sabato 21 marzo 2020

Coronavirus, Ricciardi: "Italia pronta a seguire il modello Seul"

Fonte: Affari Italiani.it Cronache Sabato, 21 marzo 2020 - 11:09:00
Ma in Corea del Sud i contagi ora tornano a crescereLa Corea del Sud ha limitato i contagi individuando i soggetti positivi e tracciandone gli spostamenti. Una strada che adesso anche l'Italia potrebbe seguire, riferisce a Repubblica online Walter Ricciardi, consulente scientifico del ministro della Salute Roberto Speranza, che paragona la curva dei contagi in Corea del Sud (8.652 infetti e 92 morti) con quella italiana (47mila contagiati ufficiali dall'inizio dell'epidemia e 4.032 morti). "Anche io studio da giorni questo grafico - ammette Ricciardi - e piu' lo guardo piu' mi convinco che dobbiamo seguire la strategia adottata da Seul. D'accordo con il ministro, sto proponendo che la si adotti anche in Italia, abbiamo gia' attivato un gruppo di studio per definire i dettagli".
"Ci stiamo lavorando", aggiunge Ricciardi. "Ma una volta risolti i problemi relativi alla privacy, penso con una legge ad hoc, siamo pronti a partire, perche' dal punto di vista tecnologico abbiamo tutto cio' che occorre, a cominciare dagli operatori del settore (compagnie telefoniche, banche, ecc.) che ci hanno offerto il massimo della collaborazione". Secondo Ricciardi, se dovesse arrivare il via libera, il modello coreano potrebbe diventare "una strategia nazionale e la applicherei anche alla Lombardia. La nostra curva si appiattira' per le misure di contenimento - osserva - ma assai piu' lentamente rispetto a quella coreana che si e' stabilizzata a velocita' supersonica. Se pero' noi attiviamo la stessa strategia di Seul possiamo accelerare. E' questo che ora dobbiamo cercare di far capire a tutti"
CORONAVIRUS: COREA DEL SUD, DOPO AUMENTO CASI IMPOSTE NUOVE MISUREIl primo ministro sudcoreano Chung Sye-kyun ha invitato alla chiusura delle strutture che ospitano funzioni religiose ed eventi sportivi o di intrattenimento e raccomandato i cittadini a rispettare le misure di distanziamento sociale per i prossimi 15 giorni. Qualsiasi assembramento, ha detto, verrà disperso dalla polizia. La decisione giunge dopo che nel Paese sono stati riportati 147 nuovi casi di contagio da coronavirus, rispetto agli 87 registrati il giorno precedente. In Corea del Sud sono ad oggi stati riportati 8.799 casi, coh 104 decessi.Il Paese è stato preso ad esempio per la sua capacità di risposta all'emergenza coronavirus. "Potreste pensare che l'attuale situazione sia migliorata molto rispetto al passato, ma continuiamo a vedere infezioni di gruppo, infezioni da Paesi stranieri e focolai di massa in vari luoghi di lavoro", ha detto Yoon Tae-ho, direttore generale per la politica di sanità pubblica nel corso di un briefing alla stampa.

giovedì 19 marzo 2020

Coronavirus, perché così tanti morti in Italia? C’è una risposta ottimistica e altre meno

