Questo non è un refuso di stampa, il riferimento a Marx si riferisce proprio a Karl Marx, e la regola, anche se non è la ben nota regola di valorizzazione delle rimanenze finanziarie (Mark to market) che per poco non ha mandato in fallimento tutte le grandi banche quotate a Wall Street
nel 2008, è presumibilmente la nuova regola, ancora da scrivere ma
perfettamente auspicabile, a cui si dovranno attenere tutti gli
operatori finanziari del mondo se non vorranno vedere molto presto
risorgere le forche nelle piazze delle principali città delle nazioni
cosiddette “evolute”.
Non prendetemi per matto, o “fatto”, non ho
mai preso nemmeno un grammo di droga in vita mia e prima di scrivere
questo articolo ne ho letti almeno una dozzina in italiano e in inglese
che avvertono tutti lo stesso pericolo (anche se non così
esplicitamente come ho fatto io nel paragrafo precedente).
A scatenare una vera ridda di articoli su questo argomento è stato il libro Il capitale nel XXI secolo dell’economista francese Thomas Piketty, da poco tradotto anche in inglese e pubblicato negli Usa. Anche Il Fatto Quotidiano se ne è occupato nel febbraio scorso (Loretta Napoleoni: “Tasse globali per redistribuire la ricchezza: la proposta di Piketty”).
Del resto, nemmeno il titolo (Marx to market) è una mia invenzione, essendo questo il titolo che la rivista Bloomberg Businessweek ha dato ad un suo articolo del 19 settembre 2011.
Diceva Businessweek: “La
rinnovata attenzione per Marx e’ il minimo da attendersi in un tempo
dove le banche Europee sono sull’orlo del collasso e il livello della
poverta’ negli Usa ha raggiunto livelli mai visti nelle due ultime
decadi”.
Anch’io ho già scritto nel 2013 su questo tema: “L’avanzata barbarica globalizzata”.
Il punto centrale della discussione è, come è facile intuire, quello della redistribuzione del reddito.
Da troppo tempo ormai la ricchezza prodotta dal sistema capitalista,
che nella prima metà del secolo scorso, per ragione di diversi fattori,
aveva fatto crescere un benessere diffuso in molte nazioni che avevano
preso il modello capitalista ad esempio, non riesce più, da almeno
vent’anni, a distribuire la ricchezza prodotta con equità sufficiente a
soddisfare tutte le categorie sociali.
In passato ci sono stati economisti, o politici, come Keynes, i due Roseevelt, Lyndon Johnson che,
seppure operanti in nazioni ad indirizzo capitalista, hanno saputo
moderare l’esosità del modello capitalista, e suggerire, o disporre,
politiche di redistribuzione della ricchezza capaci di far crescere
armonicamente tutta la società, e non solo, come avviene ora, di
favorire la parte già benestante di essa (quel famigerato 1%, che ora
molti riducono persino allo 0,01%).
Dunque aveva ragione Karl Marx? Si chiede anche il New York Times in un dibattito del 31 marzo scorso a cui hanno partecipato 5 studiosi.
Il primo, Doug Henwood (editore
di Left Business Observer), si chiede proprio come sia possibile non
vedere i danni prodotti sulla società attuale dal corrente modello
capitalista, i cui alfieri ai vertici delle istituzioni favoriscono
sfacciatamente le grandi ricchezze a scapito dei meno abbienti. (seguono
diversi esempi). Ciò che di buono poteva dare il sistema capitalista,
lo ha già dato, ora appare anch’esso obsoleto e capace solo di ampliare
le già ampie disuguaglianze esistenti.
E’ di diverso avviso Michael R. Strain (Studioso
dell’ American Enterprise Institute) che, pur riconoscendo a Marx la
serietà e qualità degli studi prodotti, ritiene che sia ormai
generalizzata l’opinione della loro obsolescenza. Se oggi solo il 5,4%
della popolazione globale è costretta a vivere con meno di un dollaro al giorno,
contro il 26,8% del 1970, è merito della libera imprenditorialità, che
lungi dallo stereotipo di sfruttare i lavoratori, ha creato invece
infinite opportunità per la crescita sociale ed economica di una larga
fascia di popolazione.
