sabato 26 aprile 2014

Marx to market, una nuova regola per le economie globalizzate di Roberto Marchesi dal Fatto Quotidiano del 24/4/2014

Questo non è un refuso di stampa, il riferimento a Marx si riferisce proprio a Karl Marx, e la regola, anche se non è la ben nota regola di valorizzazione delle rimanenze finanziarie (Mark to market) che per poco non ha mandato in fallimento tutte le grandi banche quotate a Wall Street nel 2008, è presumibilmente la nuova regola, ancora da scrivere ma perfettamente auspicabile, a cui si dovranno attenere tutti gli operatori finanziari del mondo se non vorranno vedere molto presto risorgere le forche nelle piazze delle principali città delle nazioni cosiddette “evolute”.
Non prendetemi per matto, o “fatto”, non ho mai preso nemmeno un grammo di droga in vita mia e prima di scrivere questo articolo ne ho letti almeno una dozzina in italiano e in inglese che avvertono tutti lo stesso pericolo (anche se non così esplicitamente come ho fatto io nel paragrafo precedente).
A scatenare una vera ridda di articoli su questo argomento è stato il libro Il capitale nel XXI secolo dell’economista francese Thomas Piketty, da poco tradotto anche in inglese e pubblicato negli Usa. Anche Il Fatto Quotidiano se ne è occupato nel febbraio scorso (Loretta Napoleoni: “Tasse globali per redistribuire la ricchezza: la proposta di Piketty”).
Del resto, nemmeno il titolo (Marx to market) è una mia invenzione, essendo questo il titolo che la rivista Bloomberg Businessweek ha dato ad un suo articolo del 19 settembre 2011. 
Diceva BusinessweekLa rinnovata attenzione per Marx e’ il minimo da attendersi in un tempo dove le banche Europee sono sull’orlo del collasso e il livello della poverta’ negli Usa ha raggiunto livelli mai visti nelle due ultime decadi”.
Anch’io ho già scritto nel 2013 su questo tema: “L’avanzata barbarica globalizzata”.
Il punto centrale della discussione è, come è facile intuire, quello della redistribuzione del reddito. Da troppo tempo ormai la ricchezza prodotta dal sistema capitalista, che nella prima metà del secolo scorso, per ragione di diversi fattori, aveva fatto crescere un benessere diffuso in molte nazioni che avevano preso il modello capitalista ad esempio, non riesce più, da almeno vent’anni, a distribuire la ricchezza prodotta con equità sufficiente a soddisfare tutte le categorie sociali.
In passato ci sono stati economisti, o politici, come Keynes, i due Roseevelt, Lyndon Johnson che, seppure operanti in nazioni ad indirizzo capitalista, hanno saputo moderare l’esosità del modello capitalista, e suggerire, o disporre, politiche di redistribuzione della ricchezza capaci di far crescere armonicamente tutta la società, e non solo, come avviene ora, di favorire la parte già benestante di essa (quel famigerato 1%, che ora molti riducono persino allo 0,01%).
Dunque aveva ragione Karl Marx? Si chiede anche il New York Times  in un dibattito del 31 marzo scorso a cui hanno partecipato 5 studiosi.
Il primo, Doug Henwood (editore di Left Business Observer), si chiede proprio come sia possibile non vedere i danni prodotti sulla società attuale dal corrente modello capitalista, i cui alfieri ai vertici delle istituzioni favoriscono sfacciatamente le grandi ricchezze a scapito dei meno abbienti. (seguono diversi esempi). Ciò che di buono poteva dare il sistema capitalista, lo ha già dato, ora appare anch’esso obsoleto e capace solo di ampliare le già ampie disuguaglianze esistenti.
E’ di diverso avviso Michael R. Strain (Studioso dell’ American Enterprise Institute) che, pur riconoscendo a Marx la serietà e qualità degli studi prodotti, ritiene che sia ormai generalizzata l’opinione della loro obsolescenza. Se oggi solo il 5,4% della popolazione globale è costretta a vivere con meno di un dollaro al giorno, contro il 26,8% del 1970, è merito della libera imprenditorialità, che lungi dallo stereotipo di sfruttare i lavoratori, ha creato invece infinite opportunità per la crescita sociale ed economica di una larga fascia di popolazione.