Fonte: Il Fatto Quotidiano Cronaca - 19 Marzo 2020 Marco Lillo
Il triste sorpasso di oggi (l’Italia totalizza 3.405 morti da Covid-19 contro le 3.245 morti dichiarate in tutta la Cina) impone una domanda: perché così tanti morti in Italia rispetto alla Cina, alla Germania o alla Corea del Sud? I morti in Germania sono stati 43 su 14mila e 481 positivi. In Corea del Sud i morti sono sono 91 su 8mila e 565 casi e in Cina i morti sono 3.245, poco meno dell’Italia ma su 81mila 155 casi.
C’è una risposta ‘ottimistica‘ e altre che lo sono molto meno a questa domanda.
La prima risposta è che la ragione risiede nel diverso modo di rilevazione delle morti. Cioè in Italia cataloghiamo come morti da Covid-19 anche i cosiddetti ‘morti con il coronavirus’ ma che avevano altre patologie. Mentre in Cina, Germania e Corea del Sud, è il corollario, i medici non rileverebbero e non inserirebbero quel tipo di morti ‘non per ma con coronavirus’ nelle statistiche.
Purtroppo per noi, quando questa domanda è stata posta ai funzionari dell’Oms che si stanno occupando della pandemia a livello europeo, la risposta non è stata questa. Durante la conferenza dell’Organizzazione Mondiale della Sanità del 17 marzo scorso a Copenaghen (alla quale Il Fatto ha partecipato on-line, di seguito il video integrale) la domanda è stata posta da Bloomberg. La risposta che potrete ascoltare (minuto 28 circa) è di Richard Pebody, capo del team di intervento sulle emergenze infettive in Europa dell’Oms. Pebody premette che non c’è una risposta certa a questa domanda e conclude che bisogna studiare ancora il tema però nel mezzo fa delle ipotesi.
A questo punto potremmo dire, va bene, aspettiamo la fine degli studi. Purtroppo non stiamo parlando di un tema di ricerca astratta. La discussione sulle ragioni della differenza tra Italia e Germania non è una speculazione inutile perché dalle conclusioni di questa analisi derivano istruzioni immediate e impellenti per chi deve pensare i piani d’azione per combattere non domani ma oggi il virus.
Quando gli chiedono se il tasso di mortalità è così alto in Italia per via del differente sistema ospedaliero, per ragioni demografiche (più anziani) o per il differente modo con il quale i paesi classificano i pazienti, Richard Pebody, Team leader europeo per la gestione dell’emergenze infettive dell’Oms risponde: “Gran bella domanda. Non abbiamo una risposta certa. Probabilmente è una combinazione dei fattori che lei sottolinea”.
Pebody però non si ferma qui. E aggiunge che la ragione potrebbe essere proprio il diverso modo di conteggiare i malati (non i morti) nei diversi paesi. Secondo Pebody alcuni paesi fanno i test ai malati solo quando presentano sintomi acuti mentre altri li fanno anche a chi presenta solo sintomi lievi. Il funzionario dell’Oms non la nomina ma si riferisce all’Italia.
Il punto è che finora ci eravamo cullati nella certezza che l’Italia avesse fatto più test degli altri paesi. Ciò è vero in termini assoluti rispetto a paesi come la Germania ma non vale nemmeno in termini assoluti verso la Corea. Con 51 milioni di abitanti, meno dell’Italia quindi, Seoul ha fatto quasi il doppio dei test. La ‘pesca’ a strascico dei coreani ha scoperto poco più di 8mila casi. La pesca più mirata degli italiani (solo sui malati gravi ultimamente) ha prodotto quasi cinque volte più casi. Allora c’è da domandarsi quanti ‘pesci’ ci sono da pescare nel nostro mare. Cioè quanti casi avremmo trovato in Italia e soprattutto nel nord del paese se avessimo applicato anche noi la tecnica di caccia estensiva al virus dei coreani.
