giovedì 23 gennaio 2020

Calo delle nascite, l’espressione ‘Vecchio Continente’ non è mai stata più vera

Fonte: Il Fatto Quotidiano Loretta Napoleoni Società - 19 Gennaio 2020

L’espressione “Vecchio Continente” non è mai stata più vera. L’Europa è infatti oggi la regione con la popolazione più vecchia al mondo. L’età media è 43 anni, 12 in più rispetto al resto del mondo. L’invecchiamento è un fenomeno inarrestabile, che va avanti da decenni – entro il 2035, circa una persona su quattro avrà 65 anni rispetto a uno su 13 nel 1950 – e, secondo gli esperti, sta per subire un’accelerazione pericolosa. Le Nazioni Unite, infatti, prevedono che dal 2021 la popolazione europea inizierà a contrarsi.
Tra le conseguenze più preoccupanti di questo trend c’è la caduta della crescita. L’economista del Fondo Monetario Philip Engler ha calcolato che entro il 2050 i cambiamenti demografici faranno contrarre il reddito pro capite in Francia, Spagna, Italia e Germania dai 4.759 ai 6.548 euro, prendendo come base i prezzi del 2010. In concomitanza, durante lo stesso periodo, la spesa sanitaria per gli anziani e per le pensioni salirà.
Proiezioni della Commissione europea prevedono che entro il 2040 entrambe queste voci rappresenteranno il 25% del Pil nell’Unione europea. In termini monetari, l’economia d’argento, come viene definita quella che ruota intorno agli anziani, entro il 2025 sarà pari a 6.400 miliardi di euro – nel 2015 era appena 3.700 miliardi di euro – e sarà responsabile di quasi il 40% dei posti di lavoro creati.
Il paese dove l’invecchiamento è più marcato è il nostro. Il trend è di lunga data: negli anni Venti, quindi un secolo fa, la media era di 2,5 bambini, mentre per donne nate subito dopo la seconda guerra mondiale la media scende a 2. Ma è negli ultimi dieci anni che il tasso di natalità è letteralmente crollato: siamo a 1,32 figli per donna, significativamente inferiore al 2,1 definito come il livello minimo di cui un Paese ha bisogno per mantenere la sua popolazione.
Secondo l’Istat, l’anno scorso l’Italia ha registrato il numero più basso di nascite da quando il paese è stato unificato nel 1861. Se non ci fossero le emigrate che procreano di più, i dati sarebbero ancora più bassi. Le donne italiane hanno infatti un tasso medio di natalità di 1,2 bambini, mentre quello delle emigrate è di 1,9, la somma produce una media nazionale di 1,32.
A seguito del crollo delle nascite, la popolazione attiva italiana si sta riducendo rapidamente. Con solo 440mila bambini nati, meno della metà del numero di italiani morti, la popolazione sta invecchiando e diminuendo costantemente. Quasi il 23% degli italiani ha ora più di 65 anni. Il problema è aggravato dall’emigrazione in aumento.
Un numero crescente di giovani emigra per sfuggire ai problemi economici del Paese: nel 2019 160mila italiani hanno lasciato il paese, il livello più alto dall’inizio degli anni Ottanta. Siamo come un paese che sta affrontando l’estinzione? In un certo senso il pericolo è proprio questo.
Secondo gli esperti e le organizzazioni internazionali come l’Onu, il problema della bassa natalità in Italia è legato al pessimo andamento dell’economia, alla mancanza di infrastrutture che aiutino la cura dei figli e all’alto debito pubblico. In altre parole, la situazione sarebbe ben diversa se l’economia italiana assomigliasse di più a quella scandinava, ben strutturata per essere di sostegno ai genitori, specialmente nei primi anni di vita dei figli. Sicuramente questo è vero per quanto riguarda l’ampiezza della contrazione delle nascite in Italia, ma non è una spiegazione sufficiente per l’invecchiamento della popolazione europea.
Alla radice della flessione delle nascite c’è anche un atteggiamento culturale nei confronti dei figli diverso da quello del passato. Questi non più visti come un investimento, e cioè braccia necessarie per lavorare la terra, come è avvenuto nel corso della storia dell’uomo.
Anche il ruolo dei genitori è cambiato. Oggi è molto sentita la responsabilità nei confronti dei figli e questo porta molti ad avere meno figli per dedicar loro più tempo ed energie.
Le statistiche, le proiezioni e i dati economici, dunque, descrivono un fenomeno preoccupante, e cioè l’invecchiamento della popolazione, ma non bastano per farcene capire le ragioni. L’invecchiamento e la contrazione della popolazione europea sono un fenomeno della modernità, con cui bisogna imparare a convivere e che bisogna imparare a gestire.

