venerdì 8 maggio 2015

Cameron e il referendum

Sono esiziali al momento le elezioni inglesi; esiziali come il momento storico in cui si son tenute: perchè pongono il rampollo della borghesia inglese, che ha candidamente confessato che se non fosse stato di ricca famiglia non sarebbe arrivato dov'è ora.... altri tempi quelli in cui un figlio di un operaio entrava in parlamento, di fronte alle proprie responsabilità, vediamo perchè:
  1.  ha promesso un referendum per sentire se gli inglesi se ne vogliono andare dall'europa, solo così ha potuto rubare i voti dell'ukip..... che abbia perso farage m'importa poco anche se alcune tematiche che ha portato avanti sono del tutto condivisibili..... ora a Cameron, gli piaccia o meno, dovrà mantenere la parola gli inglesi non sono italiani quindi non la rpenderebebro molto bene una balla come facciamo qui;
  2. i laburisti sono, quasi, spariti.. perchè? Per essersi spostati a "sinistra"? Anche ma non è il motivo principale della clamorosa sconfitta ricevuta. Secondo me il vero motivo è quello di non aver ben compreso che il loro serbatoio di voti, la Scozia, non era scontata ... la Scozia è cambiata non è la stessa.. ha altre priorità e altri orizzonti e i laburisti non l'hanno capito. E' questo il vero motivo; d'altronde i seggi che mancano all'uno se li son presi tutti gli indipendensti: una cosa esattamente geometrica come solo il sistema inglese può esserlo. Potevano avere trovando un Blair? Si ma forse potevano vicnere a destra ma si sarebbero definitivamente snaturati: sarebebro diventati un clone del pd e questo per gli inglesi poteva essere un affronto insostenibile.... non hanno nemmeno nel dna quello che abbiamo qui quindi avrebebro avuto un enorme problema perchè i voti persi a sinistra sarebebro andati all'ukip o persi nell'astensione e cosa se ne sarebebro fatti di un clone di cameron? meglio l'originale..
  3. Lo Scottish National Party è l'unico vero vincitore: in termini assoluti ha preso una montagna di voti segno che il conto fatto di fare prima il referendum per la secessione e poi il resto era un errore.. questo sarebbe stato il momento, dopo il voto perchè l'onda si è alzata ora ed è un odna che rischia dit ravolgere l'intera storia della conquista inglese della Scozia, storia piena di sangue e tragedia come ben sappiamo.
  4. il ruolo dei media: come spingo a votare gli elettori? il quorum inglese è superiore al 50%.. un successone per quel paese. Però questo poteva non bastare per lo scopo: scopo che era evitare una debacle dei tories in primis.. poi fermare l'ukip e ridimensionare i labour ma per farlo dovevano instillare nell'elettorato non tanto l'instabilità quanto l'incertezza sull'immediato futuro del governo..... un governo di coalizione tories/labour è una impensabile in un paese come l'inghilterra e poi i cosiddetti poteri forti non lo vedevano di buon occhio, come fare quindi? Semplice creare scenari del genere per nascondere l'obiettivo primario.. il resto sarebbe venuto da se. Ciò fa capire come i media svolgano in questi decenni un ruolo importantissimo e come siano capaci d'indirizzare il comune sentire. In mano a chi sono ora sono uno strumento potentissimo e subdolo e un controllo pubblico e indipendente mai come ora è dimostrato necessario proprio per rispettare quel principio democratico con cui tanto si sciacquano la bocca i politici.
a margine della cosa: l'uscita dell'inghilterra avrà un costo per tutti: per noi sarà di 1,5 mld di euro. Una cosa s cui riflettere non tanto perchè sia una cifra inarrivabile quanto per il potere che ha il denaro oggi: è questo che deovrebebro capire i greci e tsipras... niente è gratis all'oggi e perfino la grecia può avere carte da spendere sotto questo punto di vista. Il vero voto non è quello nell'urna ma quelllo dei mercati: loro lo sanno bene mentre noi "europei" stentiamo a comprenderlo eppure dovremmo saperlo visto che se il modello dominante è quello americano proprio nel paese al centro dell'impero i cittadini sanno bene come farsi sentire: smettono di acquistare un prodotto e i profitti crollano, facile, no?
un altro aspetto interessante è quello che dopo un elezione ben 3 leader politici si sono dimessi... un sogno per noi qui in italia

