giovedì 24 marzo 2016

Stato Islamico (ISIS) - da dove viene e cosa intende fare




ve lo propongo per la semplicità dell'esposizione per tacere dell'estrema chiarezza.. visitate il link dove ha pubblicato anche le Fonti da cui ha tratto ispirazione per la sua esposizione.... e devo dire che è davvero brava!!!!
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA:

- L. Napoleoni, "ISIS, lo stato del terrore" (Feltrinelli, 2014)

- consultazione dell'Enciclopedia Treccani e della mia cara Wikipedia che è il progetto più bello del mondo, in Italiano e Inglese, dove utilizza fonti da me giudicate attendibili (articoli autorevoli di grosse testate nazionali e internazionali)

- articoli e dossier:

www.independent.co.uk/news/world/middle-
buona pasqua per i credenti.....

mercoledì 23 marzo 2016

Dieci cose sui fatti di Bruxelles

di | 23 marzo 2016 Il Fatto Quotidiano
Dieci considerazioni non richieste, e certo parziali, sui fatti di Bruxelles.
1. Le mattanze di Parigi furono accolte con lo stupore di chi credeva di poter essere amnistiato da questa guerra anomala. I fatti di Bruxelles hanno lasciato più che altro spazio a quello sgomento che confina con la rassegnazione. Quasi che ci stessimo abituando già a quel che potrebbe essere una costante di questi tempi sbandati: convivere con il terrore.
2. Dopo ogni atto così enorme, dal secondo successivo è tutto un parlare e ciarlare. Tutti di colpo esperti di Islam e jihad, Daesh e foreign fighters. Sbaglierò io, ma è anzitutto in questi casi che avverto il bisogno del silenzio.
3. Cosa possiamo fare? Intendo noi, intendo nel nostro quotidiano. Continuare a vivere come vivevamo prima. Anche se fa paura, anche se diventa eroico anche solo andare a teatro. Continuare a vivere come facevamo. Per non darla vinta agli assassini.
4. Avere paura è naturale. Tradurre questa paura in intolleranza è un altro regalo all’Isis, o meglio ancora all’Is, perché chiamarli come la versione greca e latina della dea egizia Iside mi rompe un po’ le palle (e anche in questo ha ragione Franco Cardini, di cui vi consiglio l’ottimo “L’Islam è una minaccia” FALSO!, edito da Laterza). Parlare di frontiere chiuse è delirante. I terroristi che colpiscono in Europa sono già in Europa e spesso figli di musulmani che qui li hanno concepiti. E questi figli – in tutto europei – uccidono anche per colpire i loro genitori, che reputano dei musulmani mollicci e opulenti: malati di troppo Occidente.
5. La guerra all’Isis si intreccia dunque con una guerra generazionale e con mille altri rivoli. Ciò rende l’Isis ancora più sfuggente: magari, per ucciderlo, bastasse bombardare i confini presunti del sedicente “Stato islamico”. L’Isis non è uno Stato e neanche una religione: è un kit nichilista a uso e consumo di chiunque ha bisogno di un pretesto per colpire a casaccio, così convinto di non avere più speranze da farsi esplodere come nulla fosse.
6. Tutti, ora, parlano di “Belgio colabrodo” e di “esigenza di una FBI europea”. Ovvero di una intelligence europea, che unisca realmente tutti i paesi coinvolti nella guerra. Obiettivo sacrosanto, più volte promesso (anzitutto) da Merkel e Hollande. I fatti, però, non hanno seguito mai le promesse. E’ poi vero che il Belgio è dilaniato da divisioni, leggi contorte e crisi devastante: era probabilmente l’obiettivo europeo più facile e solo lì Salah poteva “nascondersi” quattro mesi a casa sua. Rendiamoci però conto che la sicurezza totale è una chimera: se uno entra in un bar e si fa saltare in aria, non c’è intelligence che tenda. E sì che in Italia, per fortuna e nonostante Alfano, stiamo molto meglio che da altre parti.
7. Si dice spesso che questo giornale, e chi vi sta scrivendo, ce l’abbia a prescindere con Renzi. Una delle tante sciocchezze da asilo nido, che rendono il dibattito politico appassionante come una detartrasi di Velardi. Magari ne potessimo parlare “bene”, come fa il 95% della cosiddetta informazione italica. Ieri, però, Renzi ha detto cose sensate. Gli capita spesso, quando parla di Isis e guerra. Ha ragione quando sottolinea l’inutilità delle frontiere. Ha ragione quando ribadisce l’importanza di investire sulla cultura, anzitutto nelle periferie. E ha ragione quando dice che “non è il tempo né degli sciacalli né delle colombe”. Bravo. Ora però sta a lui, sempre ammesso che Usa e Merkel lo ritengano un alleato minimamente rilevante, farci capire come si passa dal non essere “colombe” all’entrare definitivamente in guerra.
8. Impeccabile la copertina di ieri di Crozza a DiMartedì. Tra le altre cose, ha ribadito un concetto semplice semplice: se bombardi dalla mattina alla sera un paese, quel paese prima o poi reagisce. Non solo: se ti affidi ai droni neanche fossero il monolite di Kubrick, l’unico risultato sicuro è ammazzare civili come mosche. E chi sopravvive, poi, preferisce di gran lunga l’Isis al civile Occidente che “esporta democrazia” sterminandoti la famiglia.
9. Non c’è giorno che passi in cui mi chieda: cosa abbiamo fatto di male, anzi di tremendo, per meritarci Luttwak? Perché dovrei prendere lezioni da questa caricatura guerrafondaia e becera? Chi lo ha eletto a esperto? Di grazia: meno Luttwak e più Gino Strada. E’ anche così che un paese diventa, o torna, civile.
10. Ieri, tra le mille cose elargite a getto continuo in radio, social e tivù, Matteo Salvini ha detto: “Meglio sciacallo che imbecille”. Devo dargli una brutta notizia: si può essere entrambe le cose, e non c’è bisogno di scomodare il primo Gasparri che passa per la conferma. Salvini ieri è volato a Bruxelles dopo l’attentato. Qui si è fatto ritrarre in posa pensosa, mentre parla a un cellulare immaginario (daje) e con una espressione tipo Chuck Norris dopo avere salvato l’umanità da una invasione di procioni di Cozumel. Quella postura da bullo, la stessa di chi si vanta per avere vinto alla PES 2016 con il nipotino di 4 anni, gli garantirà sfottò a vita. Bravo Matteo: sei una garanzia.
di | 23 marzo 2016
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martedì 22 marzo 2016