In altri termini una possibile spiegazione della differenza Italia-Corea sembra essere non tanto il denominatore (i morti con altre patologie rilevati come da Covid-19 in Italia e non in altri paesi) ma il numeratore (cioè i malati che in altri paesi sono ‘ricercati’ con più aggressività dalle autorità anche se con sintomi lievi) ergo la situazione dell’Italia è peggiore di quel che sembra ed è fotografata non solo dai malati ‘rilevati’ ma anche dalle morti effettivamente avvenute. Cioè la ‘fotografia’ da incubo con più di 40mila malati, in questa logica, sarebbe persino ottimistica. Mentre sarebbe più fedele la diagnosi del malato Italia fatta partendo dai certificati di morte.
Questa tesi risulta confermata da un dato italiano: la Regione Veneto che ha cercato di fare molti test con un approccio più sudcoreano, ha un tasso di mortalità più basso della Lombardia. Questo stesso ragionamento fatto sopra nel paragone Corea-Italia o Veneto-Lombardia non trova immediato riscontro per la Germania che ha fatto meno test di noi.
In questo caso si potrebbe spiegare il tasso di mortalità diverso con il differente ritmo dei contagi, più rapidi delle morti, che invece seguono un’onda più lunga, tanto che in Cina, i contagi interni sono ormai pari a zeri ma ogni giorno si registrano ancora diverse morti. E l’impennata dei morti in Germania delle ultime ore andrebbe in questo senso. Però la risposta almeno in parte potrebbe risiedere nei diversi livelli della sanità italiana e tedesca, che almeno per il numero attuale dei malati sta rispondendo meglio.
Tornando alle possibili spiegazioni alternative alla prima dei test, nella sua risposta a Bloomberg, Richard Pebody, dopo avere esaminato il tema dell’atteggiamento diverso in fase di ‘caccia alla malattia’, prosegue dicendo che, qualora invece il rapporto tra malati e morti non fosse falsato da questa discrasia di rilevazione dei primi, resterebbero alcune variabili da considerare: le differenze demografiche tra i paesi e i differenti livelli di assistenza.
La dottoressa Dorit Nitzan, coordinatrice delle emergenze in Europa, è sembrata propendere per la tesi demografica più che per la tesi del diverso (nel senso di peggiore) livello della sanità italiana rispetto a Corea o Germania. Nella medesima conferenza stampa infatti Nitzan ha invitato alla cautela nel trarre conclusioni sul tasso di mortalità e ha fatto notare che i coreani hanno lavorato bene ma sono stati aiutati rispetto all’Italia dalla demografia: le persone malate, poi guarite, erano spesso donne (che reagiscono meglio al virus) e giovani.
La risposta complessa alla domanda sull’elevato tasso di mortalità italiano può dunque essere così sintetizzata: certamente noi italiani siamo tra i più anziani al mondo (secondi dopo i giapponesi) e come è noto gran parte delle vittime del Coronavirus ha più di 70 anni. Però ci sono altri due possibili fattori che potrebbero spiegare almeno una parte della differenza tra l’Italia e gli altri paesi: non facciamo abbastanza test per avere una fotografia della realtà nitida come quella scattata alla popolazione coreana. E forse, quando Richard Pebody accenna al diverso livello dei servizi sanitari, potrebbe anche alludere all’incapacità del sistema sanitario nazionale, sfiancato dai tagli e dalle privatizzazioni, di affrontare una simile emergenza come può fare la Germania.
L’età media del paese non è colpa di nessuno e non è una variabile sulla quale possiamo incidere. Sui livelli di assistenza possiamo impegnarci di più ma nei limiti delle risorse disponibili. Sui test invece possiamo e dobbiamo decisamente fare di più.