giovedì 7 maggio 2015

La carità che uccide

Il libro La carità che uccide di Dambisa Moyo, una giovane economista zambiana formatasi ad Oxford e ad Harvard, espone già dal suo titolo il giudizio dell'autrice nei confronti dei flussi di aiuto che l'Africa ha ricevuto a partire dagli anni in cui i paesi del continente hanno raggiunto l'indipendenza politica: non solo, come già ampiamente documentato da vari autori, l'aiuto non è riuscito a promuovere lo
sviluppo economico nel continente, ma lo ha frenato. Non solo l'aiuto non ha rappresentato una parte della soluzione alla sfida rappresentata dallo sviluppo economico, ma è stato una delle cause della mancata crescita del continente africano. L'autrice si oppone radicalmente agli impegni internazionali - come quello preso dal G8 durante l'incontro di Gleneagles del 2005 - di aumentare la dimensione dei flussi di aiuto diretti verso i paesi africani, suggerendo, invece, che i paesi donatori si dovrebbero impegnare a cessare completamente ogni flusso nell'arco di un periodo di cinque anni. Dambisa Moyo descrive, nella seconda parte del suo libro, le fonti a cui i paesi africani potrebbero attingere per finanziare il loro sviluppo, argomentando che la sua proposta di porre fine alla dipendenza dall'aiuto non è mossa da un intento provocatorio, ma può essere concretamente messa in pratica.
L'autrice offre una rapida panoramica sulla storia dell'aiuto concesso dai paesi sviluppati ai paesi a basso reddito a partire dal secondo dopoguerra, e quali erano le aspettative che accompagnavano tali trasferimenti di risorse. Questa rassegna ricorda i cambiamenti nel corso del tempo delle priorità perseguite attraverso l'aiuto: dallo sviluppo infrastrutturale e industriale alla lotta alla povertà, e quali condizioni relative alle politiche economiche o al quadro istituzionale del paese ricevente - abbiano accompagnato i flussi di risorse. Nonostante questi cambiamenti, la storia dell'aiuto è stata caratterizzata, secondo Dambisa Moyo, da una costante: l'aiuto ha sempre sistematicamente mancato i propri obiettivi.
Ma l'autrice porta questo argomento un passo oltre: non solo l'aiuto verso l'Africa è stato inefficace, ma è stato in realtà dannoso. Sebbene ci siano vari fattori - geografici, storici, culturali, istituzionali, legati a fattori etnici e religiosi - che Dambisa Moyo riconosce che possano contribuire a spiegare, in parte, il mancato sviluppo di larga parte del continente, nel libro si pone l'evidenza su un solo fattore, ovvero sull'aiuto. E' la dipendenza - che accomuna tutti i paesi africani - dai flussi di aiuto che può spiegare la mancata crescita economica dei paesi africani.
Il quarto capitolo del libro descrive i meccanismi attraverso i quali l'aiuto ha ucciso la crescita dell'Africa, partendo dall'argomento che l'aiuto ha contribuito in modo decisivo alla corruzione del sistema politico, che a sua volta ha compromesso le prospettive di sviluppo economico. Le risorse trasferite dai paesi donatori e dalle istituzioni multilaterali come la Banca Mondiale verso i paesi africani rappresentano una rendita controllata dal potere politico, il cui impiego è sottratto al controllo pubblico, ed è dunque esposto al rischio di essere sottratto ad impieghi produttivi. La disponibilità di ampi trasferimenti dall'estero ha minato alla base gli incentivi dei paesi riceventi di rafforzare la propria capacità di mobilitare risorse domestiche, e di finanziare progetti di sviluppo con i proventi della tassazione. Il basso livello della tassazione non ha messo in moto un meccanismo di controllo, da parte dei contribuenti, di un meccanismo di controllo sull'impiego delle risorse fiscali, che rappresenta l'unico argine possibile contro l'appropriazione privata di fondi pubblici.
Oltre alla corruzione, l'aiuto tende a generare una dinamica inflattiva che porta ad un apprezzamento del cambio reale, indebolendo ulteriormente le già limitate capacità di esportare prodotti da parte dei paesi riceventi. L'aiuto determina anche, secondo l'autrice, un incremento della probabilità di una guerra civile. La letteratura economica - si veda il libro Wars, Guns and Votes di Paul Collier recensito in questa rubrica - rappresenta i ribelli come indistinguibili da un gruppo di banditi, il cui unico obiettivo è quello di assumere l'accesso alle rendite connesse al controllo del potere politico. Dato che l'aiuto aumenta il valore di tali rendite, aumenta anche gli incentivi a tentare di assumere manu militari il controllo del sistema politico.
Dambisa Moyo riconosce che la comunità dei donatori era ben consapevole del fatto che l'aiuto contribuisse alla diffusione della corruzione nei paesi riceventi, ma che questo non ha mai portato i donatari a diminuire i flussi di aiuto. Questo perché esistevano sia incentivi a continuare a fornire aiuto - dato che questo non rispondeva esclusivamente alla volontà di promuovere lo sviluppo economico nei paesi riceventi, e perché si credeva che non esistessero alternative. Si potrebbe dire che i donatori si trovavano alle prese con una sorta di dilemma del Buon Samaritano: ovvero, la consapevolezza dei problemi - anche profondi - connessi alla fornitura dell'aiuto non elimina la convinzione che l'alternativa sarebbe stata senza dubbio peggiore per le popolazione degli stessi paesi riceventi.