colpiti, al cuore, e affondati...

Ebbene si. Proprio colpiti al cuore, nell'europa che conta, e affondati. Son bastati pochi minuti e  l'ipocrita tranquillità del vecchio mondo è stata scossa di nuovo e forse in maniera definitiva.. a Brusselles l'Europa è stata colpita al cuore, duramente, senza se e senza ma e possiamo che è stata anche affondata. Un attacco proditorio e violento come solo gli attacchi che coinvolgono decine di cittadini innocenti possono essere. C'è sempre dell'imprevedibilità, sia chiaro, nelle azioni terroristiche; non si possono, sempre, prevedere con esattezza.... ma nessuno ha pensato che se arrestavo uno dei terroristi di Parigi a casa sua la rete del terrore avrebbe reagito: non foss'altro perchè se costui avesse voluto 'collaborare'  il network del terrore ne poteva essere danneggiato se non distrutto? Perchè, a quanto pare, i servizi avevano avvertito che c'era qualcosa in ballo ma le autorità avevano deciso di non alzare il livello di allarme; ed ecco che, subito, la prima domanda sorge spontanea: perchè, se erano a conoscenza di un qualche possibile attentato, non alzato il livello di allarme non solo in Belgio ma a livello europeo? Non voglio, e mi rifiuto di volerlo fare, credere che forse c'è stato un cinico calcolo basato su un semplice, quanto tragico, calcolo delle probabilità che un fatto avvenga per forza..... ma passi pure il primo momento della sorpresa, al netto delle precedenti considerazioni: come mai si son fatti cogliere così di sorpresa con il secondo attentato, quello nella metropolitana? Troppo presi da cosa? Non se lo aspettavano? Eppure dovrebbero sapere che è fin troppo logico che i protocolli del terrore prevedono sempre un replay: scoppia una bomba poi ne scoppia un altra ecc. ormai si sa e se lo sappiamo noi, comuni mortali, lo dovrebebro sapere anche i cervelloni deputati alla nostra difesa.... o non è così? Ogni volta è sempre una storia a parte? Non bastava Parigi colpita per ben due volte? A differenza degli organi preposti alla sicurezza il network del terrore è fiorente e ha dato prova di vitalità enorme e penetrazione nel tessuto sociale profonda: molto profonda visto che questi terroristi hanno potuto contare non solo sull'omertà ma pue su delle complicità se non simpatia.. e qui veniamo al nodo: forse che il modello integrativo "europeo" non funziona? Perchè alla fine questo è il punto: questi non sono, tutti, ragazzi sbandati che son arrivati qui e si son messi a farsi esplodere, no.. molti di questi (come pure la maggioranza dei cosiddetti foreign fighters) sono nati e cresciuti qui, quindi sono immersi nel mondo consumista occidentale come i loro coetanei occidentali e allora: la questione su cui dobbiamo riflettere è: la loro integrazione è fallita così com'è fallito il disegno di un europa multietnica, accogliente, tollerante così come la teoria dell''open society' prevedeva? Ma: è fallita perchè è impossibile che si possa convivere 'noi' con 'loro' o perchè "doveva fallire" per forza affinchè ci si potesse concentrare sui mostri di turno che fanno le stragi? Quei mostri dell'id che vivono e prendono, si, forza dal sonno della ragione ma che spesso qualcuno, qualche manina, ha contribuito a liberare per poter meglio rinchiudere la gente nelle proprie case e nelle proprie vite dov'è possibile coltivarne le paure e i terrori...
E da sempre che l'occidente, nel suo complesso, vive una schizofrenia di fondo: predica l'abbattimento dei confini e delle frontiere ma contemporaneamente alza muri culturali e politici a chi vi arriva ed appartiene ad altri mondi... si gli da vita, lavoro, assistenza ecc. ma alla fine sono mosche bianche perchè, se si alza il tappeto, questi emarginati erano e tali rimangono. Se poi mettiamo l'arrembante intromissione negli affari locali dei paesi terzi di cui sempre l'occidente si è fatto promotore allora forse il quadro diventa chiaro, fin troppo chiaro: siamo alle solite come sempre perchè pur di mettere naso nello sfruttamento delle risorse altrui, direttametne o per interposto dittatore, possiamo ben comrpendere cosa debbano provare questi terroristi nel vedere i loro fratelli trattati come schiavi e costretti o ad andarsene dalla loro terra o a diventare preda dei manipolatori, peraltro spesso pervicamente addestrati proprio dai servizi occidentali in funzione ora anti-Saddam o anti-Gheddafi anti-Assad o.. ecc. ecc., per diventarne strumenti armati... storia vecchia, vecchia quanto è vecchio l'occidente.
D'altronde un occidente che esprime un Trump (ma non dimentichiamoci del KKK); che si fa ricattare dalla Turchia per "fermare" l'onda dei migranti" mentre contemporaneamente fa affari proprio con i terroristi, sempre per interposta Turchia naturalmente che ci guadagna anch'essa dal petrolio illegale che l'isis estrae (avevano quindi ragione i russi nel raderli al suolo?), e poco fa per eliminarli in loco come poteva sperare di restarne fuori? Osama insegna: ieri era il "combattente per la libertà" afghano, e afghano non lo era, oggi era il terrorista numero 1 ricercato (lo era davvero ricercato?) da tutti perchè ' responsabile dell'attacco alle torri gemelle": ossia, detta meglio, la più  grande dormita delle forze di sicurezza americane che si son fatte passare sotto al naso per mesi il viavai dei terroristi che preapravano gli attentati!!!!
Parigi ieri, oggi Brusselles, domani chissà.... prendiamone atto, sarà meglio, siamo in guerra ed è bene che ne assimiliamo il concetto in fretta: il problema è in guerra contro chi? Con chi come alleato? E da chi siamo difesi? E sono davvero i terroristi i veri "cattivi"? E possiamo contare, almeno ora, sul fatto che nessuno giocherà dietro le nostre spalle per far si che mentre odiamo il terrorista altri ce lo sventolano come un drappo rosso, sta in realtà preparando le condizioni affinchè noi possiamo vedere solo una parte della realtà ossia quella che meglio aggrada ai soliti burattinai?