mercoledì 18 marzo 2020

Coronavirus e socialismo, l’epidemia ci sta rivelando una verità rimasta finora sotto traccia

Fonte: Il Fatto Quotidiano Società - 18 Marzo 2020 Diego Fusaro
Non mi stancherò di ripeterlo. La situazione tragica in cui, a causa della diffusione pandemica del Coronavirus versano l’Italia e, sempre più palesemente, il resto del mondo è rivelativa. È rivelativa, se non altro, di alcuni aspetto che, fino a oggi, erano rimasti sotto traccia. E che adesso prorompono in superficie con evidenza incontenibile.
Intanto, come s’è già in altra occasione rammemorato, è emersa la reale essenza della Ue come impaccio e non come sostegno per i popoli europei in difficoltà: l’ha ammesso perfino il Presidente Mattarella, senza troppe perifrasi. La Ue ostacola l’Italia, addirittura rischia di affondarla (si ricordino le irresponsabili parole della Lagarde).
Affiora poi, con limpido profilo, la falsità evidente dello storytelling politicamente corretto ed eticamente corrotto che da anni viene diffuso a reti unificate dagli araldi dell’ordine globalcapitalistico (giornalisti, operatori dei media, intellettuali al guinzaglio): il nuovo ordine mentale di completamento del nuovo ordine mondiale liquido-finanziario ci ha per anni raccontato che il privato era la panacea universale e che, per converso, il pubblico era il male assoluto.
Ebbene, è ora lampante che se sopravvivremo a questa catastrofe, sarà grazie al pubblico: grazie alla sanità pubblica e a quegli eroi che sono gli infermieri e i medici italiani. Lo storytelling egemonico ci ha ripetuto ad nauseam che il nemico principale era l’asse del male composto dagli “Stati canaglia” totalitari, comunisti e nemici dei diritti umani.
Eppure scopriamo ora che alcuni di quegli Stati stanno inviando aiuti all’Italia: la Cina, il Venezuela e Cuba stanno inviando medici, l’ha apertamente ammesso la Regione Lombardia. Non erano Stati canaglia totalitari? In compenso, quello che i monopolisti del discorso celebrano come il regno della democrazia e dei diritti umani, la monarchia del dollaro, non sta facendo nulla per l’Italia e, verosimilmente, nemmeno per le fasce deboli della sua stessa popolazione: quelle che, senza copertura sanitaria pubblica, saranno verosimilmente destinate a morire come le mosche, nel silenzio generale e nel bel mezzo della società opulenta.
La verità, che oggi risplende più che mai, è che l’alternativa continua a essere quella tra socialismo o barbarie: è l’alternativa tra un’“umanità socializzata” (Marx), di Stati sovrani e solidali tra loro, che si relazionano come fratelli, e un “regno animale dello Spirito” improntato alla guerra di tutti contro tutti e alla concorrenza universale tra gli Stati come tra gli individui.