Questa difesa dell'aiuto è contestata dall'autrice, la quale sostiene che i paesi Africani trarrebbero benefici dalla decisione dei paesi donatori di porre fine ai flussi di aiuto. Non è vero, come sostenuto nel 2002 dalla Conferenza di Monterrey delle Nazioni Unite su Financing for Development, che l'aiuto rappresenti l'unica credibile fonte di finanziamento per i paesi meno sviluppati. Anche questi paesi, scrive Moyo, potrebbero attingere a fonti alternative per finanziare la propria crescita economica. Queste fonti sono rappresentate dai mercati internazionali del credito, dove sarebbe possibile collocare emissioni consistenti di titoli del debito pubblico, dal commercio internazionale, in particolar modo con la Cina, e dagli investimenti diretti dall'estero. Perché risorse ottenute da queste fonti non sarebbero sprecate, nutrendo la corruzione? Perché, a differenza dei donatori, creditori e investitori esteri cesserebbero immediatamente di fornire risorse se queste fossero destinate ad usi non produttivi, e questa possibilità rappresenterebbe un forte elemento disciplinante dell'azione pubblica. Oltre alla disponibilità di fonti alternative di finanziamento, che potrebbero sostituire i flussi di aiuto, Dambisa Moyo suggerisce anche che i paesi africani potrebbero ispirarsi ad esperienze di istituzioni di microcredito, come la Grameen Bank di Mohammed Yunus, per fornire accesso a fonti di investimento alle famiglie e alle piccole imprese.
Questa è, decisamente, la parte di La carità che uccide che appare meno convincente: mentre la parte di critica degli effetti dell'aiuto poggia sul riferimento ad un ampio numero di lavori accademici, e riesce efficacemente a ricordare quanto l'esperienza passata dell'aiuto diretto verso i paesi africani sia stata insoddisfacente, la seconda parte del libro non poggia su basi altrettanto solide.
E' davvero credibile che i paesi africani - non solo quelli emergenti come il Sud Africa, il Botswana o le Mauritius - possano nell'orizzonte di cinque anni proposto dall'autrice riuscire a sostituire l'aiuto con un simile ammontare di risorse ottenute dal settore privato? Probabilmente, il libro - che è uscito nel 2008 con il titolo originale di Dead Aid - soffre dal fatto di essere stato pubblicato in un momento in cui la fiducia riguardo alla capacità del sistema finanziario di allocare in modo efficiente le risorse non è certamente al suo apice.
Inoltre, i lettori possono trovare molto forte il cambio di registro fra la prima e la seconda parte del libro. Nella prima parte, Dambisa Moyo è netta nell'escludere la possibilità che altri fattori possano essere stati maggiormente rilevanti dell'aiuto nel ritardare lo sviluppo dell'Africa, e nel negare qualunque possibile effetto benefico dell'aiuto. A questo riguardo, è emblematico il brano relativo al Botswana, un paese che è stato capace di crescere ad un passo ben superiore a quello del resto del continente: "[Il Botswana] ha ricevuto ampi flussi di aiuto (pari a circa il 20 percento del reddito del paese) nel corso degli anni Sessanta. E' vero che il reddito pro capita del paese è cresciuto in media del 6,8 percento all'anno fra il 1968 e il 2001, uno dei tassi di crescita più elevati al mondo. Ciò nonostante, l'aiuto non è responsabile per questo successo" (nostra traduzione dalla versione originale). Questa interpretazione di questa storia africana di grande successo non è argomentata ulteriormente, se non facendo riferimento alla bontà delle politiche economiche messe in atto dal paese, evidentemente indenne dagli effetti negativi dell'aiuto sulla corruzione del sistema politico.
La condanna, senza appello e senza eccezioni, dell'aiuto verso l'Africa, lascia il passo ad un'apertura senza riserve verso i flussi privati di risorse. Nessuna menzione ai problemi connessi agli investimenti diretti esteri nel settore primario - si pensi, ad esempio, alle compagnie petrolifere operanti nel Delta del fiume Niger - o ai possibili effetti di spiazzamento sui produttori domestici legati ad un incremento dei flussi commerciali con la Cina. E' certamente vero che flussi privati di risorse - come sostenuto a Monterrey - possono contribuire allo sviluppo economico, ma è tutt'altro che certo che questi flussi possano rappresentare un'affidabile risorsa per i paesi Africani, soprattutto in un periodo di forte instabilità economica e finanziaria.
In conclusione, sebbene Dambisa Moyo fornisca in questo libro una chiara analisi dei problemi legati all'aiuto verso i paesi africani nel corso degli ultimi decenni, non riesce a convincere il lettore che la sua proposta di una completa cessazione dei flussi di aiuto sia preferibile rispetto al faticoso tentativo in atto, da parte dei paesi donatori e riceventi, di migliorare l'efficace dell'aiuto stesso.
p.s.
DA LEGGERE!!!!!!!!
(magari integrandolo con i saggi di Stiglitz premio nobel per l'economia)
non è che l'ultima puntata di una lunga storia iniziata con le crociate quando il mondo "cristiano" cominciò a scontrarsi con il più avanzato, allora, e ricco mondo musulmano (a sua volta punta di diamante del continente africano...... la aptria di tutti gli esseri umani): quello che ci è arrivato oggi di campi come la matematica o la medicina lo dobbiamo agli arabi, ci piaccia o meno (Omar Khayyàm con il suo Algebra ha messo le basi per la moderna matematica o al-Khwarizmi dal cui nome abbiamo preso la definizione di "algritmo".. per fare due esempi). L'Africa è una tappa, forse la più dolorosa perchè lo sfruttamento continua tutt'oggi, di questo percorso di depredazione delle risorse di cui è ricchissima e che non meritiamo perchè, anche con i nostri comportamenti "consumistici", di fatto diamo l'alibi alle nostre élite per continuare quasi indisturbate!! Prima o poi saremo messi di fronte a una scelta: o si cambia volontariamente strada e ci diamo, lo dico brutalmente senza giri di parole, una calmata o quando l'Africa si svegliaerà dal suo millenario torpore, indotto, non ce ne sarà più per nessuno...... e allora saranno loro a farci scegliere.