lunedì 21 marzo 2016

Anatocismo, così il governo ha aiutato le grandi banche

21/03/2016 di triskel182
Consumatori in rivolta per un regalo che vale due miliardi l’anno. Era vietato per legge dal 2014, anche se gli istituti facevano finta di niente: ora è di nuovo legittimo.Ieri, Sergio Boccadutri, ex tesoriere di Rifondazione Comunista, poi di Sel e ora nel Pd ha diffuso una “doverosa risposta” al Fatto Quotidiano sull’anatocismo, l’illegale calcolo degli interessi sugli interessi ripristinato per legge da un suo emendamento approvato giovedì alla Camera. Sintesi dell’intervento: è vero, ma l’anatocismo ora è annuale, non più trimestrale e quindi “le nuove norme sono a vantaggio dei consumatori”.
Questi ultimi il vantaggio lo hanno intuito a tal punto che ieri, mentre Boccadutri vergava la sua risposta, inviata non al nostro giornale o alle agenzie, ma al sito deputatipd.it, hanno ri-definito il suo emendamento (firmato da molti deputati super-renziani) così: “È l’ennesimo inganno, una polpetta avvelenata per favorire gli esclusivi interessi delle banche e danneggiare i consumatori, che oltre al danno devono subire perfino la beffa degli interessi di mora”.
Firmato: Adusbef e Federconsumatori. Stessa linea del Movimento Consumatori: “È un gravissimo passo indietro. Una norma salva banche che va fermata immediatamente”. L’avviso comune finale: “Se non verrà modificata saranno inevitabili ricorsi giudiziari”. Proprio quelli che Boccadutri afferma di voler archiviare.
Breve riassunto. L’anatocismo è la pratica di calcolare gli interessi sugli interessi debitori applicati ai correntisti: quelli maturati finiscono sul conto e fanno da base per quelli futuri, e il debito sale esponenzialmente. In questi anni di crisi l’operazione – illegittima per decisione della Corte costituzionale – ha strozzato imprese e correntisti in difficoltà, fruttando miliardi alle banche (due solo nel 2014). Giovedì, Boccadutri e i Dem hanno portato a casa il blitz in commissione Finanze, spacciandolo per una “storica fine dell’anatocismo”. È vero il contrario: vengono esclusi gli interessi di mora, di norma più alti di quelli corrispettivi.
Funzionerebbe così: gli interessi vengono calcolati al 31 dicembre, poi il cliente ha 60 giorni per saldarli altrimenti finiscono sul conto e fanno da base per quelli futuri. È l’anatocismo, solo che annuale e non più trimestrale come ora. “È scusate se è poco”, scrive Boccadutri. Ma nel testo c’è pure la beffa: “Il cliente può autorizzare preventivamente” l’addebito in conto al momento in cui gli interessi diventano esigibili, ma solo prima che “l’addebito abbia avuto luogo”. In un contratto è la banca la controparte forte e ha più di una freccia al suo arco per farsi dare l’autorizzazione. “E se pure viene revocata, il cliente dovrà pagare gli interessi di mora sulla quota di interessi non pagati, rendendo impensabile e autolesionista farlo”, spiega Paolo Fiorio del Movimento Consumatori.
Ieri Boccadutri s’è giustificandosi così: le banche comunque “ci rimettono” rispetto a prima. L’incipit è indicativo: “L’articolo del Fatto avrà al più presto una risposta nel merito”. Perché questa suspence? Fonti del Tesoro spiega al Fatto l’iter: l’emendamento è stato scritto dalle grandi banche, guidate da Intesa Sanpaolo. La sponda è arrivata proprio dal ministero dell’Economia – più sensibile che mai a venire incontro al settore – e grazie alla sponda di Palazzo Chigi ha convinto Bankitalia della bontà dell’operazione. Palazzo Koch, per la verità, è sempre stato per la linea dell’“anatocismo annuale”, ma negli ultimi tempi qualcosa s’era mosso.
L’anatocismo, infatti, sarebbe vietato dal 2014 (legge di Stabilità del governo Letta) ma le banche se ne sono sempre infischiate, preferendo le condanne in tribunale. L’appiglio: mancava la delibera attuativa del Comitato interministeriale per il risparmio e il credito (Cicr), dove siedono Bankitalia e il Tesoro, che ne bloccavano l’uscita. Ad agosto, dopo che Il Fatto rivelò la natura dell’impasse, Palazzo Koch pubblicò una bozza e la mise in consultazione pubblica, chiusa a ottobre. Poi più nulla.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 20/03/2016.

