venerdì 22 agosto 2014

Di Battista ha ragione..... ma la disinformazione è potente

La pelosa indipendenza del giornalismo italiano ha scritto un altra bella pagina della sua storia lunga e piuttosto piegata dalla parte del potere che paga di turno. Tutti, credo, abbiamo letto delle critiche al parlamentare M5S Di Battista, ma quanti hanno letto cosa ha scritto (questo è il link al blog dove ha fatto l'intervento) realmente e cosa oggi ha ribadito (e questo è quella che ha ribadito)? Partiamo da una foto, però:

ma guarda un pò chi c'è a pranzo? Quale accolita di amiconi abbiamo qui?  McCain e alcuni capi "TERRORISTI" dell'ISIS; Però alora questi combattevano, anche, in SIRIA contro il malvagio SATRAPO che la comanda: erano utili idioti allora ma pericolosi terroristi oggi? COME SEMPRE QUACOSA NON VA! Il vizietto dell'uso e del riuso a proprio uso e consumo non lo hanno perso. Si e naturalmente voglio tacere, perchè nota a tutti credo, su un altra foto di Donald Rumsfeld vestito da afghano che arringa i talebani ALLORA COMBATTENTI PER LA LIBERTA' CONTRO I SOVIETICI. Ma il tempo è galantuomo, sempre... ma torniamo al problema che tanto infiamma i difensori dell'occidentalismo italioti. Allora se vi prendete la briga di leggere ai due link potrete ben capire che NON ha inneggiato ai terroristi nè altro ha solo detto, e lo penso anch'io, pragmaticamente che (RIPORTO L'INTERO POST):
dal blog di beppe grillo l'intevento di Di Battista

"Dagli anni '20 ai '60
A Sèvres, nel 1921, Francia e Gran Bretagna si spartirono i possedimenti mediorientali dell'ormai decaduto Impero Ottomano.
Alla Francia andarono Libano e Siria, alla GB la Palestina, la Transgiordania e l'odierno Iraq. I confini vennero segnati utilizzando matite, righelli e, probabilmente, sotto l'influsso di qualche coppa di champagne.
Altrimenti come ci si potrebbe spiegare l'invenzione folle del Regno dell'Iraq, uno stato abitato, oltre che da decine di minoranze, da tre popolazioni profondamente diverse tra loro: i curdi, gli sciiti e i sunniti?
La drammatica storia dell'Iraq nasce tutta da qui. Colpi di stato, spinte autonomiste curde, resistenze sunnite, attentati sciiti, difesa del controllo petrolifero da parte del Regno Unito, intervento della Germania nazista. Non si sono fatti mancare nulla fuorché la pace.


La CIA e i colpi di Stato che fanno meno scalpore del terrorismo
Durante la crisi di Suez Baghdad divenne la principale base inglese, nel 1958 venne abolita la monarchia e nel 1963, anche in chiave anti-sovietica, la CIA favorì un colpo di stato per deporre Abd al-Karim Qasim, l'allora premier iracheno, colpevole di aver approvato una norma che proibiva l'assegnazione di nuove concessioni petrolifere alle multinazionali straniere. In Iraq, tra deserto, cammelli e rovine babilonesi accadde quel che già si era visto all'ombra delle piramidi maya nel 1954 quando Allen Dulles*, direttore della CIA, armò truppe mercenarie honduregne per buttare giù Jacobo Arbenz, il Presidente del Guatemala regolarmente eletto, colpevole di voler espropriare le terre inutilizzate appartenenti alla statunitense United Fruit Company e distribuirle ai contadini. Risultato? Presidenti fantoccio, guerra civile e povertà.
Mi domando per quale razza di motivo si provi orrore per il terrorismo islamico e non per i colpi di stato promossi dalla CIA. Destituire, solo per osceni interessi economici, un governo regolarmente eletto con la conseguenza di favorire una guerra civile è meno grave di far esplodere un aereo in volo?
L'Iraq, come il Guatemala o il Congo RCD hanno avuto il torto di possedere delle risorse. I poveri hanno il torto di avere ricchezza sotto ai piedi. Il petrolio iracheno è stato il peggior nemico del popolo iracheno. A Baghdad nel 1960, tre anni prima della deposizione di Qasim, Iraq, Iran, Venezuela e Arabia Saudita avevano fondato l'Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (OPEC), per contrastare lo strapotere delle “7 sorelle”, le principali compagnie petrolifere mondiali così chiamate da Enrico Mattei, il Presidente dell'ENI di quegli anni.

Mattei e la sovranità nazionale in Medio Oriente
Una digressione su Mattei è d'obbligo, se non altro per capire quanto, dall'invenzione del “profitto ad ogni costo”, ogni industriale, stato sovrano o partito politico si sia messo contro il capitalismo internazionale abbia fatto una brutta fine. E' successo a brave persone e a delinquenti, a politici democratici e a dittatori sanguinari difesi fino a che lo spargimento di sangue dei quali erano responsabili non avesse intaccato gli interessi del grande capitale. Mattei, dopo aver concluso importanti affari con l'Iran, si stata avvicinando a Qasim quest'ultimo alla ricerca di un nuovo partner commerciale che gli garantisse maggiori introiti di quelli concessi dagli inglesi. La sacrosanta ricerca di sovranità economica, politica ed energetica da parte di alcuni paesi mediorientali era ben vista da Mattei il quale, mosso da una intraprendenza tipicamente italiana e dall'ambizione di fare gli interessi dello Stato, ne scorgeva un'opportunità imperdibile.
Quando nel 1961 il Regno Unito concesse l'indipendenza al Kuwait Mattei fiutò l'affare. Baghdad ha sempre ritenuto il Kuwait parte del suo territorio e quando la GB lo proclamò stato sovrano Qasim si indignò per lo smacco subito convincendosi della necessità di trovare nuovi paesi con cui concludere affari**. Mattei e Qasim, nonostante il primo ministro Fanfani e il ministro degli esteri Segni negarono qualsiasi coinvolgimento italiano, iniziarono una serie di trattative e, sembra, che dei tecnici ENI si recarono in Iraq. Quel che è certo è che le 7 sorelle sono come i fili della luce: “se li tocchi muori”. Tre mesi e mezzo prima che Qasim, con il beneplacito della CIA, venisse trucidato a Baghdad, Mattei esplode in aria con il suo aereo privato. I mandanti e gli esecutori del suo assassinio sono ancora ignoti tuttavia è bene ricordare che Tommaso Buscetta, il pentito che descrisse per filo e per segno la struttura di “Cosa Nostra” a Giovanni Falcone, dichiarò che Mattei venne ucciso dalla mafia per fare “un favore agli stranieri” e che Mauro De Mauro, il giornalista che stava indagando sulla morte di Mattei, venne rapito e ucciso da Mimmo Teresi su ordine di Stefano Bontade***.