mercoledì 6 maggio 2015

ragion di ... expo

Facciamo il punto, vi va?
A Milano per fermare questi qui 9000 agenti mobilitati e i succitati hanno fatto il proprio comodo scorazzando per la città devastandola senza che ci fosse contrasto....
Stesso giorno a Bologna corteo dei centri sociali che hanno sfilato a viso scoperto, non armati, ecc. eppure ...... bè guardate voi stessi: questo è il video di "repubblica tv (rilanciato su facebook dalla stessa tv e da reteviola)" che prova come sia presente lo Stato e fermi i "facinorosi" in maniera ferma e senza esistazioni: c'è anche a un certo punto un bella bastonata in testa, senza risparmio di energia bisogna proprio dirlo (quando ci si mettono ci riescono bene), a una ragazza, sempre non dotata di casco e il resto del kit del perfetto black bloc, di cui girano su facebook non solo le foto ma pure il referto medico del pronto soccorso a prova della violenza subita (c'è da dire che per quanto riguarda la foto qualcuno ha parlato di fake ma la cosa è stata subito smentita). Ora non vi sembrano due pesi e due misure? A me si... quindi:
RICAPITOLIAMO.
Sei un black block o un appartenente a qualche gruppo ultrà, puoi:
  • fare il cavolo che ti pare;
  • distruggere quel che ti pare;
  • scorrazzare liberoe  felice;
  • filartela alla chetichella quandi ti sei stancato;
  • farla franca.
il tutto sotto il naso di ben 9000 poliziotti per spostare l'atttenzione dei cittadini dalla fallimentare gestione e organizzazione (per tacere delle indagini) dell'expo 2015.
Se sei un "semplice" apparantenente ai cosiddetti centri sociali o se sei studente che manifesta a viso scoperto, senza casco, ecc. puoi:
  • prenderle di santa ragione;
  • ringraziare che non ne hai prese abbastanza da farti rompere con il tonfa la testa;
  • prendere atto che i media ti ignorano;
  • far lavorare il pronto soccorso;
  • magari becccarti la denuncia;
due situazioni decisamente differenti che ben rendono l'idea del cinismo del potere e della sua strumentalità nel decidere contro chi agire e come.....

