sabato 19 luglio 2014

Crisi economica, gli italiani alla ricerca della bella vita su Google

di Lavoce.info | 19 luglio 2014

"La crisi economica del nostro paese trova origine anche in una filosofia di vita che porta gli italiani a privilegiare il buon vivere rispetto al lavoro? Un confronto tra i primi risultati che emergono da google.it e da google.com fa nascere il sospetto che non si tratti solo di un luogo comune.
di Nicola Persico* (lavoce.info)"
Gli italiani e la bella vita
L’economia italiana, lo sappiamo, cresce poco o niente da circa vent’anni. Sul perché si è discusso tanto, arrivando a valide spiegazioni: il vasto debito pubblico che necessita una tassazione punitiva; la rigidità del mercato del lavoro; una burocrazia asfissiante; e così via. Un’intera generazione di giovani ne ha pagato (e continuerà a pagarne) le conseguenze.
Il pessimismo è condiviso da molti, ma non da tutti. I paladini della “decrescita” sottolineano i lati negativi della crescita economica: l’eccessiva attenzione alla produttività a esclusione dei rapporti umani, la alienazione del lavoro, il rompersi di legami e tradizioni passate, l’insostenibilità ecologica del nostro modello economico. Secondo loro, la qualità della vitanon è pienamente rappresentabile dal prodotto interno lordo; la disoccupazione può altresì vedersi come tempo libero; e, insomma, non è una tragedia se il Pil non cresce.
Per quel poco o tanto che conosco gli italiani, mi sembra che questa seconda prospettiva non sia fra di noi rara. Quando sono in Italia mi capita spesso di sentirmi dire “sì, il lavoro è importante, ma ricordati che si lavora per vivere, non si vive per lavorare”. Questo discorso in America non viene fatto, tant’è che l’espressione corrispondente in inglese non l’ho mai sentita.
Se è vero che gli italiani ricercano meno il successo economico personale e sono più interessati alla qualità della vita, allora forse si comincia a capire come mai possiamo avere il 40 per cento di disoccupazione giovanile senza che scoppi la rivoluzione per le strade – cosa di cui gli americani non si capacitano. Ma è proprio vero che gli italiani aspirano a qualcosa di diverso rispetto al resto del mondo?
Googlare l’alfabeto
Per rispondere a questa domanda vi propongo un’analisi pop, leggera per l’estate: un confronto fra l’output dei motori di ricerca google.it (la versione italiana) e google.com (la versione internazionale con enfasi sugli Usa). L’idea è che i risultati dei due motori di ricerca riflettano, a grandi linee, ciò che è più popolare nelle due comunità, italiana e internazionale. Una delle possibili fonti di errore in questa analisi è che i risultati di google sono ordinati (anche) per maggior somiglianza alla ricerca effettuata. Ne consegue che, facendo una ricerca per lettera, come mi appresto a fare, i primi risultati saranno quelli che presentano la maggior corrispondenza con la singola lettera (e non le parole più popolari che iniziano con quella lettera).
Il metodo di ricerca: in ognuno dei due motori di ricerca imposto una ricerca per ogni lettera dell’alfabeto (prima la A, poi la B, e così via) Poi seleziono il primo risultato proposto dal motore. Se è lo stesso in tutti e due i motori non lo registro – così per esempio non registro i risultati della ricerca per la lettera C perché entrambi danno come primo risultato il linguaggio di programmazione C. Ometto anche quelle lettere i cui primi risultati, sebbene diversi fra i due motori, non mi pare illustrino una differenza interessante: la G, per esempio, in google.it restituisce “grammo” e in .com ritorna “gmail”, una differenza difficilmente interpretabile. Fatta questa scrematura, ecco i confronti residui che mi paiono interessanti.
Partiamo dalle lettere A e B. In Google Italia sono, e ce lo potevamo aspettare, la serie A e B di calcio. In Google.com invece sono l’algoritmo di programmazione A* di computer e la rivista accademica “Physical Review B.” Ci dice qualcosa su cosa gli italiani ricercano rispetto agli americani? Secondo me, sì.
