sabato 15 giugno 2019

Paolo Savona: “Risparmio è il punto di forza dell’Italia”

Fonte: W.S.I. 14 Giugno 2019, di Alessandra Caparello

Nonostante il debito pubblico monstre, la solidità dell’Italia è nel risparmio. Così il presidente della Consob, Paolo Savona nella sua prima relazione da numero uno della Commissione nazionale per le società e la Borsa.
“Se la fiducia nel Paese è solida e la base di risparmio sufficiente, livelli di indebitamento nell’ordine del 200% rispetto al Pil non contrastano con gli obiettivi economici e sociali perseguiti dalla politica (…) i tentativi di contenere gli eccessi di debito pubblico con avanzi di bilancio statale hanno manifestato i limiti intrinseci nel raggiungere l’obiettivo di stabilità senza una parallela crescita.
Il professore sottolinea come il risparmio sia la componente dello sviluppo italiano sotto diretta e prevalente influenza del Paese, il punto di forza della società italiana.
Una parte significativa è sotto forma di attività finanziarie in dimensioni quasi pari alla componente immobiliare. Gli investimenti in costruzioni hanno sempre rappresentato il secondo motore della nostra crescita e si sono sostituiti nei momenti critici al traino delle esportazioni. La cura del buon funzionamento dei due motori richiede da parte delle autorità un pari impegno.
In merito alla posizione dell’Italia nella comunità europea, il Paese non  rappresenta un problema finanziario, sottolinea Savona.
Senza voler negare l’esistenza di problemi interni al Paese, i giudizi negativi non di rado espressi da istituzioni sovranazionali, enti nazionali e centri privati appaiono prossimi a pregiudizi, perché resi su basi parametriche finanziarie convenzionali che non tengono conto dei due pilastri che reggono la nostra economia e società: la forza competitiva delle nostre imprese sul mercato globale e il nostro buon livello di risparmio (…) E’ come se l’Italia fosse collocata dentro ‘la caverna di Socrate‘, dove le luci fioche della conoscenza che in essa penetrano proiettano sulle pareti un’immagine distorta della realtà. Per giunta in presenza di un continuo vociare a senso unico che stordisce. E’ compito di chi riveste posizioni di vertice della politica, dell’economia e dei mezzi di informazione rafforzare la luce e abbassare i toni per ristabilire la fiducia Sul futuro del Paese”.

giovedì 13 giugno 2019

Artico: il Maggio piu' caldo che mai, 29 gradi in Siberia, il permafrost che indietreggia, sfonda la CO2

Fonte: No all'Italia petrolizzata

 

Monday, June 10, 2019
Artico: il Maggio piu' caldo che mai, 29 gradi in Siberia, il permafrost che indietreggia, sfonda la CO2


L'Artico non ce la fa piu e tutti i ritmi immutati da milioni di anni pian piano cambiano senza che nessuno davvero sappia cosa questo significhi.

E' stato il Maggio piu' caldo che mai, con temperature in Russia fino a 29 gradi. In Maggio! Il permafrost in Canada indietreggia di 1 metro al giorno. I livelli complessivi di ghiacci sono
quasi ai minimi storici. Solo nel 2016 ce ne'era di meno.
 
Occorre davvero fermarsi a riflettere su questi numeri perche' fanno paura.

Le informazioni sul permafrost in Canada vengono da un gruppo ricercatori dell'Universita' di Edinburgo che hanno usato dei droni per monitorare in continuo i ghiacci dell'Artico del paese.

Quello che hanno rilevato e' che appunto, il permafrost si disintegra, a un tasso di sei volte superiore rispetto a quanto considerato normale. Nell'arco di 40 giorni nel 2017, la costa era indietreggiata di un metro al giorno.

Il permafrost, o anche la tundra, e' terreno che resta congelata perennemente. Tipicamente funziona da stoccatore naturale di CO2. Ma quando si scioglie o si disintegra, cadendo in mare, iniziano i problemi, perche' questa tundra contiene il doppio della CO2 presente in atmosfera, e dunque amplifica i meccanismi dei cambiamenti climatici.  Oltre a rilasciare CO2 il permafrost rilascia anche metano, un altro gas serra.

E il ciclo continua. In alcuni casi puo' essere che il permafrost inizi ad emettere piu' CO2 di quanto ne assorba.  E' gia' successo in alcune localita' d'Alaska.  E quando il ghiaccio si schioglie, il mare che resta assorbe ancora piu' energia del ghiaccio, portando a cicli sempre piu' estremi.