martedì 5 maggio 2015

.. e italicum fu

Fonte Wikipedia 1 e Wikipedia 2  wikipedia 3
Wikipedia 1
Legge Acerbo
il sistema proporzionale in vigore da 4 anni, integrandolo con un premio di maggioranza, che sarebbe scattato in favore del partito più votato che avesse anche superato il quorum del 25%, aggiudicandogli i 2/3 dei seggi.
p.s.
alle opposizioni il restante terzo.. in teoria perchè in pratica grazie a una lista civetta si riuscì ad erodere anche questo terzo. Una curiosità storica: la Commissione che "esaminò" detto disegno di legge sapete da chi era composta? Presidente Enrico De Nicola; Giovanni Giolitti (con funzioni di presidente), Vittorio Emanuele Orlando per il gruppo della "Democrazia" e Antonio Salandra per i liberali di destra (entrambi con funzioni di vicepresidente), Ivanoe Bonomi per il gruppo riformista, Giuseppe Grassi per i demoliberali, Luigi Fera e Antonio Casertano per i demosociali, Alfredo Falcioni per la “Democrazia Italiana” (nittiani e amendoliani), Pietro Lanza di Scalea per gli agrari, Alcide De Gasperi e Giuseppe Micheli per i popolari, Giuseppe Chiesa per i repubblicani, Costantino Lazzari per i socialisti, Filippo Turati per i socialisti unitari, Antonio Graziadei per i comunisti, Raffaele Paolucci e Michele Terzaghi per i fascisti e Paolo Orano per il gruppo misto (in realtà era anche lui fascista) .. quanti nomi di antifascisti, dopo l' 8/9/43 naturalmente, c'erano che la studiarono e in aula la fecero passare ... mancando dall'aula al momento del voto (ben 53 erano "assenti")?
Wikipedia 2
Italicum
  • premio di maggioranza di 340 seggi (55%) alla lista (non più alla coalizione) in grado di raggiungere il 40% dei voti (non più il 37) al primo turno;
  • ballottaggio tra le due liste più votate se nessuna dovesse raggiungere la soglia del 40%, senza possibilità di apparentamento tra liste
  • soglia di sbarramento al 3% (piuttosto che all'8%) per tutti i partiti, non essendo più previste le coalizioni;
  • suddivisione del territorio nazionale in 100 collegi plurinominali e designazione di un capolista "bloccato" in ogni collegio da parte di ciascun partito, con possibilità per i capilista di candidarsi in massimo dieci collegi;
  • possibilità per gli elettori di esprimere sulla scheda elettorale due preferenze (obbligatoriamente l'una di sesso diverso dall'altra, pena la nullità della scheda) da scegliere tra le liste di candidati presentate;
  • garanzia dell'alternanza di genere grazie all'obbligo di designare capilista dello stesso sesso per non più del 60% dei collegi nella stessa circoscrizione (regione) e di compilare le liste seguendo l'alternanza uomo-donna.
p.s.
gratta gratta....cosa ne esce fuori? Il partito della nazione dove c'è la corsa ad accaparrarsi i notabili delle tessere e tutto il sottobosco locale che rimane INTONSO! E quelli del "penultimatum"? Che fanno? Minacciano  di andarsene ma .. dove? Al mare o in montagna? Questo sistema prevede l'eliminazione del Senato..... personalmente l'avrei fatto senza troppi drammi personali ma si poteva fare una via di mezzo che non fosse il Senato dei ricicciati che sta venendo fuori? Si: nella via "francese" il senato era una camera di "ripensamento" in quella "tedesca" era espressione delle regioni ma elettivo: metà proporzionale metà maggioritario... e noi? Nè l'uno nè l'altro, la solita furbata e stop solo per aderire all'invito del massimo rappresentante dei veri padroni del vapore (il capo della Goldman Sachs) che dichiarò che "ormai le Costituzioni antifasciste erano obsolete e andavano adeguate alle esigenze dei mercati" non dei popoli, che nel frattempo son cambiati anche loro, no ma dei MERCATI! In parole povere: le costituzioni 2sociali" e democratiche sono da buttare punto e basta. Detto ciò detto tutto!
 Wikipedia 3
Legge truffa del 1953
un correttivo della legge proporzionale vigente dal 1946. Essa introduceva un premio di maggioranza consistente nell'assegnazione del 65% dei seggi della Camera dei deputati alla lista o al gruppo di liste collegate che avesse raggiunto il 50% più uno dei voti validi.
p.s.
rimase lettera morta, per fortuna...... ma ha avuto un figlio: il porcellum e sappiamo come la corte Costituzionale l'ha demolito! Votata (dice nulla la cosa?) a maggioranza semplice in parlamento doveva eliminare la "irritante (ma quasi innocua perchè togliattiana)" opposizione dal panorama politico relegandola a pura testimonianza di parte.
Ora fate tutti i parallelismi che volete ma personalmente io delle assonanze ce le trovo.. e la cosa proprio non mi piace ma non perchè sia un proporzionalista  a tutti i costi ma perchè, e molto più semplicemente,  di sistemi elettorali migliori ce n'erano e ce ne sono: personalmente avrei preferito, come ipotesi minima, un sistema "francese" e, in quella massima, un sistema "tedesco"...... ma si sa no? Questo "non ce lo chiede l'europa" e quindi la fantasia di chi vuol giocare con le vite altrui si può tranquillamente sbizzarrire, no?