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posto quest'articolo giusto a titolo esemplificativo di quello che questo, e quelli che l'hanno preceduto, del reale operato del governo e verso chi è rivolta..... è vero che le cambiali sottoscritte vanno pagate ma è anche vero, senza temere di essere smentiti, che, al di là dei proclami e delle balle mediatiche, quando si tratta di favorire gli amici degli amici non ci sono problemi nel mettere in pratica quanto richiesto o quanto serva alla bisogna...... l'anatocismo è una pratica odiosa e illegale che rende le banche del tutto simili al mondo oscuro del prestito con interessi; di solito un governo dovrebbe attenuaer se non vietare queste pratiche non favorirle...

domenica 20 marzo 2016

LA BATTAGLIA DELL’ACQUA (Stefano Rodotà)

17/03/2016 di triskel182
QUASI cinque anni fa, nel giugno 2011, ventisei milioni di italiani votarono sì in un referendum con il quale si stabiliva che l’acqua deve essere pubblica. Oggi, ma non è la prima volta, si cerca di cancellare quel risultato importantissimo, approvando norme che sostanzialmente consegnano ai privati la gestione dei servizi idrici. Non è una questione secondaria, perché si tratta di un bene della vita e perché viene messa in discussione la rilevanza di uno strumento essenziale per l’intervento diretto dei cittadini. Tutto questo avviene in un momento in cui si parla intensamente di referendum sì che, prima di approfondire la questione, conviene dire qualcosa sul contesto nel quale ci troviamo.