Il futuro è nero, come l'oro che fa scorrere il sangue
In “La verità nascosta sul petrolioEric Laurent scrive: “Il mondo del petrolio è dello stesso colore del liquido tanto ricercato: nero, come le tendenze più oscure della natura umana. Suscita bramosie, accende passioni, provoca tradimenti e conflitti omicidi, porta alle manipolazioni più scandalose”.
“Conflitti omicidi, manipolazioni scandalose, tradimenti”. Queste parole sembrano descrivere perfettamente la storia dell'Iraq moderno.
Saddam Hussein divenne Presidente della Repubblica irachena nel 1979 sostituendo Al-Bakr, l'ex-leader del partito Ba'th che qualche anno prima aveva nazionalizzato l'impresa britannica Iraq Petroleum Company. Saddam, con l'enorme denaro ricavato dalla vendita di petrolio, cambiò radicalmente il Paese. Sostituì la legge coranica con dei codici di stampo occidentale, portò la corrente fino ai villaggi più poveri, fece approvare leggi che garantivano maggiori diritti alle donne. L'istruzione e la salute divennero gratuite per tutti. In quegli anni di profonda instabilità regionale il regime di Saddam divenne un esempio di ordine e sicurezza. Tuttavia tutto questo ebbe un prezzo. I cristiani non erano un pericolo per il regime e vennero lasciati in pace ma i curdi, vuoi per le loro spinte autonomiste che per la loro presenza potenzialmente pericolosa in zone ricche di petrolio, vennero colpiti, discriminati e spesso trucidati. Lo stesso avvenne agli sciiti che non abbassavano la testa. Quando Saddam gli riversò contro le armi chimiche fornitegli dagli USA in chiave anti-iraniana nessuna istituzione statunitense parlò di genocidio, di diritti umani violati, di terrorismo islamico. Saddam era ancora un buon amico. L'amichevole stretta di mano tra il leader iracheno e Donald Rumsfeld, all'epoca inviato speciale di Reagan, dimostra quanto per gli USA la violenza è un problema a giorni alterni. Negli anni '80 Washington era preoccupata dall'intraprendenza economica di Teheran e Saddam era un possibile alleato per contrastare la linea anti-occidentale nata in Iran con la rivoluzione del '79.

Anni di guerre
Tuttavia, sebbene la Repubblica islamica iraniana fosse apertamente anti-americana gli USA fornirono armi a Teheran durante la guerra Iran-Iraq. Il denaro è sempre denaro! Con i proventi della vendita di armi all'Iran gli USA finanziarono tra l'altro i paramilitari delle Contras che avevano come obiettivo la destituzione in Nicaragua del governo sandinista regolarmente eletto.
Ovviamente gli USA (anche l'URSS - la guerra fredda diventava tiepida se si potevano fare affari assieme) finanziarono contemporaneamente Saddam. Il sogno dell'industria bellica, una guerra infinita combattuta da due forze equivalenti, era diventato realtà. Per diversi anni le potenze occidentali lasciarono Iraq e Iran a scannarsi tra loro. Un milione di morti dell'epoca non valevano, evidentemente, le migliaia di vittime provocate dall'avanzata dell'ISIS di questi giorni. Le multinazionali della morte appena finito di parlare con Saddam alzavano la cornetta e chiamavano Teheran. «Ho appena venduto all'Iraq 200 carri armati ma a te ti do a un prezzo stracciano questa batteria anticarro». Le cose cambiarono quando l'esercito iraniano prese il sopravvento. Teheran stava per espugnare Bassora quando gli USA, sedicenti cacciatori di armi chimiche in tutto il mondo, inviarono una partita di gas cianuro a Saddam il quale non perse tempo e lo utilizzò per respingere le truppe iraniane. Ma si sa, gli USA sono generosi e di gas ne inviarono parecchio. Saddam pensò bene di utilizzarne la restante parte per gassare l'intera popolazione curda del villaggio di Halabja ma in occidente nessuno si strappò le vesti, il dittatore era ancora un buon amico. Saddam divenne un acerrimo nemico quando invase il Kuwait. Anche in quel caso non furono i morti o le centinaia di migliaia di profughi a preoccupare i funzionari di Washington sempre a stretto contatto con Wall Street. La conquista irachena del Kuwait metteva in pericolo gli interessi economici statunitensi. Una cosa inaccettabile per chi da anni lavora per il controllo mondiale del petrolio. L'operazione “Desert Storm” venne lanciata, il Kuwait “liberato” ma Saddam rimase al suo posto. Un'eccessivo indebolimento dell'Iraq avrebbe favorito Teheran e questo sarebbe stato intollerabile. I bombardamenti USA causarono oltre 30.000 bambini morti ma erano “bombe a fin di bene”.