martedì 17 marzo 2020

Coronavirus: L’Europa non c’è più. Spazzata via dal Virus

Fonte: W.S.I. 14 Marzo 2020, di Leopoldo Gasbarro

Nulla sarà più come prima.
Sono bastati due giorni per sfaldare due istituzioni. L’Europa di fatto non c’è più. Le dichiarazioni della Lagarde, che alla guida della BCE ha scatenato il più pesante domino negativo della finanza internazionale, ma soprattutto italiana degli ultimi 80 anni, ne hanno segnato la fine.
I crolli in borsa stanno esponendo a rischi sempre più forti le aziende del nostro Paese.
Provate dal Coronavirus, distrutte dalla finanza.
Hanno perso capitalizzazioni importanti e rischiano di essere acquisite con maggior facilità. Non dimentichiamo la storia.
Con la Lagarde alla guida del Fondo Monetario Internazionale la Grecia è stata fatta a pezzi e svenduta soprattutto ad aziende tedesche.
Che si voglia fare la stessa cosa con l’Italia?
Approfittare del momento di difficoltà, approfittare del fatto che il Paese non abbia risorse ma solo debiti per fare dell’Italia ciò che è stato fatto della Grecia?
Ma l’Italia non è la Grecia.
L’Italia ha risorse economiche private e risorse imprenditoriali capaci di dare risposte forti, in ogni settore.
Questa Pandemia sta creando sempre più distanza dove non c’era prima e sta creando spaccature sempre più profonde lì dove distanza c’era già. La sta creando tra le persone, la sta creando tra le nazioni.
E con la Germania vicinanza non c’è mai stata.
La Germania appunto.
Se l’Europa non ci sarà più sarà anche per l’atteggiamento d’ostruzione da parte della Germania nel congelare all’interno dei suoi confini le mascherine necessarie soprattutto ai medici che lottano in corsia, nei centri di terapia intensiva, contro una malattia di cui non conoscono la cura, contro una malattia che sta minando la salute ed uccidendo tanti operatori del settore.
Come si fa ad accettare tutto questo? Sembra un episodio marginale, ma non lo è.
L’Italia è stata presa d’assalto da un nemico invisibile di natura virale, l’Italia è stata invasa e nessuno, ancor meno tedeschi e francesi, si sono posti il problema di supportarla contro un nemico che ora è entrato anche nelle loro case, nelle loro famiglie, nei loro ospedali.
L’Europa non c’è più.
O non c’è mai stata.
L’Europa che ha fatto di tutto per salvare le banche, soprattutto quelle tedesche, francesi, spagnole, portoghesi, irlandesi, olandesi, inglesi e scandinave e che invece ha preteso massima austerità e rigore quando è stato il momento di far saltare le banche di casa nostra.
Il Bail-in, in Italia, è stato applicato ancor prima che entrasse realmente in vigore. Quanti miliardi di risparmi hanno preso il volo con i fallimenti di Banca Popolare dell’Etruria, Carichieti, Cariferrara, BancaMarche, Popolare di Vicenza e VenetoBanca? Quante pressioni sono state fatte contro Carige, MontePaschi e Popolare di Bari?
Ed invece cosa succede ai colossi bancari tedeschi dai piedi d’argilla?
Basta con quest’Europa.
Un’ Europa che ha messo sul piatto dei salvataggi bancari e dell’Euro la somma straordinaria di 3600 miliardi, si avete capito bene TREMILASEICENTO MILIARDI, e che in pratica, non ha messo nulla sul piatto molto più importante dettato dall’urgenza di salvare migliaia di vite oltre che l’economia di un intero Paese.
Come si fa a pensare che l’Europa dopo tutto questo ci possa ancora essere?
C’è voluto l’intervento-toppa di Ursula Von Der Leyen a ridare un pizzico di fiducia  ai mercati, dopo la sciagurata conferenza stampa di Christine Lagarde che aveva annunciato di non essere in grado di poter entrare negli affari che riguardano lo spread dei singoli Paesi. Perfino Mattarella si è sentito in dovere di richiamare l’Unione Europea ai suoi valori di solidarietà.
Ma finora si sono sentite solo parole, inutili parole, futili parole.
Servono respiratori, letti, mascherine, guanti, 
anti-contaminazione, basta con le parole.
L’Europa non c’è più. L’Europa dell’austerity tedesca, la stessa austerity che ha portato i tagli alla sanità italiana e che ora è costretta a combattere una guerra sempre più difficile da sostenere.
L’Europa non c’è più.
Ma non c’è più il governo italiano.
Oggi è stato esautorato dalla decisione di Fontana di prendere con se Bertolaso.
Una scelta che andava fatta a livello nazionale. Bertolaso andrà a gestire l’emergenza in Lombardia. Una Lombardia che sta pagando un prezzo altissimo. L’emergenza è stata urlata ai 4 venti, per giorni. Oggi Fontana ha fatto da solo. Bertolaso aprirà i 400 posti letto già pronti in fiera e che la burocrazia sta bloccando, così come ha bloccato per ore, oggi, un aereo in partenza da Pechino che sta portando in Italia mascherine ed altro materiale a supporto dei sanitari lombardi.
La Pandemia sta creando un vuoto di potere nazionale ed internazionale. Come verrà riempito?
Forse è arrivato il momento di dichiarare fine a questa Europa, magari ricreandone un’altra.
Il sistema prova la sua forza o la sua debolezza proprio nell’emergenza.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti.

lunedì 16 marzo 2020

Coronavirus, quando torneremo alla nostra vita normale ricordiamoci di chi non lo può fare