lunedì 4 maggio 2015

Expo 2015, la domanda è: a che serve?

Fonte Il Fatto Quotidiano del 3 maggio 2015 a firma di
Mentre nel mondo la terza guerra mondiale miete vittime e produce la più grande migrazione nella storia dell’umanità e l’Europa è ancora in piena crisi finanziaria, a Milano gli italiani celebrano il cibo. E lo fanno in un contesto tipicamente nostrano sullo sfondo di scandali, corruzione, speculazioni edilizie selvagge e così via.
Nella grande abbuffata milanese non potevano mancare i volti celebri, le star della moda ed i politici di turno loro amici. Il tutto sotto la benedizione delle grandi multinazionali dell’alimentazione e del fast-food, dalla Coca Cola a McDonald. Persino Slow Food, un tempo simbolo della semplicità mondo contadino, rischia di finire in questo tritacarne.
Ciononostante ci si meraviglia della contestazione -il No Expo -, e degli scontri di piazza. Questa è una manifestazione contestatissima perché costosissima, uno spreco in un momento in cui i soldi servirebbero a ben altro. Lo stesso ragionamento ha alimentato la contestazione poche settimane fa nei confronti dell’apertura della nuova sede della Banca centrale europea. La celebrazione della grande abbuffata del cibo globale e la costruzione della nuova cattedrale della finanza  europea sono completamente fuori luogo in un contesto di austerità dove ai pensionati europei sono state ridotte le pensioni, già da fame, ed i giovani sono destinati ad una vita magra da precari.
Queste contraddizioni sono frutto della polarizzazione sociale regalataci dall’economia neo-liberista, da una parte ci sono le élite, inclusa quella del cibo, ed i politici di turno che con loro si abbuffano, dall’atra parte c’è il resto della società, coloro che dovrebbero come tante formichine varcare i cancelli dell’Expo, per ammirare i tempi del cibo di paesi lontani.
A questo punto bisogna porsi alcune domande.
In un mondo globalizzato dove tutti sanno tutto degli altri, dove non esistono più misteri culinari e dove la cucina fusion ha portato in oriente cibi e spezie occidentali e viceversa, a che serve l’Expo del cibo? Anzi a che serve l’Expo come concetto di scoperta e scambio di innovazioni tra i popoli? Basta accendere uno smartphone per rendersi conto dell’inutilità di questi eventi, tutto ciò che desidero sapere o vedere è sempre a portata di mano e gratis ma se lo voglio acquistare o mangiare allora il portafoglio mi dice che non si può.
Seconda domanda: quante bocche avremmo potuto sfamare con i soldi spesi per questa vetrina di prodotti legati alla gastronomia, tutti privi di sorprese? E se questi soldi fossero stati risparmiati per combattere la fame nel mondo, oggi l’Italia e Milano avrebbero potuto usarli in Nepal per sfamare milioni di persone.
Certo i neoliberisti italiani obietterebbero che dar da mangiare ai terremotati nel Nepal non aumenta il Pil italiano mentre l’Expo…Tutta quella cementificazione intorno alla stazione Garibaldi, sostengono, ha fatto gravitare il valore degli immobili della zona, e poi c’è l’indotto del turismo, alberghi, ristoranti, taxi ecc. ecc., persino la corruzione fa bene al Pil, alla fine i soldi sono finiti nelle tasche di imprese italiane non nelle pance dei poveri. Peccato che questa favola non sia a lieto fine. Gli alberghi a Milano non sono pieni, i ristoranti non traboccano ed i prezzi degli appartamenti che si vendono sono sempre più bassi.
E quelle formichine umane che dovevano correre verso l’Expo non lo stanno facendo perché non hanno i soldi. Certo chi ci vuole credere a questa favola, chi ha bisogno di questa illusione, è libero di continuare a farlo.
Terza domanda: la riflessione sul cibo nel contesto del XXI secolo davvero non serve a nulla?  E la risposta è si, certo che serve, ed è importante ma va fatta in contesti completamente diversi.