Yves Smith (giornalista e scrittrice), ricorda che il fulcro del pensiero economico di Marx fu quello di prevedere per il sistema capitalista, una serie di fasi di super-produzione, con conseguenti crisi correttive. (Cio che non e’ difficile da individuare oggi, anche se, invece che la produzione industriale, e’ l’attivita’ finanziaria ad essere estremamente in sovra-produzione). Secondo la Smith, Marx ha solo sbagliato i tempi. La sua previsione che gli effetti di una grave crisi possono produrre sommosse e rivolte da parte di una popolazione che non accetta piu’ di vedere i privilegi e gli sprechi di una piccola parte di essa, e’ piu’ attuale oggi che allora. Solo rilanciando i profitti della classe media, si puo’ evitare il peggio.
Tyler Cowen (professore di economia alla George Mason University) vede il nocciolo del problema distributivo nell’esagerato costo del sistema sanitario e scolastico americano. Risolvendo questi due problemi si avrebbe automaticamente un riallineamento nella distribuzione del reddito anche senza agire sulla leva retributiva e distributiva. Quindi a suo parere Marx non ha nulla da dire sotto questo profilo.
Brad DeLong (professore di economia alla Università di California Berkeley) sostiene che il pensiero fisso di Marx era quello di attribuire all’accumulazione del capitale, derivante dai continui investimenti, la responsabilità del minore potere contrattuale dei lavoratori. Ma si sbagliava. Anche la tecnologia e l’automazione hanno sollevato nel passare degli anni molte paure sulla “tenuta” della classe media che perdeva il lavoro. Ma le cose si sono sempre sistemate. Quindi si può vedere il futuro sociale o in modo ottimistico: tutto si sistemerà automaticamente grazie all’incremento delle cose che verranno prodotte, recuperando insieme alla crescita economica i posti di lavoro persi, oppure in maniera pessimistica, coi lavoratori pagati sempre peggio e pressoché schiavi di sistemi sempre più automatizzati.
Ho sintetizzato molto le risposte, ma le prime tre sono quelle che danno le risposte più attinenti al quesito posto. Alcuni (anche in altri articoli sull’argomento) si perdono a confutare sul piano tecnico-economico le teorie di Marx, trovando (abbastanza facilmente direi) gli errori, dovuti peraltro ad una società e ad un sistema produttivo radicalmente cambiato.
Sfugge quasi totalmente a queste persone l’aspetto socio-economico, che è il vero propulsore delle rivolte. Aspetto che invece viene colto in pieno da Piketty che rileva invece un sistema ormai fuori controllo sotto il profilo della redistribuzione del reddito.
Chi pensa che si tratti sostanzialmente solo di invidia verso chi guadagna molto non ha capito niente né sotto il profilo sociale né sotto quello economico.
Il richiamo a Marx non significa per nessuno (o quasi) un ritorno a quelle teorie ormai irrimediabilmente obsolete, ma significa che sottostimare le proteste e le rivolte di chi non ha più un futuro dignitoso da vivere è stupidamente folle.
Le rivoluzioni di due-tre anni fa nel nord Africa erano più per l’iniquità distributiva del reddito nazionale che per ansia di democrazia. E’ sempre questo, insieme all’ansia di libertà, il motore che spinge alle sommosse e alle rivoluzioni.
Ma nelle democrazie sviluppate la libertà c’è già e se non sapranno risolvere il problema di dare il lavoro a tutti e di pagarlo in modo sufficiente per vivere una dignitosa esistenza, l’intolleranza verso i ricchi, i manager superpagati e i politici trafficoni sarà sufficiente a mettere a rischio lo stesso sistema democratico.
E’ già successo, meno di un secolo fa.
p.s.
l'ipotesi che il massimo sacerdote, K.Marx, del capitalismo avesse ragione fa giustizia di chi per anni ha fatto di tutto per cancellarlo dalla storia
p.s.
BUON WEEK END