lunedì 20 gennaio 2020

Gap reddito: Il 20% più ricco degli italiani detiene quasi il 70% della ricchezza nazionale

Fonte: W.S.I. 20 Gennaio 2020, di Mariangela Tessa
Cresce la forbice che separa i più ricchi dai più poveri. La conferma arriva dall’Oxfam, confederazione di ‘no profit’ mondiali dedicate alla riduzione della povertà globale, secondo cui i 2.153 Paperoni più ricchi del mondo controllano complessivamente un patrimonio combinata pari a quella di 4,6 miliardi di persone, circa il 60% della popolazione mondiale, e in cui “la quota di ricchezza della metà più povera dell’umanità, circa 3,8 miliardi di persone, non sfiora nemmeno l’1%”.
Il rapporto ‘Time to Care” pubblicato alla vigilia del World Economic Forum a Davos torna dunque a sottolineare la crescente forbice che separa i super-ricchi dal resto della popolazione mondiale.
Al top della piramide dei super-ricchi troviamo il fondatore di Amazon, Jeff Bezos,  attualmente la persona più ricca del mondo, secondo Forbes, con un patrimonio netto di circa $ 116,4 miliardi, seguito da Bernard Arnault, il miliardario francese che possiede il gruppo di beni di lusso LVMH (116 miliardi di dollari).
Italia, “un paese bloccato”La situazione cambiano da Paese a Paese, ma in generale la redistribuzione appare ben lontana da un livello equo. Non fa eccezione l’Italia dove a  metà 2019 la quota di ricchezza in possesso dell’1% più ricco superava la quota di ricchezza complessiva detenuta dal 70% degli italiani più poveri sotto il profilo patrimoniale.
Complessivamente, la ricchezza italiana netta ammontava a 9.297 miliardi di euro, in calo dell’1% rispetto al giugno 2018. Il 20% più ricco degli italiani deteneva quasi il 70% della ricchezza nazionale, il successivo 20% era titolare del 16,9% del patrimonio nazionale, mentre il 60% più povero possedeva appena il 13,3% della ricchezza del paese. Il 10% più ricco della popolazione italiana (in termini patrimoniali) possiede oggi oltre 6 volte la ricchezza della metà più povera della popolazione.
In Italia il 30% dei giovani occupati guadagna meno di 800 euro al mese e il 13% degli under 29 è in “povertà lavorativa”. Fermo l’ascensore sociale, la differenza di genere pesa sulle donne: le “working mom” al 57%, le lavoratrici senza figli salgono al 72,1%. E la ricchezza dell’1% degli italiani supera quella del 70% più povero.
Un “Paese bloccato”, come lo disegna l’organizzazione non governativa, dove l’ascensore sociale è fermo: “ci vorrebbero – scrive Oxfam – cinque generazioni per i discendenti del 10% più povero per arrivare a percepire il reddito medio nazionale”. E’ così che “le diseguaglianze si perpetuano” da una generazione all’altra. E’ in questo scenario che Oxfam rinnova il suo appello: “solo politiche veramente mirate a combattere le disuguaglianze potranno correggere il divario enorme che c’è fra ricchi e poveri. Tuttavia, solo pochissimi governi sembrano avere l’intenzione di affrontare il tema”, dice Elisa Bacciotti, direttrice delle campagne di Oxfam Italia.
Gap in aumento nell’ultimo ventennioNell’ultimo ventennio, la distanza che separa il top della piramide dalla base è aumentata: la ricchezza dei più facoltosi è salita del 7,6%, quella del 50% dei più poveri si è ridotta del 36,6%. D’altra parte le retribuzioni in media son tutt’altro che salite (anche se non tutte). Tant’è che nel 2018 l’indice di Gini, che misura le diseguaglianze, collocava l’Italia al 23esimo posto nella Ue a 28.
Globalmente, il fenomeno è esacerbato dal gender gap: gli uomini, nel 2018, possedevano “il 50% di ricchezza in più rispetto a quella posseduta dalle donne”, spesso ancora relegate all’accudimento di figli o familiari. In Italia, ancora nel 2018 la quota delle donne che non avevano mai lavorato, per prendersi cura dei figli, era pari all’11,1% (3,7% la media europea).
E pesa l’abbandono scolastico, dove Oxfam lancia un ulteriore allarme: “nel confronto europeo, nel 2018, l’Italia si trovava in quart’ultima posizione” ponendosi accanto a Spagna, Malta e Romania per l’incidenza degli abbandoni scolastici che condizionano le opportunità di benessere.

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