L'11 settembre
L'attentato alle Torri Gemelle fu una panacea per il grande capitale nordamericano. Forse anche a New York qualcuno “alle 3 e mezza di mattina rideva dentro il letto” come capitò a quelle merde dopo il terremoto a L'Aquila. Quei 3.000 morti americani vennero utilizzati come pretesto per attaccare l'Afghanistan, un paese con delle leggi antitetiche rispetto al nostro diritto ma che con il terrorismo internazionale non ha mai avuto a che fare, e l'Iraq. Era ormai tempo di buttare giù Saddam e prendere il pieno controllo del petrolio iracheno. La vittoria della Nato fece piombare il Paese in una guerra civile senza precedenti e le fantomatiche armi di distruzione di massa non vennero mai trovate. Ripeto, Saddam le aveva, ahimè, già utilizzate e gli USA lo sapevano benissimo. A questo punto mi domando quanto un miliziano dell'ISIS capace di decapitare con una violenza inaudita un prigioniero sia così diverso dal Segretario di Stato Colin Powell colui che, mentendo e sapendo di mentire, mostrò una provetta di antrace fornitagli da chissà chi per giustificare l'imminente attacco all'Iraq. Una guerra che ha fatto un numero di morti tra i civili migliaia di volte superiore a quelli provocati dallo Stato Islamico in queste settimane. La sconfitta del sunnita Saddam Hussein scatenò la popolazione sciita che covava da anni desideri di vendetta. Attentati alle reciproche moschee uccisero migliaia di persone. Da quel giorno in Iraq c'è l'inferno ma i responsabili fanno shopping sulla Fifth Avenue e vacanze alla Caiman. L'avanzata violenta, sanguinaria, feroce dell'ISIS è soltanto l'ultimo atto di una guerra innescata dai partiti occidentali costretti a restituire i favori ottenuti dalle multinazionali degli armamenti durante le campagne elettorali. Comprare F35 mentre l'Italia muore di fame o bombardare un villaggio iracheno mettendo in prevenivo i “danni collaterali” sono azioni criminali che hanno la stessa matrice: il primato del profitto sulla politica.

Cosa fare adesso?
L'ISIS avanza, conquista città importanti e minaccia migliaia di cristiani. In tutto ciò l'esercito iracheno, creato e addestrato anche con i soldi dei contribuenti italiani, si è liquefatto come neve al sole dimostrando, se ancora ve ne fosse bisogno, il totale fallimento del progetto made in USA che noi abbiamo sposato senza diritto di parola. E' evidente che la comunità internazionale e l'Italia debbano prendere una posizione. Se non è semplice scegliere cosa fare, anche se delle idee logiche già esistono, è elementare capire quel che non si debba più fare.

1) Innanzitutto occorre mettere in discussione, una volta per tutte, la leadership nordamericana. Gli USA non ne hanno azzeccata una in Medio Oriente. Hanno portato morte, instabilità e povertà. Hanno dichiarato guerra al terrorismo e il risultato che hanno ottenuto è stato il moltiplicarsi del fenomeno stesso. A Roma, nel 2003, manifestammo contro l'intervento militare italiano in Iraq. Uno degli slogan era “se uccidi un terrorista ne nascono altri 100”. Siamo stati profeti anche se non ci voleva un genio per capirlo. Pensare di fermare la guerra in atto in Iraq armando i curdi è una follia che non credo che una persona intelligente come il Ministro Mogherini possa davvero pensare. Evidentemente le pressioni che ha subito in queste settimane e il desiderio che ha di occupare la poltrona di Ministro degli esteri della Commissione europea, l'hanno spinta ad avallare le posizioni di Obama e degli USA ormai autoproclamatisi, in barba al diritto internazionale, poliziotti del mondo. Loro, proprio loro, che hanno sostenuto colpi di stato in tutto il pianeta, venduto armi a dozzine di dittatori, loro che hanno impoverito mezzo mondo, loro che, da soli, utilizzano oltre il 50% delle risorse mondiali. Loro che hanno invaso Iraq e Afghanistan con il pretesto di distruggere le “cellule del terrore” ma che hanno soltanto progettato oleodotti, costruito a Baghdad la più grande ambasciata USA del mondo ed esportato, oltre alla loro democrazia, 25.000 contractors in Iraq, uomini e donne armati di 24ore che lavorano in tutti i campi, dalle armi al petrolio passando per la vendita di ambulanze. La guerra è davvero una meraviglia per le tasche di qualcuno.
2) L'Italia, ora che ne ha le possibilità, dovrebbe spingere affinché la UE promuova una conferenza di pace mondiale sul Medio Oriente alla quale partecipino i paesi dell'ALBA, della Lega araba, l'Iran, inserito stupidamente da Bush nell'asse del male e soprattutto la Russia un attore fondamentale che l'UE intende delegittimare andando contro i propri interessi per obbedire a Washington e sottoscrivere il TTIP il prima possibile. Essere alleati degli USA non significa essere sudditi, prima di applicare sanzioni economiche a Mosca, sanzioni che colpiscono più le imprese italiane che quelle russe, si dovrebbero pretendere le prove del coinvolgimento di Putin nell'abbattimento dell'aereo malese. Non dovrebbe bastare la parola di Washington, soprattuto alla luce delle menzogne dette sull'Iraq.