Una domanda, prima di tutto. Il 2016 è l’anno del referendum o dei referendum? Da molti mesi si insiste sul referendum autunnale, dal quale dipendono un profondo mutamento del sistema costituzionale e, per esplicita dichiarazione del presidente del Consiglio, la stessa sopravvivenza del governo. Ma nello stesso periodo si sono via via manifestate diverse iniziative dei cittadini per promuovere altri referendum, ma anche per raccogliere firme per presentare leggi di iniziativa popolare e per chiedere che la Corte costituzionale si pronunci sulla legittimità della nuova legge elettorale (e già il Tribunale di Messina ha inviato l’Italicum alla Consulta).
Questo non significa che quest’anno saremo chiamati a pronunciarci su una serie di referendum. Questo avverrà in un solo caso, il 17 aprile, quando si voterà per dire sì o no alle trivellazioni nell’Adriatico. Per gli altri dovremo aspettare il 2017. Ma già dai prossimi giorni cominceranno le diverse raccolte delle firme, con effetti politici che non possono essere trascurati. In un tempo dominato dal distacco tra i cittadini e la politica, dalla progressiva perdita di fiducia nelle istituzioni, questo attivismo testimonia l’esistenza di riserve diffuse di attenzione per grandi e concreti problemi, di mobilitazioni non sollecitate dall’alto che non possono per alcuna ragione essere sottovalutate. Ma non saremo di fronte soltanto ad un inventario di domande sociali. Poiché a ciascuna di queste domande si fa corrispondere una iniziativa istituzionale, questo significa che i cittadini diventano protagonisti della costruzione dell’agenda politica, dell’indicazione di temi di cui governo e Parlamento dovranno occuparsi. Non è un fatto secondario per chi vuole stabilire lo stato di salute della democrazia nel nostro Paese.
Seguiamo i diversi casi in cui si vuol dare voce ai cittadini. Una larga coalizione si è costituita intorno a tre referendum “sociali”, che riguardanolavoro, scuola, ambiente e beni comuni, per abrogare norme di leggi recenti (Jobs act, “buona scuola”) che più fortemente incidono sui diritti. Tre sono pure i referendum istituzionali, poiché a quello sulla riforma costituzionale se ne aggiungono due riguardanti l’Italicum. Le leggi d’iniziativa popolare riguardano l’articolo 81 della Costituzione, il diritto allo studio nell’università (per iniziativa della rete studentesca Link), la disciplina dell’ambiente e dei beni comuni. E bisogna aggiungere l’iniziativa della Cgil che sta consultando tutti i suoi iscritti su una “Carta dei diritti universali del lavoro”, mostrando come si vada opportunamente diffondendo la consapevolezza che vi sono decisioni che bisogna prendere con il coinvolgimento il più largo possibile di tutti gli interessati.
Sarebbe un grave errore archiviare queste indicazioni come se si fosse di fronte ad una elencazione burocratica. Vengono invece poste tre serissime questioni politico-istituzionali: come riaprire i canali di comunicazione tra istituzioni e cittadini, per cercar di restituire a questi la fiducia perduta e avviare così anche una qualche ricostruzione dei contrappesi costituzionali; come evitare che si determini una inflazione referendaria; come riprendere seriamente la riflessione su “ciò che resta della democrazia” (è il titolo del bel libro di Geminello Preterossi da poco pubblicato da Laterza). Ma sarebbe grave anche giungere alla conclusione che l’unico referendum che conta sia quello, sicuramente importantissimo, sulla riforma costituzionale, e che tutti gli altri non meritino alcuna attenzione e che si possa ignorarne gli effetti.