Yves Smith (giornalista e
scrittrice), ricorda che il fulcro del pensiero economico di Marx fu
quello di prevedere per il sistema capitalista, una serie di fasi di
super-produzione, con conseguenti crisi correttive. (Cio che non e’
difficile da individuare oggi, anche se, invece che la produzione
industriale, e’ l’attivita’ finanziaria ad essere estremamente in
sovra-produzione). Secondo la Smith, Marx ha solo sbagliato i tempi. La
sua previsione che gli effetti di una grave crisi possono produrre
sommosse e rivolte da parte di una popolazione che non accetta piu’ di
vedere i privilegi e gli sprechi di una piccola parte di essa, e’ piu’
attuale oggi che allora. Solo rilanciando i profitti della classe media,
si puo’ evitare il peggio.
Tyler Cowen (professore
di economia alla George Mason University) vede il nocciolo del
problema distributivo nell’esagerato costo del sistema sanitario e
scolastico americano. Risolvendo questi due problemi si avrebbe
automaticamente un riallineamento nella distribuzione del reddito anche
senza agire sulla leva retributiva e distributiva. Quindi a suo parere
Marx non ha nulla da dire sotto questo profilo.
Brad DeLong (professore
di economia alla Università di California Berkeley) sostiene che il
pensiero fisso di Marx era quello di attribuire all’accumulazione del
capitale, derivante dai continui investimenti, la responsabilità del
minore potere contrattuale dei lavoratori. Ma si sbagliava. Anche la
tecnologia e l’automazione hanno sollevato nel passare degli anni molte
paure sulla “tenuta” della classe media che perdeva il lavoro. Ma le
cose si sono sempre sistemate. Quindi si può vedere il futuro sociale o
in modo ottimistico: tutto si sistemerà automaticamente grazie
all’incremento delle cose che verranno prodotte, recuperando insieme
alla crescita economica i posti di lavoro persi, oppure in maniera
pessimistica, coi lavoratori pagati sempre peggio e pressoché schiavi di
sistemi sempre più automatizzati.
Ho sintetizzato molto le
risposte, ma le prime tre sono quelle che danno le risposte più
attinenti al quesito posto. Alcuni (anche in altri articoli
sull’argomento) si perdono a confutare sul piano tecnico-economico le
teorie di Marx, trovando (abbastanza facilmente direi) gli errori,
dovuti peraltro ad una società e ad un sistema produttivo radicalmente
cambiato.
Sfugge quasi totalmente a queste persone l’aspetto socio-economico,
che è il vero propulsore delle rivolte. Aspetto che invece viene colto
in pieno da Piketty che rileva invece un sistema ormai fuori controllo
sotto il profilo della redistribuzione del reddito.
Chi pensa
che si tratti sostanzialmente solo di invidia verso chi guadagna molto
non ha capito niente né sotto il profilo sociale né sotto quello
economico.
Il richiamo a Marx non significa per nessuno (o quasi) un ritorno a quelle teorie ormai irrimediabilmente obsolete, ma significa che sottostimare le proteste e le rivolte di chi non ha più un futuro dignitoso da vivere è stupidamente folle.
Le
rivoluzioni di due-tre anni fa nel nord Africa erano più per
l’iniquità distributiva del reddito nazionale che per ansia di
democrazia. E’ sempre questo, insieme all’ansia di libertà, il motore
che spinge alle sommosse e alle rivoluzioni.
Ma nelle democrazie
sviluppate la libertà c’è già e se non sapranno risolvere il problema
di dare il lavoro a tutti e di pagarlo in modo sufficiente per vivere
una dignitosa esistenza, l’intolleranza verso i ricchi, i manager
superpagati e i politici trafficoni sarà sufficiente a mettere a
rischio lo stesso sistema democratico.
E’ già successo, meno di un secolo fa.
p.s.
l'ipotesi
che il massimo sacerdote, K.Marx, del capitalismo avesse ragione fa
giustizia di chi per anni ha fatto di tutto per cancellarlo dalla storia
p.s.
BUON WEEK END
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