Fonte: Il Fatto Quotidiano Società - 15 Marzo 2020 Loretta Napoleoni
Ormai esiste solo una notizia e si chiama coronavirus. Come nei film di fantascienza il mondo occidentale si sgretola, crollano tutte le certezze dell’era del benessere infinito, della salita inarrestabile degli indici, delle vacanze perenni, delle navi da crociera-grattacieli e del consumo vorace di tutto, dai social media alle series di Netflix, dal cibo gourmet ai selfie davanti alle opere d’arte.
E’ bastato un microscopico virus a porre fine alla baldoria del secolo. Solo negli Stati Uniti si continua a ballare sul Titanic che affonda. Qui nella terra dell’impero trumpista ancora si pensa di essere nel 2019, quando all’orizzonte c’era il simbolo del dollaro più luminoso anche del sole. Ma presto anche questa spensieratezza svanirà.
Forse è arrivato il momento di fare una riflessione esistenziale, ed è bene che la facciano per primi gli italiani, chiusi in casa come animali feriti nella loro tana. Non siamo noi i primi in questa era di infinite possibilità ad assistere alla distruzione delle certezze ad essere travolti da un nemico micidiale.
Prima di noi è successo agli afghani, ai siriani, a chi ha avuto la sfortuna di nascere in Somalia, nell’Africa occidentale e in quella orientale, a chi è stato rapito dai jihadisti, dai trafficanti di droga dell’America centrale, a tutti coloro che hanno bussato incessantemente alla nostra porta e che abbiamo trattato come una notizia. Se è vero che oggi, davanti al coronavirus, tutti sono italiani, è anche vero che ieri tutti dovevano essere profughi, immigrati illegali e migranti economici.
La pandemia è il prodotto della globalizzazione, su questo nessuno può muovere alcuna obiezione. Il virus si muove con una rapidità agghiacciante perché noi tutti ci muoviamo incessantemente e lo portiamo con noi. E’ uno stile di vita che il pianeta non ha mai avuto e questo è il momento per capire che è innaturale.
Poiché viviamo nel villaggio globale la pandemia ha colto i nuclei familiari in posti diversi impedendo loro di ricongiungersi. Figli, genitori, nonni chiusi in casa in città ormai scollegate, in nazioni senza più contatti. Quando li rivedremo? E li rivedremo?
Ma anche i profughi siriani, gli immigrati illegali, i migranti economici sono vittime della globalizzazione. Il crollo del muro di Berlino e la fine della guerra fredda hanno lasciato immense regioni del mondo in balia dei signori della guerra, dei jihadisti, dei trafficanti di droga, ha fatto piombare nazioni come la Somalia nell’anarchia perenne. Chi viveva in queste regioni è diventato vittima di un virus molto più micidiale, che dopo trent’anni continua a mietere vittime. Anche costoro sono lontani dai loro cari, spesso non sanno neppure dove siano o se sono ancora vivi.
Non è così che l’homo sapiens ha conquistato il pianeta. Lo ha fatto potenziando la famiglia estesa, il gruppo, la tribù, la specie.
Poco tempo fa ho riletto il Dottor Zivago, in quel libro c’è la descrizione magistrale del lungo viaggio in treno nella Russia congelata della famiglia di Zivago verso un luogo caro e amato, dove nascondersi e attendere che il peggio passi. Allora si scappava dai Bolscevichi e dal tifo che decimava la popolazione. Le epidemie politiche e sanitarie ci sono sempre state e sono sempre state vinte dalla coesione, dalla generosità, dall’altruismo. Anche quelle che stiamo vivendo possono essere vinte con gli stessi strumenti.
Quando si riapriranno le nostre porte e torneremo a vivere una vita normale non dimentichiamoci di chi questo non lo può fare. Debellare il coronavirus per riprendere la corsa pazza verso il benessere individuale, per celebrare l’ascesa degli indici di borsa, per riabbracciare con entusiasmo l’economia canaglia getterà le basi di un’altra epidemia, e la prossima volta non è detto che non sia l’ultima.
Che la riflessione esistenziale di noi italiani, 60 milioni di persone in prima fila nelle trincee della pandemia, ci porti a salvare il pianeta dall’estinzione dei ghiacciai, che fermi l’impazzimento del clima, che porti la pace, la stabilità e la speranza nelle regioni destabilizzate, che ci faccia tornare ad essere ciò che siamo stati all’inizio della conquista del mondo, un specie cosciente, intelligente, sensibile, superiore, una specie che sa gestire la tremenda responsabilità di guidare questo meraviglioso pianeta.

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