, ecco il diritto alla differenza e alla conferenza. La conferenza è come la tavola rotonda “sull’imprenditorialità al femminile”: non si nega a nessuna. Siamo avvocate, sindache, ministre, un po’ lady Oscar e pure ladylike, dopotutto mascara fa rima con fanfara e carriera con banchiera. Per fortuna c’è la presidenta Boldrini che dà voce alle nostre necessità più urgenti come “l’adeguamento del linguaggio parlamentare al ruolo istituzionale, sociale e professionale assunto dalle donne e al pieno rispetto delle identità di genere”. Eppure, nonostante gli editti, qualche maschilista-sciovinista osa ancora spiritosaggini tipo “quello che le donne dicono è peggio di quello che non dicono”. (Ps: mala tempora sarà mica femminile?)

BARBARA SPINELLI
Celebrare così un genere significa chiudere una gabbia
È la prima volta che scrivo sulla festa delle donne, e probabilmente l’ultima. Non mi piacciono le feste “di genere”, come non mi piacerebbero giorni dedicati a una razza. Penso che ogni essere umano abbia più radici, più essenze e propensioni: naturali o non naturali. Non mi piace essere definita, e appena qualcuno lo fa cerco di dirgli che in quella definizione non mi riconosco, se non parzialmente. Ogni definizione la considero una gabbia, anche se distinguere è necessario sempre . Ogni festa in onore di tale definizione ha il potere, temibile, di confermare ed esaltare la gabbia, dunque una sorta di surrettizia intoccabilità e separatezza.
Non mi piacerebbe neppure una festa dell’essere umano, e non ho mai capito l’usanza di alzarsi un piedi, quando nella liturgia cristiana si ricorda la Creazione e si evoca il giorno in cui Dio creò l’uomo. Mi sembra un giorno infausto: bisognerebbe sprofondare, piuttosto che di ergersi trionfalmente. Infine: m’infastidisce l’abitudine, apparsa in Germania negli anni 70 e oggi diffusa in Italia, di storpiare la scrittura con il ricorso al maschile-femminile: compagni(e), amici/amiche, cari/care. Aspetto con timore il momento in cui scriveremo, perché imposto dall’etichetta femminista: Dio/Dea. Avrete capito che guardo al femminismo con un certo distacco prudenziale. Come Doris Lessing, sono convinta che il femminismo ha fatto molte nobili battaglie (e ancora molte avrà da farne), ma ha causato non pochi danni, e durevoli, nel rapporto fra uomini e donne.

a cura di Caterina Minnucci

da il Fatto Quotidiano del 7 marzo 2015
p.s.
Visti i temi trattati non posso aggiungere altro
BUON 8 MARZO A TUTTE/I

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