E la perdita di ghiaccio fa si che le ondate di caldo piu' a sud siano piu' intense, perche i venti polari sono meno forti come riporta l'Arctic Report Card, un documento apposito stilato dal National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA).

Intanto, i livelli di CO2 sono ai massimi storici: 416ppm, e continuano a crescere. 


Tutto questo nell'arco delle nostre vite, creato dall'uomo.
E' terrificante se ci si pensa bene, e non fa presagire niente di buono.

mercoledì 12 giugno 2019

Enrico Berlinguer, la sconfitta di un uomo perbene

Fonte: Il Fatto Quotidiano Politica | 7 Giugno 2019 

Sassari 25 maggio 1922, Padova 11 giugno 1984: l’arco temporale in cui si è svolta la parabola terrena di Enrico Berlinguer, grande capo dell’Eurocomunismo e icona di una politica a sinistra che ancora non aveva smarrito il proprio alto senso civile. La biografia di un predestinato, come ricordava l’abituale sarcasmo di Giancarlo Pajetta: “giovanissimo si iscrisse al Comitato Centrale del Partito Comunista Italiano”.
Nel 1972 viene eletto leader nazionale di un partito che, tra i due “pezzi da novanta” di destra e sinistra interne (il liberal-stalinista Giorgio Amendola e il Pietro Ingrao attratto dal movimentismo), opta per una scelta “centrista”; incarnata al meglio da questo 50enne cultore degli aspetti più rassicuranti dell’ortodossia e dal profilo un po’ grigio del perfetto funzionario gradito alle masse dei militanti.
Eppure il prudente neo-segretario imprimerà un’accelerazione alla linea politica del Pci già l’anno seguente la sua nomina, varando la strategia detta del “Compromesso storico”: una grande alleanza tra le masse popolari cattoliche e comuniste per lottare contro i rischi di involuzioni autoritarie e superare la conventio che dal 1948 escludeva il suo partito dalle possibili alleanze di governo (anche se nelle regioni centrali italiane i comunisti erano stabilmente alla guida delle istituzioni, mentre pratiche consociative vigevano nelle commissioni parlamentari già dagli anni 50). Lanciata con una serie di articoli su Rinascita, la nuova linea affermava esplicitamente di rispondere alle evoluzioni del quadro internazionale; dove faceva da battistrada di quello che sarebbe stato l’ordine reazionario in arrivo, incarnato dal duo Ronald Reagan-Margaret Thatcher, il colpo di stato in Cile, avvenuto l’11 settembre 1973: l’assassinio del presidente legittimo Salvator Allende e l’instaurazione della dittatura del generale fellone Augusto Pinochet.
Eppure, anche nel nuovo scenario era possibile individuare il persistente filo di continuità con la tradizione togliattiana, egemone nella cultura comunista italiana: si governa solo in condominio con i cattolici, garanti degli equilibri sanciti nella spartizione delle sfere di influenza mondiali a Jalta; va respinta ogni velleità radicaloide di perseguire alternative democratiche alla Dc. Scelta indubbiamente coerente con narrazioni e lasciti culturali vigenti in via delle Botteghe Oscure e dintorni. Ma priva di quel respiro necessario per un effettivo rinnovamento della politica nazionale, che iniziava a mostrare forme di incanaglimento in un quadro bloccato: quanto veniva descritto da politologi anticonformisti come “bipartitismo imperfetto”. Che l’onesto ma scolastico Berlinguer stentava a scorgere, anche perché influenzato da un entourage in cui prevalevano i cattocomunisti di Franco Rodano e il loro ecumenismo estraneo a un’idea di democrazia come regolazione competitiva della lotta politica; a partire dal suo segretario personale Antonio Tatò.
Resta il fatto – sconfortante per la sinistra laica-azionista – di una strategia difensiva quando il fronte progressista conosceva la propria massima avanzata elettorale. Difatti i marpioni democristiani incassano i dividendi di questa apertura al buio per uscire dall’impasse e poi liquidano lo scomodo partner varando il Caf, acronimo dell’alleanza tra i campioni del cinismo furbesco – Bettino Craxi, Giulio Andreotti e Arnaldo Forlani – nell’ultima stagione spartitoria di Prima Repubblica; il saccheggio del pubblico denaro all’origine di quanto diventerà il deficit strutturale dei conti pubblici.
Messo in un angolo da tali volponi, Berlinguer reagirà lanciando la nuova parola d’ordine della “Questione morale”, invisa a un personale politico in via di farsi casta e ormai dedito spudoratamente al carrierismo. Compresi strati dello stesso Pci.
Il 28 aprile 1981, intervistato da Eugenio Scalfari, denuncia “l’occupazione dello Stato da parte di ladri, corrotti e concussi”. Ma ormai è solo una voce testimoniale, uno sconfitto dalla nuova politica rampante che seduce folle crescenti di accaparratori: la futura Italia berlusconiana. Battaglia solitaria che si conclude tragicamente il 7 giugno 1984: colpito da ictus durante un appassionato comizio elettorale a Padova, muore quattro giorni dopo. Con lui si estingue la stirpe dei politici per bene, i Sandro Pertini, gli Alcide De Gasperi. Poco dopo arriverà Tangentopoli con l’indagine di Mani Pulite.
Politica | 7 Giugno 2019