giovedì 24 aprile 2014

Austerità: l'ennesima prova che non funziona....

Eurostat, semmai ce ne fosse bisogno, da un altro colpo (peraltro annunciato dai fatti) alla politica dell'austerità imposta alle genti europee.... nella UE a 18 paesi perchè si il deficit è in via di risanamento ma il debito pubblico è letteralmente esploso: non solo in grecia e in italia (paesi notoriamente "spendaccioni"..... la prima con un debito schizzato al 175,1% e la seconda al 132,6%) ma pure in quelli (eccenzion fatta per la germania dove  il debito è sceso dal 81% al 78,4% azzerando il surplus e quindi raggiungendo il pareggio; naturalmente il welfare teesco è stato tagliuzzato ben ebne e molta parte del lavoro è fato da mini-job, precariato vario e contratti tipo amazon...) in via di "risanamento" (irlanda da 117,4% a 123,7%, portogallo dal 124% al 129%, spagna da 86% a 93,9%, francia 90,6% a 93,5%, cipro 86,6% a 117,7 e in quelli più virtuosi come come l'olanda dove si il deficit è passato da - 4,1% a -2,5% ma il debito è salito dal 71,3% al 73,5%..... la media è: da 90,7% (2012) al 92,6%; una debacle delle ricette e una conferma di come sia fallace l'assioma ideologico che il mercato sia il totem perfetto e che se non funziona è solo perchè nessuno ci sta a tirare la conghia o, per dirla meglio, politici e cittadini non ci stanno a pagare il dovuto.... d'altronde in passato proprio su questo blog furono postati alcuni articoli che critcavano aspramente l'idea di fondo: sia riportando la dimostrazione dell'errata interpretazione delle serie storiche (uno studentello si prese la briga, a puro titolo di esercizio, di controllarle dimostrando che erano state "falsate" perchè si dava peso a parametri del tutto irreali) sia postando un report interno dello stesso f.m.i. che evidenziava come si erano troppo sottovalutati gli effetti della crescita della tassazione sul gettito, sui redditi e sull'economia........ insomma l'idea era errata e la sua applicazione era anche peggio: nulla è cambiato e imperterriti si è continuato sulla stessa strada.
Ci sono state voci dissonanti ma sono state zittite. Si è anche dimostrato che le critiche al "deficit spending" degli stati, fatte dai rigoristi, e dai liberisti, erano del tutto infondate: il teorema di Barro-Ricardo che predicava come sia giusta l'idea che la previsione di incrementi fiscali, anche forti, sul risparmio indurrebbe si le famiglie a risparmiare ma la domanda aggregata non ne avrebbe risentito perchè l'accumulo dei risparmi fatti allo scopo l'avrebbe sostenuta nel medio periodo: non è bastato a farli cambiare idea nemmeno la dimostrazione successiva che l'assunto era del tutto errato perchè, semplicemente, era tutto teorico e ristretto a pochi ed eccezionalissimi casi.... infatti, per esempio, quando Bush ha abbassato le tasse ai ricchi spingendo alle stelle il deficit americano i risparmi delle famiglie sono andati in ... discesa anzichè in salta come sostenevano i sostenitori del teorema.
Ma cosa si aspetta a pensionare tutto il circo che è stato messo su per strozzarci dai politici tutto teso a far staccare assegni milionari ai CEO con soldi pubblici che potevano essere destinati ad opere pubbliche, investimenti, ricerca e sviluppo?
p.s.
a proposito.... il ministro padoan ha dichiarato (in inglese naturalmente in modo che pochi qui lo potessero leggere e capire al di fuori della cerchia dei soliti noti) già nell'aprile del 2013 al Wall Street journal: " le politiche di austerità abbiano prodotto buoni risultati e l’opposizione sociale ad esse non deve distogliere i governi dal “consolidamento fiscale”. In pratica il disastro europeo, sotto gli occhi di tutti, è considerato positivamente dal nuovo Ministro dell’Economia, voluto da Francoforte e Bruxelles come garanzia che tutto cambi per non cambiare nulla. Una frase fa venire i brividi: ““Fiscal consolidation is producing results, the pain is producing results,” he said.Il consolidamento fiscale sta producendo risultati, il dolore sta producendo risultati. Anche se sarà un dolore anestetizzato: “We need a softer tone, while moving in the same direction,” he said".
Chiaro, no?

Cina, la finanza ombra che droga la crescita (di Fabio Scacciavillani | 22 aprile 2014 dal Fatto Quotidiano)