3) L'Italia dovrebbe promuovere una moratoria internazionale sulla vendita delle armi. Se vuoi la pace la smetti di lucrare sugli armamenti. «L'economia ne risentirebbe» sostiene qualcuno. Balle! Criminalità, povertà e immigrazione sono il frutto della guerra e la guerra si alimenta di sangue e di armi. Nel 2012 la Lockheed Martin, quella degli F35, ha incassato 44,8 miliardi di dollari, più del PIL dell'Etiopia, del Libano, del Kenya, del Ghana o della Tunisia. Chi si scandalizza dei crimini dell'ISIS è lo stesso che lo arma o, quanto meno, che lo ha armato. «Armiamo i curdi» sostiene la Mogherini. Chi ci dice che una volta vinta la guerra i curdi non utilizzeranno quelle armi sui civili sunniti? In fondo non è già successo con Saddam, con i signori della guerra in Afghanistan o in Libia dove la geniale linea franco-americana che l'Italia ha colpevolmente assecondato, ha eliminato dalla scena Gheddafi facendo cadere il Paese in un caos totale?
4) L'Italia dovrebbe trattare il terrorismo come il cancro. Il cancro si combatte eliminandone le cause non occupandosi esclusivamente degli effetti. Altrimenti se da un lato riduci la mortalità relativa da un altro la crescita del numero di malati fa aumentare ogni anno i decessi. E' logico! Vanno affrontate le cause. Si condanna in Nigeria Boko Haram ma si tace di fronte ai fenomeni di corruzione promossi da ENI che impoveriscono i nigeriani dando benzina alle lotte violente dei fondamentalisti.
5) L'Italia dovrebbe porre all'attenzione della comunità internazionale un problema che va risolto una volta per tutte: i confini degli stati. Non sta scritto da nessuna parta che popolazioni diverse debbano vivere sotto la stessa bandiera. Occorre, finalmente, trovare il coraggio di riflettere su un nuovo principio organizzativo. Troppi confini sono stati tracciati a tavolino con il righello dalle potenze coloniali del '900. L'obiettivo politico (parlo dell'obiettivo politico non delle assurde violenze commesse) dell'ISIS, ovvero la messa in discussione di alcuni stati-nazione imposti dall'occidente dopo la I guerra mondiale ha una sua logica. Il processo di nascita di nuove realtà su base etnica è inarrestabile sia in Medio Oriente che in Europa. Bisogna prenderne atto e, assieme a tutti gli attori coinvolti, trovare nuove e coraggiose soluzioni.
6) Dovremmo smetterla di considerare il terrorista un soggetto disumano con il quale nemmeno intavolare una discussione. Questo è un punto complesso ma decisivo. Nell'era dei droni e del totale squilibrio degli armamenti il terrorismo, purtroppo, è la sola arma violenta rimasta a chi si ribella. E' triste ma è una realtà. Se a bombardare il mio villaggio è un aereo telecomandato a distanza io ho una sola strada per difendermi a parte le tecniche nonviolente che sono le migliori: caricarmi di esplosivo e farmi saltare in aria in una metropolitana. Non sto ne giustificando né approvando, lungi da me. Sto provando a capire. Per la sua natura di soggetto che risponde ad un'azione violenta subita il terrorista non lo sconfiggi mandando più droni, ma elevandolo ad interlocutore. Compito difficile ma necessario, altrimenti non si farà altro che far crescere il fenomeno.
7) Occorre legare indissolubilmente il terrorismo all'ingiustizia sociale. Il fatto che in Africa nera la prima causa di morte per i bambini sotto i 5 anni sia la diarrea ha qualcosa a che fare con l'insicurezza mondiale o con il terrorismo di Boko Haram? Il fatto che Gaza sia un lager ha a che fare con la scelta della lotta armata da parte di Hamas?
8) L'Italia dovrebbe cominciare a pensare alla costruzione di una società post-petrolifera. Il petrolio è la causa della stragrande maggioranza delle morti del XX e XXI secolo. Costruire una società post-petrolifera richiederà 40 anni forse ma prima cominci prima finisci. Non devi aspettare che il petrolio finisca. Come disse Beppe Grillo in uno dei suoi spettacoli illuminanti: «L'energia è la civiltà. Lasciarla in mano ai piromani/petrolieri è criminale. Perché aspettare che finisca il petrolio? L’età della pietra non è mica finita per mancanza di pietre»." Alessadro Di Battista
Note:
*Allen Dulle, famoso per aver preso parte alla “Commissione Warren”, la commissione presidenziale sull'assassinio di JFK, fu contemporaneamente direttore della CIA e avvocato delle United Fruit Company, l'attuale Chiquita. Qualche mese prima di aver sostenuto il colpo di stato ai danni di Arbenz si era macchiato della stessa vergogna in Iran. Sotto la sua direzione, infatti, venne lanciata l'Operazione Ajax per sovvertire il governo presieduto da Mohammad Mossadeq, anch'egli colpevole di aver nazionalizzato l'industria petrolifera il che avrebbe garantito introiti per il popolo iraniano e non più per le imprese anglo-americane.
**Anche in quest'ottica va letta l'invasione del Kuwait da parte di Saddam. Non si è trattato di un capriccio di un pazzo.
***Bontade e Teresi sono i due mafiosi che stipularono il “patto di non-aggressione” con Silvio Berlusconi grazie all'intermediazione criminale di Dell'Utri.
p.s.
mi dite dove ha inneggiato alla trattativa? Le cose che scrive le trovate in qualunque saggio di un qualunque obiettivo commentatore che capisca di storia e di come l'occidente, in generale, e gli anglosassoni, in particolare, hanno trattato il resto del mondo..