martedì 11 giugno 2019

Germania, industria in crisi. Buba taglia stime Pil: “rischi al ribasso”

Fonte: W.S.I. 7 Giugno 2019, di Mariangela Tessa

Non più un treno ad alta velocità, ma un convoglio che marcia a velocità ridotta. Così appare la Germania alla luce degli ultimi dati macroeconomici. Dati che oggi hanno confermato l’ennesima battuta d’arresto della produzione industriale con conseguente brusca revisione al ribasso delle stime sul Pil da parte della Bundesbank.
Partiamo da produzione industriale che, nel mese di aprile, ha mostrato ad aprile una flessione mensile dell’1,9% dal precedente +0,5%. Il mercato si attendeva una frenata più contenuta. Su base tendenziale il calo è stato dell′1,8%.
Segnali di debolezza si segnalano anche sul fronte commerciale. Sempre ad aprile, l’avanzo commerciale si è attestato a 17 miliardi di euro, in calo rispetto ai 20 miliardi di marzo, secondo i dati provvisori pubblicati dall’Ufficio federale di statistica. Su base mensile, le esportazioni sono scese del 3,7% e le importazioni dell′1,3%.
Si tratta di dati che preoccupano l’Europa intera, per le forti interdipendenze che condizionano le singole economie del Vecchio Continente. Gli analisti di ING osservano che la partenza del secondo trimestre dell’anno è stata “orribile” per l’economia tedesca. Anche gli strategist di Capital Economics si mostrano preoccupati per la debolezza della locomotiva europea. La crescita sembra che abbia subito un rallentamento negli ultimi mesi dopo il +0,4% registrato nel period gennaio-marzo.
Il calo della produzione industriale in aprile è l’ennesima prova del fatto che la Germania non è riuscita ancora a superare i problemi che hanno incominciato a interessare il settore quasi un anno fa. E dicono che “l’economia ha subito un brusco calo nel secondo trimestre”. Le turbolenze vengono sia dall’esterno che dall’interno e derivano da una certa debolezza del commercio internazionale, dalla frenata dei consumi delle famiglie e dalla confusione sui regolamenti del comparto automobilistico.
“Non ci aspettiamo alcun miglioramento a breve termine”, dice Andrew Kenningham di Capital Economics.
Per la Bundesbank la crescita 2019 si fermerà allo 0,6%: la banca centrale tedesca ha tagliato le previsioni rispetto all′1,6% precedentemente indicato. Per il 2020 la previsione è +1,2%. Il taglio delle stime seguono quelle del Governo tedesco che ad aprile aveva rivisto le previsioni sul Pil allo 0,5% quest’anno indicando però un aumento del Pil dell′1,5% nel 2020.
“L’economia tedesca sta attualmente vivendo un forte raffreddamento”, ha detto la banca centrale tedesca in un aggiornamento semestrale delle sue proiezioni. “Ciò è dovuto principalmente alla crisi dell’industria e alla debole crescita delle esportazioni”.
La banca centrale tedesca ha anche avvertito che mentre non si aspettava un dato così negativo come quello odierno sulla produzione, i rischi sono ancora al ribasso.
“Per la crescita economica e, in misura minore, per il tasso di inflazione, sono i rischi al ribasso che predominano come stanno le cose oggi”.

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