A Verona il 1 maggio si è svolto un convegno organizzato dalle donne veronesi WE EXPO e dal MAG, un’iniziativa sociale attivissima sul territorio. Si è trattato di una sfida all’interno del carrozzone dell’Expo tutta femminile. E vi hanno partecipato anche contadine venete del movimento No Expo, aderenti al movimento mondiale Via Campesina, che rappresenta 400 milioni di piccole aziende, che sin dall’inizio ha preso le distanze dall’Expo di Milano.
Mentre a Milano si beveva Coca-Cola e si mangiavano hamburger di McDonald, a Verona si è parlato della dieta occidentale che ci uccide e dei costi altissimi da questa prodotti in termini di salute pubblica ed inquinamento del pianeta. Mentre a Milano si gustavano dolci di tutti i tipi, le contadine venete ci raccontavano come le multinazionali dell’agricoltura chimica hanno ridotto a tre le varietà di semi di granoturco. Chi il primo maggio degustava vini e prosecchi all’Expo non sapeva che i pesticidi di cui si serve l’agricoltura meccanicizzata stanno uccidendo le api, senza le quale il 40 per cento della produzione agricola mondiale scomparirà. Nessuno a Milano ha conosciuto Maria Teresa Padovani, un’artista che con una donazione di poche decine di euro ha dato da mangiare a 187 bambini dello Zambia.
Fortunatamente lontano dai riflettori, dai volti celebri e dalla politica esiste un movimento mondiale che vuole riconquistare il diritto al cibo sano e sfamare così chi ha fame, per ascoltare la sua voce basta accedere alla rete, è facile, rapido, e non bisogna acquistare nessun biglietto d’ingresso.
p.s.
fin qui l'articolo della dr.ssa Napoleoni, ch condivido in toto... anzi anche fuori dai confini nazionali giornali tedeschi, e non solo, parlano di enormi sprechi; e ne hanno ben donde di dirlo: politici e imprenditori fanno la fila dai Magistrati; vi si è lavorato, e vi si lavora pare, aggratis o quasi (ci son foto di lavoratori che passano nei buchi nelle reti di protezione o nel "fiume" costruitovi in modo da evitare di essere ritenuti ufficiali, se vogliono lavorare lo fanno al nero; interi padiglioni non sono finiti e altri già cadono in pezzi.. una ragazza è rimasta ferita nel padiglione turco; il premier ha detto che con l'inaugurazione dell'expo incominciava il "domani" ok ma quale domani? Immaginare un domani avendo un quadro come quello che ne esce dall'expo ne farebeb chiunque volentieri a meno. Ma come far dimenticare tutto ciò? Basta consentire che 500 teppisti facciano i prorpi comodi a Milano..... semplice; è uno schema già noto: nel 2001 gli USA erano già in crisi nera per le continue bolle e cosa ti capita? Ecco che alcuni "terroristi" fanno schiantare aerei contro il pentagono e le torri gemelle (ammesso sempre che quello che è finito contro il pentagono fosse un aereo e non un missile e che la torri siano davvero cadute per il colpo ricevuto e non per un crollo controllato - basta chiedere a chiunque sia del settore - visto che erano brevettate a scontri diretti con aerei... e aspetto ancora che qualcuno mi spieghi come mai lacuni dei terroristi siano ancora vivi e vegeti nei loro paesi.... anzi non se e sono mai mossi: misteri della fede!) e tutti dimenticano la crisi e l'adrenalina spinge Bush a far la guerra al terrorismo .. all'iraq che fino a poco tempo prima non solo era un alleato occidentale contro l'iran ma era anche armato, anche di armi chimiche, dagli stessi padroni; mentre l'assalto all'Afghanistan, al di là di qualunque legge internazionale, non aveva nessuna scusante visto che i talebani si offrirono di consegnare il mitico capo di al qaeda.... anche qui mi sa di mistero della fede: noi in piccolo vediamo lo stesso schema: non voglio dire che sia una "false flag" ma la fabbrica del terrore è sempre in funzione.....

domenica 3 maggio 2015

Copyright, nemmeno il trattore è dell'agricoltore

Fonte: Punto informatico del 30/4/2015 a firma di Claudio Tamburrino

Roma - Il produttore di macchine agricole John Deere e la casa automobilistica General Motors hanno rivendicato il controllo sulla proprietà intellettuale dei software incorporati nei mezzi venduti ai propri clienti. La questione della definizione della proprietà sconfina dunque dal mercato dei contenuti digitali.