giovedì 21 agosto 2014

La furbizia stavolta non basterà..

Qualche tempo fa è venuta fuori, ma naturalmente ,tranne il fatto quotidiano e pochissimi altri (il sottoscritto compreso), nessuno se ne è accorto, la news che stava per entrare in funzione la nuova categorizzazione e certificazione dei bilanci degli stati e va sotto il nome di ESA 2010: e la sua composizione che è singolare dato che obbliga gli stati a tener conto dell'economia illegale.... ora i massimi esperti del settore che si trovino sotto mano una cosa del genere non possono che rispondere che "l'economia illegale (accezione larga)" è impossibile da quantificare ma si può solo stimare: ad esempio Loretta Napoleoni credo che questo direbbe. Si può stimare e basta. Certo qualcuno la può quantificare esiste: le banche che ci fanno affari e trasferiscono fondi; le agenzie finanziarie che scommettono sui mercati, anch'essi con un livello illegale (dark pool, stakeholders, ecc.), e spostano fondi enormi in pochi secondi da un punto all'altro del pianeta... ecc. Come puoi quantificare? Non puoi però puoi stimare... e nel nostro paese, dove l'illegalità è diffusa ma si fa finta di niente, ne abbiamo tutto da guadagnarci: due punti di PIL, mica male, vero (e noi siamo a tal punto interessati che addirittura ci sono state pressioni sull'istat affinchè aspettasse a tirar fuori i nuovi numeri e stime...... infatti il DEF uscirà dopo cioè a ottbre e i nostri politici urleranno alla luna per dire "che la ripresa è vicina e che i gufi sono stati sconfitti e i media si piegheranno alla ragion di stato")? Ora: è sintomatico che personaggi tristi e grigi come banchieri ed economisti possano pensare a una cosa del genere ma che la politica la accetti senza provare repulsione e opporvisi questo si che è strano:  tralasciando l'aspetto morale che poco interessa ma perchè NON LEGALIZZARE QUESTO MONDO? Da noi la storia giudiziaria è lunghissima soprattutto per la collateralità fra i due mondi: quindi se si può pensare di legalizzare la marijuana perchè non il mondo illegale (a partire dalla prostituzione) visto che, almeno dal punto di vista finanziario, vengono riconosciuti come "valore" economico al punto di entrare a far parte del mondo ufficiale, pur se grigio, dei conti pubblici? Se fossimo pratici davvero ne trarremmo le dovute conseguenze... invece, no. Puristi; moralisti; politici ecc. salteranno sulla sedia e innalzeranno alti lai ma alla fine opportunisticamente, se sono al governo, ne trarranno le dovute conseguenze e si tapperanno occhi e orecchie.. per poi ricominciare a piangere sul destino crudele. La trovo una cosa cinica ma viviamo in un mondo cinico e quindi a sto punto tanto varrebbe trarne tutte le conseguenze: almeno aumenterebbero anche le entrate fiscali... naturalmente nel nostro caso si tratta di furbizie: ma tutti sanno, compresi BCE e paesi UE, che le cose non andranno così e che comunque i nostri conti sono dopati ma la realtà è completamente diversa: e ce l'abbiamo sotto i nostri occhi la realtà, vero?