A quasi sette anni dal fallimento di Bear Stearns, la Sarajevo della Grande Recessione, mentre l’economia globale arranca su un impervio sentiero di normalizzazione, la coltre di silenzi ufficiali non riesce a ovattare sussurri e grida provenienti dai grattacieli di Shanghai e dai corridoi di Pechino su un “sistema bancario ombra”, composto da trust companies (fiduciarie) opache, senza controlli e malgestite. Dato che i depositi bancari offrono tassi irrisori perché compressi dalla Banca centrale, queste fiduciarie promettono rendimenti allettanti in tempi di inflazione persistente.I fondi – raccolti da risparmiatori convinti di godere di garanzie statali – spesso finanziano palazzinari in bolletta, aziende pubbliche alla canna del gas (ad esempio miniere di carbone o acciaierie) e direttamente o indirettamente autorità locali disinvolte. Sul fenomeno governo e Banca centrale avevano sostituito saracinesche alle palpebre, illudendosi che la crescita impetuosa, a cui le fiduciarie fornivano propellente, avrebbe mondato le conseguenze nefaste. In cinque, ruggenti, anni il debito totale in Cina, secondo l’agenzia Fitch, si è gonfiato fino a raggiungere il 220 per cento del Pil a fine 2013, dal 130 per cento nel 2008, un aumento che in valore assoluto risulta pari all’intero settore bancario degli Usa. Metà di questo aumento andrebbe attribuito alla finanza ombra.
Purtroppo gli steroidi macroeconomici da investimenti sballati (pubblici o privati) si sciolgono sempre in una valle di lacrime e la Cina del laissez-faire comunista non fa eccezione. Persino il Fmi (di solito tenero con la Cina) ha avvertito che gli attivi marcescenti vanno rimossi e le catene di Sant’Antonio spezzate. Le autorità da qualche mese hanno intrapreso l’ingrato compito. Seguendo il dettato maoista sul colpirne uno per educarne cento hanno lasciato fallire alcuni pesci piccoli, effetti scenici ribattezzati “Potemkin defaults” dalle avanguardie della blogosfera che hanno sostituito quelle del proletariato. Gli squali grossi invece vengono neutralizzati con cautela e circospezione attraverso salvataggi coordinati, ad evitare un corto circuito stile Lehman. Inoltre i nuovi investimenti nelle trust companies non possono essere più utilizzati per pagare i rendimenti di quelli vecchi  e ad ogni investitore va assegnato un  conto segregato che fornisca dettagli sulle singole esposizioni piuttosto che il riferimento opaco ad un portafoglio di titoli malamente assemblato. 
Questo desiderio di ramazza però confligge con un vincolo psico-politico pavloviano. Appena la crescita del Pil si sgonfia verso il 7% per cento (cifra ufficiale, quella reale sarebbe sotto il 5) ai ministri cinesi appare minaccioso lo spettro delle rivolte. Quindi parte un’altra ondata di credito allegro che genera altri prestiti dubbi, altri immobili vuoti, altra capacità industriale obsoleta, altre infrastrutture costose. A fine 2013 si stimava a 1800 miliardi di dollari il totale degli attivi delle fiduciarie. Per quanto la cifra sia astronomica, la Cina, oltre a misure emergenziali di politica monetaria, mantiene riserve valutarie per 4 mila miliardi di dollari e potrebbe in teoria affrontare una crisi di questa portata. Ma il grosso di queste riserve sono detenute in titoli del debito pubblico Usa. Se da Pechino a New York può deflagrare il battito d’ali di una farfalla, figuriamoci una tale batosta.
p.s.
volevate sapere dove scoppierà a breve il prossimo problema? Leggete l'articolo succitato
 

martedì 22 aprile 2014

Earth day 2014: serve ancora la ricorrenza....

Ogni volta, e a ogni ricorrenza, mi sovviene il dubbio: serve davvero che ci sia una ricorrenza? Stavolta tocca all'earth day.

Iniziative, dibattiti, discussioni, ecc. ma poi... passata la festa gabbato lo santo ossia passato il giorno durante il quale tutti laviamo la coscienza tutto torna come prima più o meno: se ne sono accorti anche i media che hanno deciso di cambiare registro; niente più allarmismi nè report terrorizzanti nè altro.. ma opere di bene ossia positività e realismo (fermo restando che l'Ipcc panel, come riportato da anche da questo blog, ha parlato chiaro.. fra 17 anni o si cambia o la festa è finita) o, per dirla come va di moda ora, sobrietà. Perchè? Semplice: la gente, noi, è anestetizzata; è diventata, o ha sviluppato fa lo stesso, indifferente a tutto o quasi quindi si lascia scivolare addosso tutto, earth day compreso. Non tutti, sia chiaro, ma buona parte si. Che fare? Era necessario cambiare l'angolazione: i consumatori non sono più facili da stimolare: non hanno soldi nè voglia quindi cambiare, cambiare, cambare.. quando te fai entrare nella mente delle persone che in fondo, come scrisse un economista americano, il riscaldamento globale avrebbe si portato dei costi ma ci sarebbero stati pure dei benefici..... soprattutto per i derelitti del pianeta cosa vuoi di più.. eppoi c'è la crisi si proprio questo totem creato apposta per tenerci buoni: siamo già nei guai a causa della crisi quindi non si può far gravare sulle "povere" aziende anche i costi dell'ambiente che loro inquinano scaricandone i costi sui cittadini e sulla stato: non solo in italia ma ovunque sul pianeta.
A tutto ciò, poi, si aggiunge quello che comunemente definiamo "industrialismo" (sostenuto, questo è davvero strano, da liberisti e marxisti) ossia quell'idea che dal 1700 in poi vede una parte che ci mette i soldi e un altra che lavora per vivere vendendo professionalità, braccia ecc. d'altronde anche la religione lo sostiene, no? "Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita ..... Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!" detto tutto.... 
E' ancora valida l'idea di tenere le varie ricorrenze, earth day compresa, visto che poi il giorno dopo ogni cosa è come prima, se non peggio? Bambini continuano a morire o a lavorare 18 ore al giorno incatenati a macchine; in cina, nonostante ci sia una lotta durissima degli operai, oggi ne sono scesi in piazza 40 mila, si continua a inquinare come s'inquina negli usa e in germania.. per tacere del nostro paese: che ce ne facciamo dell'earth day?

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