Seguendo le logiche del diritto d'autore, che protegge negli Stati Uniti i software oltre che i brevetti, le due produttrici di macchine vorrebbero estendere le loro possibilità di controllo sui prodotti una volta venduti, reclamando ancora la proprietà delle componenti intellettuali ed impedendo di conseguenza agli utenti/acquirenti di mettervi mano.

Accanto a John Deere e General Motors, peraltro, si è schierata l'associazione dei produttori di automobili Automaker's Alliance, che ha cercato di giustificare la rivendicazione con la necessità di monitorare la componente software installata sulle vetture, sempre più legata ad esigenze normative stringenti. Insomma, bisogna impedire agli utenti di aggiungere o rimuovere funzioni e componenti per non rischiare di mettere in pericolo loro stessi o gli altri.In realtà, ad essere minacciato, secondo osservatori e gruppi a sostegno dei diritti dei cittadini, è il concetto stesso di proprietà: c'è una diversa modulazione di possibilità e diritti nel caso della vendita di un bene (per cui c'è trasferimento di proprietà), del suo affitto o dell'offerta di un servizio. Ma questo confine è sempre più sfumato a causa dell'estensione dei diritti legati alla proprietà intellettuale.
Un esempio di questa modulazione di diritti e libertà è il mercato dell'usato: se per quanto riguarda i beni analogici gli acquirenti possono scegliere di rivenderli in forza del principio dell'esaurimento del diritto, gli stessi beni - come un libro o una canzone - se in formato digitale non generano il medesimo diritto.

Nel caso specifico delle richieste del mercato automobilistico si tratterebbe della conseguenza di della normativa statunitense sul diritto d'autore nell'era digitale, il Digital Millennium Copyright Act (DMCA), ed in particolare della Section 1201, uno degli articoli che limitano le libertà degli utenti di contenuti tutelati dalla proprietà intellettuale. In esso si legge infatti che "nessuno deve aggirare una misura tecnologica che controlla efficacemente l'accesso ad un'opera protetta da questa normativa".

D'altra parte anche in Europa Renault sta cercando di far passare un'interpretazione simile del diritto d'autore, in modo tale da ottenere il diritto di sospendere la funzionalità dell'automobile in caso di conflitto, per esempio un'insolvenza, col guidatore. Al contempo uno dei punti maggiormente contestati dei trattati bilaterali ACTA prevedeva proprio l'estensione al Vecchio Continente delle previsioni a stelle e strisce che limitassero l'aggiramento dei sistemi DRM.

La questione negli States è già arrivata al Congresso, dove il senatore Ron Wyden ed il deputato Jared Polis hanno cercato di correggere tale impostazione della normativa con una proposta di legge intitolata Breaking Down Barriers to Innovation Act, che estende le eccezioni alla prescrizione anti-aggiramento ed in generale codifica come legali gli aggiramenti delle misure tecnologiche condotti per fini non illeciti, come per esempio questioni attinenti la privacy, la liberà espressione delle idee, la ricerca scientifica, la sicurezza o il reverse engineering.

Claudio Tamburrino
p.s.
quando si dice che alla follia non c'è mai un limite; il diritto d'autore è sacrosanto, nessun dubbio ma c'è il lato B: ben lo sanno i contadini indiani per il loro alimento base, il "riso pundi" che è stato brevettato da una nota multinazionale americana; ben lo sanno i governi dei paesi del terzo e quarto mondo che devono pagare ad esempio 500$ per qualcosa, medicinali per fare un piccolo esempio, che qui in occidente ne costa 5$ se non meno (si chiama profitto); ben lo sanno coloro che acquistanbo u cd o un vinile.. NON LO POSSONO TOCCARE .. immaginate poi farne una copia per evitare che,  troppo spesso per la pessima qualità dell'hardware, l'originale si danneggi. Tutto è brevettato, difeso, pianificato, deciso: tu, consumatore finale che paghi il costo finale finale di questo circo,puoi solo "usare" con alcuni limiti se hai un problema che fai? Te lo risolvevi spesso con l'autoriparazione o con un tecnico ecc.  ma ora non più: dovrai aspettare che il concessinario ti dia il via ai suoi costi, una follia in un mondo folle dove ti si chiede di produrre a basso costo e velocemente.. una cosa che può fare un azienda ma NON il singolo: era questo l'obiettivo? Usare ma NON conoscere? Ci stanno riuscendo..... oggi in molti "usano" uno smarthphone" ma quanti lo "conoscono" davvero? La rivoluzione digitale c'era stata presentata come una liberazione e  non come una prigione.... sono solidale con quell'agricoltore!!!

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