mercoledì 20 agosto 2014

M5S, gli autogol che ne oscurano i successi

di Andrea Scanzi | 19 agosto 2014

È più forte di lui, ogni tanto Beppe Grillo deve farsi male da solo. L’ultimo caso è l’avvincentissimo sondaggio sul “Giornalista dell’anno 2014“. Che senso aveva farlo? Nessuno. Il sondaggio, vinto con 3.822 voti su 16.260 da Giuliano Ferrara (Premio Stercorario 2014), è una sorta di greatest hits della rubrica “Giornalista del giorno”, che a sua volta ha generato gli spin-off  “Vignettista del giorno” e “Blogger del giorno”: spesso ci sono finiti disegnatori e blogger di questo giornale, notoriamente house organ del Movimento 5 Stelle. Grillo dirà che è una goliardata, e certo le cose gravi in Italia sono altre. Ma proprio di questo dovrebbe parlare, magari sottolineando come perfino Delrio abbia dovuto ammettere che gli 80 euro erano poco più che una sòla, o rivendicando come il M5S avesse ragione quando avvertiva che la ripresa tanto millantata dal governo Renzi fosse lungi dal verificarsi. Invece no: Grillo trova urgente lanciare il Premio Stercorario.
Da sempre il suo blog alterna articoli stimolanti (per esempio i contributi di Aldo Giannuli) e controinformazione meritoria a sfoghi ridicoli di yesmen ottusi e articolesse bolse dei primi Becchi che passano. Giornali e tivù, quasi sempre, rilanciano solo ciò che, ancor più se estrapolato arbitrariamente, può mettere i “grillini” in cattiva luce: un alibi innegabile per Grillo, ma qualcosa non torna. In primo luogo, agli italiani interessa poco di quel che scrive un giornalista. Al di là di qualche caso sporadico, i giornalisti sono emeriti sconosciuti. Nel momento in cui Grillo li espone al pubblico ludibrio, non solo li rende martiri (regalando ai detrattori ulteriori argomenti per la mitraglia) ma li toglie pure dall’oblio. Tra i nominati ci sono figure che godono a essere odiate (Ferrara, Giordano, Sallusti), persone nel frattempo scomparse (Federico Orlando) e una galassia di oscuri carneadi. Chi è Tony Jop? Chi è Michele De Salvo? Chi lo ha mai letto Stefano Menichini? Nessuno, e infatti i giornali su cui firmavano son tutti morti per mancanza di masochismo (cioè di lettori disposti a leggerli). Grillo ha regalato scampoli di celebrità a firme che, spesso, neanche vengono riconosciute quando entrano in casa loro. Figuriamoci dagli italiani.
Il secondo punto debole risiede nella sensazione sgradevole che provoca quella rubrica: spesso Grillo si è limitato a pubblicare stralci fedeli degli articoli sgraditi, senza commenti ulteriori (se non dei lettori del blog, e non erano missive d’amore). E molti di quegli articoli, in effetti, facevano abbastanza pietà. Era però nel loro diritto: Repubblica, Huffington Post o L’Unità (che nel frattempo ha chiuso i battenti) hanno tutto il diritto di criticare ferocemente il Movimento 5 Stelle. Sono giornali vicini al Pd, spesso gli dettano la linea (e vanno capiti: se aspettano Renzi, buonanotte). E Grillo e Casaleggio tutto sono fuorché infallibili. Sta poi al letttore capire chi scrive il giusto e chi no. Grillo ha fatto un calderone indistinto, al cui interno ci sono mediani del potere e talenti autentici. Per esempio, e non è l’unico in quella lista, Michele Serra. Grillo lo conosce bene. Un tempo erano amici e adesso no.
Lamentare la pochezza di Pigi Battista è come dire che l’acqua è bagnata: una banalità. Attaccare Serra perché oggi è renziano e forse (anzi sicuramente) ai tempi di Cuore non lo sarebbe stato neanche sotto tortura, è una reazione infantile. Grillo e Casaleggio, a questo punto, direbbero che nessuno come i 5 Stelle è stato massacrato a prescindere nella Seconda Repubblica. Hanno ragione, e la semplificazione vile (“Di Battista sta coi terroristi“) di un lungo post criticabile ma certo non “terroristico” (“Non sto né giustificando né approvando, lungi da me. Sto provando a capire”) è solo l’ennesimo caso di un giornalismo che ai 5 Stelle fa le pulci e ai renziani perdona tutto. Eppure i casi politicamente disperati, da quelle parti, non sembrano mancare: basta pensare alle Boschi, alle Bonafè, alle Picierno. Tutto vero, ma non è abbastanza per lanciare quel sondaggio. Non serve a niente e non frega a nessuno.
E poi c’è il terzo punto. Il più importante. Ora che quasi tutti i media incensano il “Pacioccone” Mannaro Renzi; ora che l’Europa comincia a rendersi conto che l’unica differenza tra lui e Berlusconi è che il primo ascolta gli U2 e il secondo Apicella; ora che i soli a fare opposizione e difendere la Costituzione sono i 5 Stelle: ora che tutto questo è evidente, quei nove milioni che hanno votato M5S nel febbraio 2013 – e che nel frattempo guarda caso son diminuiti – ne hanno pieni gli zebedei di questa inclinazione tafazziana. Errori simili rischiano di vanificare tutto il lavoro fatto. Non c’è più tempo per il cazzeggio, peraltro autolesionistico, e le urgenze – per i 5 Stelle, ma più che altro per il paese – sono davvero altre.
p.s.
All'analisi, che evidentemente condivido, di Scanzi aggiungo:
  1. era necessario buttar fuori l'ala "pontista" verso la Nuova destra MEGLIO NOTA COME "PD" visto che poi si son seduti allo stesso tavolo ... o forse si deve pensare che ci si voleva rinchiudere i un guscio che badasse al proprio orticello anzichè veleggiare in mare aperto?
  2. era proprio necessario sparare ad alzo zero contro il pelo (leggi i giochini in cui cadono per inesperienza i suoi deputati e senatori o le dichiarazioni, tranne quella di Di Battista che condivido in TOTO) e non la trave ossia le leggi che gli stanno passando sotto il naso e contro cui fanno solo una sterile, quanto (sempre) utile, opposizione?
  3. si vogliono proprio ridurre a una qualunque Tsipras o Sel che dir si voglia?