Sembra proprio questa la conclusione alla quale maggioranza e governo sono giunti negli ultimi giorni, nell’approvare le nuove norme sui servizi idrici, che contraddicono il voto referendario del 2011. Quel risultato clamoroso avrebbe dovuto suscitare una particolare attenzione politica e, soprattutto, una interpretazione dei risultati referendari la più aderente alla volontà dei votanti. E invece cominciò subito una guerriglia per vanificare quel risultato, tanto che la Corte costituzionale dovette intervenire nel 2012 con una severa sentenza che dichiarava illegittime norme che cercavano di riprodurre quelle abrogate dal voto popolare. Ora, discutendo proprio una nuova legge in materia, si è prodotta una situazione molto simile e viene ripetuto un argomento già speso in passato, secondo il quale formalmente l’acqua rimane pubblica, essendo variabili solo le sue modalità di gestione. Ma qui, come s’era cercato di spiegare mille volte, il punto chiave è appunto quello della gestione, per la quale le nuove norme e il testo unico sui servizi locali fanno diventare quello pubblico un regime eccezionale e addirittura ripristinano il criterio della ”adeguatezza della remunerazione del capitale investito” cancellato dal voto referendario.
È evidente che, se questa operazione andrà in porto, proprio il tentativo di creare occasioni e strumenti propizi ad una rinnovata fiducia dei cittadini verso le istituzioni rischia d’essere vanificato. Se il voto di milioni di persone può essere aggirato e messo nel nulla, il disincanto e il distacco dei cittadini cresceranno e crollerà l’affidabilità degli strumenti democratici se una maggioranza parlamentare può impunemente travolgerli.
Questo, oggi, è un vero punto critico della democrazia italiana, non il rischio di una inflazione referendaria sulla quale Ian Buruma ha richiamato l’attenzione. Le sue preoccupazioni, infatti, riguardano un particolare uso del referendum, populistico e plebiscitario, promosso dall’alto, e dunque l’opposto del referendum per iniziativa dei cittadini, che è il modello adottato dalla Costituzione. I costituenti, una volta di più lungimiranti e accorti, hanno previsto una procedura per il referendum che lo sottrae al rischio di divenire strumento di quel dialogo ravvicinato tra “il capo e la folla” indagato da Gustave Le Bon. E che prevede una separazione tra tempi referendari e tempi della politica, per evitare che questi stravolgano il senso del ricorso a uno strumento così delicato della democrazia diretta.
Anche per questa via, dunque, siamo obbligati ad interrogarci intorno al senso della democrazia nel tempo che stiamo vivendo. Di essa si è talora certificata la fine o si sono segnalate trasformazioni tali da indurre a parlare, ben prima delle recenti sgangherate polemiche, di democrazia “plebiscitaria”, “autoritaria”, “dispotica” (forse la lettura di qualche libro dovrebbe essere richiesta a chi pretende di intervenire nelle discussioni).
Articolo intero su La Repubblica del 17/03/2016.

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A Rodotà piace vincere facile nel raccontare la realtà e i suoi sviluppi..

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