martedì 19 agosto 2014

Prescrizione, in Italia “lo famo strano”. La patata bollente nelle mani di Renzi

di Mario Portanova | 19 agosto 2014
La riforma della giustizia di Matteo Renzi dovrebbe arrivare in consiglio dei ministri il 29 agosto, ma c’è un nodo gigantesco che rischia di restare irrisolto: la prescrizione. La macchina giudiziaria italiana è ingolfata anche perché molti imputati che si sanno colpevoli preferiscono puntare al colpo di spugna finale percorrendo tutti i gradi di giudizio, invece di chiudere subito la partita accettando le pene scontate previste dai riti alternativi. Questo vale soprattutto per i colletti bianchi, tanto che l’Unione europea ha più volte chiesto ufficialmente al nostro Paese di riformare la prescrizione che, per come funziona ora, garantisce l’impunità a un imputato per corruzione su dieci.
L’ultimo richiamo è contenuto nelle raccomandazioni del Consiglio europeo all’Italia del 29 maggio 2013: “Occorre dar seguito alla legge anticorruzione del novembre 2012 e vi è margine per migliorare ulteriormente l’efficacia della repressione della corruzione, in particolare agendo sull’istituto della prescrizione, caratterizzato attualmente da termini brevi”. La richiesta è rimasta lettera morta per più di un anno, ma a quanto è trapelato finora la riforma annunciata da Renzi sarà ben lontana dal soddisfarla.
OGNI ANNO 100MILA PRESCRITTI. In Francia la prescrizione si interrompe appena l’autorità giudiziaria compie qualunque atto d’indagine, così come in Germania, mentre nel Regno Unito neppure esiste. E in Italia? In Italia “lo famo strano”, con un sistema che porta alla morte di oltre 100mila procedimenti penali l’anno. Anche da noi la clessidra riparte da zero ogni volta che la giustizia interviene con un ordine di custodia cautelare, una richiesta di rinvio a giudizio, una sentenza di condanna e simili, ma la legge “ex Cirielli” del 2005 (con Silvio Berlusconi premier) stabilisce che per i non recidivi (quindi la stragrande maggioranza dei politici e dei colletti bianchi coinvolti in inchieste su corruzione e criminalità economica) la prescrizione non possa essere comunque superiore al tempo fissato dalla legge (legato alla pena massima prevista per il reato) aumentato di un quarto. In Germania, tanto per dire, il limite massimo comprese le interruzioni arriva al doppio dei termini originari.
40MILA PROCESSI “SPRECATI”. L’annunciata riforma del governo Renzi, che dovrebbe essere discussa in Consiglio dei ministri il 29 agosto, potrebbe contenere soluzioni ancora più originali, secondo le indiscrezioni riportate da Repubblica: la prescrizione si fermerebbe in caso di condanna di primo grado, ma continuerebbe a correre in caso di successive assoluzioni. Una possibilità prevista anche dalla Commissione Fiorella istituita nel 2012 dall’allora ministro della Giustizia Paola Severino: l’idea, si legge nella relazione del 23 aprile 2013, è che “a ogni riscontro processuale della fondatezza dell’ipotesi accusatoria corrisponda la necessità di bloccare almeno temporaneamente il decorso della prescrizione, così da assegnare alla giurisdizione un tempo ragionevole per compiere la verifica della correttezza della decisione nei gradi di impugnazione”. Rimarrebbe così irrisolto uno dei principali problemi legati alla prescrizione all’italiana: nel 2012, sono stati quasi 39mila i colpi di spugna arrivati mentre erano in corso i processi di primo grado o di appello, con un evidente spreco di uomini e mezzi, entrambi scarsi nella macchina ingolfata della giustizia di casa nostra. Nel 2007 il governo Prodi approntò un ddl che non solo allungava i tempi, ma stabiliva che la prescrizione cessasse di scorrere in caso di condanna in appello. Ma la legislatura finì prima della sua approvazione definitiva.
Come per la legge elettorale, invece di mutuare sistemi che in altri paesi sono consolidati da anni il governo scegli vie impervie e inesplorate. Soprattutto su temi caldi per i quali l’accordo con il centrodestra – Ncd e berlusconiani – è da confezionare con il bilancino. Non a caso la riforma della prescrizione è stata un nodo di scontro durissimo tra i componenti della larghe intese di Monti, all’epoca della discussione della nuova legge anticorruzione poi approvata nel 2012, con Berlusconi pronto a far cadere il governo, nonostante il momento di massima emergenza economica, se i tempi fossero stati allungati. I “12 punti” sulla riforma della giustizia annunciati dal governo il 30 giugno – con rituale conferenza stampa in pompa magna – affrontavano il tema (al punto 9) con la dovuta cautela: “Accelerazione del processo penale e riforma della prescizione”.
I RICHIAMI DELL’EUROPA: “TROPPI CORROTTI IMPUNITI”. Eppure anche questa è una cosa che “ci chiede l’Europa“. Lo ricorda l’Ufficio studi della Camera, che il 26 maggio ha prodotto un corposo dossier sul tema: “Il rilievo dell’eccessiva brevità del termine di prescrizione è emerso in diverse sedi sovranazionali (per esempio, nel Rapporto Ocse del maggio 2013 sulla corruzione) e, in special modo, nel Consiglio d’Europa”. Proprio sul fronte della corruzione, l’ufficio studi della Camera ricorda il Rapporto del Greco (il Gruppo di Stati del Consiglio d’Europa contro la corruzione) del 2 luglio 2009, nel quale si sollecita l’Italia “ad adottare misure tali che la pronunzia giudiziale di merito sui reati contro la pubblica amministrazione pervenga in tempi ragionevoli, sottolineando che l’estinzione dei reati per prescrizione, pur in presenza di compendi probatori solidi e affidabili, costituisce motivo di sfiducia della collettività nella giustizia”. Un richiamo rinnovato nel rapporto anticorruzione della Commissione europea del 3 febbraio 2014, che sottolinea l’inadeguatezza della legge “Severino” del 2012 su questo fronte. Il rapporto cita uno studio secondo il quale i procedimenti per corruzione estinti nel nostro Paese per scadenza dei termini di prescrizione sono intorno al 10% ogni anno, contro una media negli altri Stati Ue dallo 0,1 al 2%.
Nel 2012 (ultimo dato ufficiale disponibile) sono stati dichiarati prescritti 113mila procedimenti penali, il 7% di tutti quelli giunti a una conclusione. Un dato in calo (erano 207mila nel 2003), ma pur sempre “un’intollerabile abdicazione” dello Stato, l’ha definita il presidente della Cassazione Giorgio Santacroce all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2014.  In Cassazione, sottolinea l’ufficio studi della Camera, il 13,7% delle prescrizioni riguarda i reati contro la pubblica amministrazione. I presunti tangentisti sono tra i principali beneficiati della prescrizione all’italiana. I termini scattano dal momento in cui il reato vine commesso, in genere molto prima che si apra la relativa indagine, e le pene lievi (leggermente inasprite dal nuovo testo anticorruzione del 2012) comportano altrettanto brevi tempi di scadenza. Il resto lo fanno i buoni avvocati che spesso i colletti bianchi possono permettersi. Risultato, ha rivelato l’Espresso nel febbraio scorso, in un Paese sempre punito dalle classifiche internazionali sulla trasparenza, tra i detenuti in carcere “si contano soltanto 11 accusati per corruzione, 26 per concussione, 46 per peculato, 27 per abuso d’ufficio aggravato”.
GERMANIA, PER I POLITICI LA PRESCRIZIONE E’ LUNGA. La prescrizione è una garanzia per il cittadino, e infatti è prevista da molti ordinamenti. Solo che altrove  è regolata in modo più lineare. E’ sempre l’Ufficio studi della Camera a informarci che in Francia il termine per perseguire i reati più gravi ( i “crime”, crimini, nel diritto francese) è di dieci anni, ma “possono essere interrotti da qualsiasi atto di istruzione e di azione giudiziaria”. In Germania i tempi sono ancora più lunghi, ma soprattutto: “Nel caso di reati compiuti da membri del Parlamento federale o di un  organo legislativo di un Land”, la prescrizione viene computata non da quando è stato commesso il reato, ma “a partire dal momento in cui viene avviato il procdiomento a carico del parlamentare”. Ecco un’altra pratica che difficilmente troverà spazio nella riforma della giustizia targata Renzi-Alfano-Berlusconi. In uno Stato indubbiamente di diritto come il Regno Unito, la prescrizione in sé non esiste, e limiti all’inizio di un’azione penale sono posti solo per i reati più lievi, mentre per i più gravi, le “indictable offence”, “non sussitono limiti temporali”, e comunque è il giudice che valuta caso per caso “la sussistenza del’interesse pubblico nell’esercizio dell’azione penale” anche se è passato molto tempo dal fatto.
p.s.
aggiungo solo che se queste sono le riforme..... se ne può fare volentieri a meno sia di queste che di tutte le altre!

lunedì 18 agosto 2014

Debito pubblico, il dilemma di Renzi. Ecco tutte le ipotesi in campo per tagliarlo

di Redazione Il Fatto Quotidiano | 18 agosto 2014
Che la vera emergenza italiana sia la zavorra del debito pubblico non è certo una notizia. Ma in questa seconda metà di un agosto caldissimo sul fronte dell’economia è diventato evidente che, più del paletto del 3% per il rapporto deficit/Pil, la partita cruciale che il governo Renzi si prepara a giocare con Bruxelles è proprio quella sullo stock del debito, che ha appena toccato i 2.168 miliardi di euro. Così, mentre qualcuno ipotizza negoziati più o meno segreti per ottenere dalla Commissione sconti sul “rientro” imposto a partire dal prossimo anno dal Fiscal compact, economisti e opinionisti si sbizzarriscono nel mettere sul tavolo proposte più o meno risolutive per scalfire la montagna di un disavanzo salito oltre il 135% del Prodotto interno lordo. Le trovate qui sotto. Si va dalla “parziale ristrutturazione” ipotizzata da Lucrezia Reichlin, ex direttore della ricerca della Bce e ora docente alla London Business School alla creazione, sostenuta dal sottosegretario Angelo Rughetti e dall’imprenditore vicino al premier Marco Carrai, di fondi garantiti dal patrimonio pubblico le cui quote andrebbero vendute a investitori istituzionali e famiglie. Il ricavato andrebbe, appunto, a tagliare il debito. Meccanismo simile per i “mattone bond” lanciati dal Sole 24 Ore e da affiancare a “un ritocco contabile” sui versamenti dell’Italia al Fondo europeo di stabilità finanziaria. Peccato che dalle pagine del Corriere della Sera Lorenzo Bini Smaghi, ex membro del comitato esecutivo della Banca centrale europea e oggi nel consiglio di amministrazione di Morgan Stanley international, geli chi “si illude” di poter “effettuare operazioni di riconversione o ristrutturazione del debito in modo ordinato”: “Non esistono soluzioni miracolose”, è l’ammonimento. E l’Italia, diversa,emte da Atene nel 2011, “di alternative, ancora (per un po’) ne ha”. Che probabilmente il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan sottoscriverebbe. Non è un mistero infatti che via XX Settembre punti sulle (seppur lente e difficoltose) privatizzazioni, da cui spera di ricavare ogni anno lo 0,7% del Pil, e sia invece contraria a qualsiasi intervento shock che possa spaventare gli investitori esteri. Non per niente il Tesoro nei primi sei mesi dell’anno, approfittando dei bassi tassi di interesse, ha anzi “messo fieno in cascina”, emettendo più titoli di Stato del necessario e accumulando liquidità per oltre 105 miliardi
La linea Rughetti: un fondo con immobili e società statali – Il sottosegretario alla Pubblica amministrazione Angelo Rughetti ha detto al Messaggero che “con il solo avanzo primario non usciremo mai” dalla spirale del debito. Per questo l’esecutivo dovrebbe dare “un segnale” collegando alla Legge di Stabilità “un’operazione che contenga un piano a 20 ani a per la riduzione del debito pubblico con la creazione di un fondo dove immettere il patrimonio pubblico, mobiliare e immobiliare, e poi cedere il 49% delle quote del fondo stesso”. La misura “potrebbe essere inserita in un disegno di legge ad hoc” e “dovrebbe riportarci sotto il 100% del rapporto tra debito e Pil”. Da notare che per riuscirci occorrerebbe ricavare oltre 500 miliardi di euro, cioè appunto la differenza tra l’ammontare del “rosso” italiano e il valore del prodotto interno. Facile a dirsi. Anche perché è ben noto che i “gioielli” italiani, soprattutto quelli immobiliari che il Demanio e i governi di ogni colore da anni tentano di piazzare, non presentano particolare appeal agli occhi degli investitori.
Il fondo Patrimonio Italia di Carrai – L’idea del renziano Carrai riprende quella avanzata nel 2005 (ma all’epoca il debito era al 106,6% del Pil) dal giurista Giuseppe Guarino: creare un maxi-fondo a cui conferire “gli asset morti dello Stato per estrarne valore”. “L’immenso patrimonio immobiliare pubblico”, ha scritto su Mf il presidente del Cambridge Management Consulting Labs, “si può considerare dal punto di vista reddituale patrimonio morto”, “per non parlare del patrimonio spesso in capo agli enti locali o al forze armate non utilizzato e non a reddito”. Gli attivi del fondo verranno venduti “una parte a investitori istituzionali e fondi sovrani ma anche al cosiddetto Bot People”. Con il risultato di “abbattere di circa 2-300 miliardi il debito pubblico dello Stato”.
La ristrutturazione invocata da Reichlin e ModyLucrezia Reichlin e l’economista indiano Ashoka Mody, ex funzionario del Fondo monetario internazionale e oggi ricercatore del think-tank Bruegel, propugnano una vera e propria ristrutturazione del debito. Mody è arrivato a dichiarare al Telegraph che le autorità italiane dovrebbero iniziare a consultare “brillanti avvocati esperti in debito sovrano” per capire come non ripagare interamente gli interessi ai possessori di titoli di Stato. Anche Reichlin, in una recente intervista a Repubblica, ha rispolverato quello che da sempre è il suo cavallo di battaglia: una “redenzione” di parte del debito. “Assumiamo che per l’Italia il 40% del debito sia dovuto alle crisi: questa parte viene cartolarizzata e acquistata a sconto da una bad bank europea che poi la rimette sul mercato”, ha spiegato al quotidiano di Largo Fochetti. “Con un debito così alleggerito l’Italia può finanziare le iniziative di rilancio”.
Il taglio da 200 miliardi in tre mosse proposto dal SoleIl quotidiano di Confindustria, alla vigilia di Ferragosto, ha messo sul piatto una proposta articolata in tre mosse per ridurre il debito di 300 miliardi: una società-veicolo con in pancia immobili per 60 miliardi, un “ritocco contabile” sul contributo di Roma al fondo salva-Stati e la privatizzazione delle società municipalizzate già contenuta nel piano del commissario alla spending review Carlo Cottarelli. Il primo punto prevede la nascita di una società ad hoc a cui trasferire attivi per 60 miliardi. Quest’ultima venderebbe poi le proprie quote a investitori privati e utilizzerebbe l’incasso per acquistare gli immobili riducendo il debito pubblico per la stessa entità. Per pagare gli interessi potrebbe contare sul “pagamento dell’affitto che lo Stato andrebbe a pagare sugli immobili”. Secondo il Sole, la proposta risulterebbe appetibile per l’investitore privato “a caccia di rendimenti sicuri con una remunerazione più elevata rispetto ai Bot e ai Btp”. Il secondo comparto del pacchetto consiste nel trasferimento al nuovo Meccanismo europeo di stabilità (Esm) delle passività del Fondo europeo di stabilità finanziaria (Efsf) nato nel 2010, perché i titoli emessi dal primo non vanno a pesare sui debiti pubblici nazionali. La decisione, tuttavia, spetta a Bruxelles. Infine la privatizzazione delle municipalizzate, processo “che attiverebbe anche risparmi da 800 milioni l’anno”.
Il piano di Mediobanca con il coinvolgimento di Cdp- Non si contano, d’altronde, le proposte taglia-debito avanzate negli anni da economisti e esponenti politici e rimaste nel libro dei sogni: dagli eurobond” di Alberto Quadrio Curzio e Romano Prodi, di recente rilanciati anche dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio ma avversati strenuamente da Angela Merkel, al piano di Paolo Savona e Angelo Maria Rinaldi basato su fondo partecipato da Cassa depositi e prestiti e Fintecna. La Cdp è stata chiamata in causa anche da Antonio Guglielmi, capo analista di Mediobanca Securities, che nel 2012 ha illustrato al Cnel un’operazione di dismissione di partecipazioni statali, immobili e riserve auree di Bankitalia per un valore di 200 miliardi. La Cassa, a cui sarebbero state trasferite, avrebbe poi dovuto finanziarsi emettendo obbligazioni “garantite” da quegli stessi “gioielli” e dunque meritevoli di un rating superiore anche a quello dei titoli sovrani italiani.
p.s.
vacanze finite... ma non va meglio. I peggiori incubi si stanno avverando: con gli incapaci che ci governano e le lobby che succhiano soldi a sbafo. nostri, non c'è scampo: (s)vendere, (s)vendere questa è ormai la parola d'ordine del giorno. Altro che riforme e specchi per le allodole, qui il vero problema è una clase dirigente che VA cambiata a partire dagli alti colli per finire nelle più piccole viuzze dello spreco pubblico e privato.

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