Sulla stessa linea, infatti, troviamo i risultati per la lettera D: google.it ci restituisce “D Repubblica: consigli moda e bellezza, segreti su amore, sesso, vita di coppia e famiglia, ricette di cucina e news su arredamento, casa e design”. Invece google.com rimanda a un linguaggio di programmazione informatica (chiamato appunto “D”). Tutto ciò sembra confermare che le ricerche degli italiani sul web sono focalizzate sul “leisure”, quelle degli americani sul “work”.
Per la lettera “I” google.it offre “I borghi più belli d’Italia”, mentre google.com restituisce “I”, il soggetto di prima persona singolare nella lingua inglese. Si può leggere qui una maggiore attenzione alla qualità della vita in Italia, e in America al contrario un maggiore focus sull’ego? Decidete voi. Se sì, allora siamo 3-0 per l’ipotesi che stiamo verificando.
La lettera L è significativa: da google.it emerge l’ideologia di sinistra (L’Unità); capitalismo invece in google.com (con la multinazionale L’Oreal). Un contrasto simile si trova alla lettera P. Google.com indica il codice di borsa della compagnia Pandora Media. Google.it, incredibilmente, dà come primo risultato l’emoticonperché incluso nel link “Guarda il video «Educazione sessuale a scuola in Giappone :P»”. Insomma, sembra proprio che i risultati in google.it siano meno orientati alla sfera del lavoro e più a quella del sociale (se vogliamo classificare il video di educazione sessuale a scuola in Giappone come appartenente alla sfera del sociale).
La lettera N in google.it restituisce come primo risultato “Decreto ministeriale 5 febbraio 2014 n. 85. Modalità e contenuti delle prove di ammissione ai corsi di laurea e laurea magistrale a ciclo unico ad accesso programmato a livello nazionale a.a. 2014-15”.Burocrazia, ma quanto ci ossessioni? In google.com invece troviamo, più piacevolmente, N+, un gioco di computer con personaggi ninjia. Anche questo mi sembra dare un’idea della differenza fra la vita in Italia e negli Stati Uniti.
La ricerca per la lettera S in google.it rimanda a un’auto di lusso, il modello S della Tesla. Google.com invece restituisce @S, la handle di Twitter che dà le più recenti news scientifiche. Che gli italiani siano interessati ai motori non è una novità, è più sorprendente, almeno per me, che gli americani si occupino di scienza. Infine, la lettera V restituisce su google.it un periodo storico, il “Quinto secolo” e su google.com “v/”, una chatroom dedicata alla discussione di videogame.
In conclusione, questa ricerca altamente non-scientifica conferma il pregiudizio iniziale. Gli italiani si interessano di temi legati alla qualità della vita, alla sfera del sociale e al consumo: automobili, borghi d’Italia, storia, calcio, segreti su amore e sesso. E poi, giocoforza, burocrazia. Gli americani, o comunque chi utilizza la versione “internazionale” di google, ricerca invece temi legati alla sfera del lavoro: linguaggi di programmazione software, quotazioni di borsa, ricerca scientifica. E videogiochi.
Possiamo concludere che gli italiani vogliono qualcosa di diverso dagli americani? Non con certezza. Però il confronto è divertente; fatelo anche voi e fatemi sapere cosa trovate.
*Ha ottenuto il PhD. in Economics alla Northwestern University. Ha insegnato alla University of California Los Angeles (UCLA), alla University of Pennsylvania, e alla New York University, prima di ritornare alla Northwestern University nella Kellogg School of Business. E’ Research Associate per il National Bureau of Economic Research (NBER) e Honorary Fellow del Collegio Carlo Alberto. Ha pubblicato numerosi articoli presso le maggiori riviste scientifiche internazionali. I suoi interessi scientifici riguardano la Political Economy (l’economia della politica), Legge ed Economia, Criminologia, e la teoria economica. Redattore de lavoce.info.
p.s.
commenti? Buona domenica

venerdì 18 luglio 2014

Assolto...

Eccole le riforme..... con la legge monti, si proprio lui, essendo dimezzata la prescrizione si viene assolti: accadde per le coop e oggi è accaduto per mr. B.
 
gioiscono i suoi sostenitori; gioisce anche chi ha qualche pendenza in quel della toscana; gioisce il comitato d'affari interpartitico che sovvenziona tav, expò, ecc.; gioiscono tutti.... tranne il paese reale che anzichè vedere i nominati andare a casa e arrivare chi dovrebbe risollevare le sue sorti vede solo la metastasi diffondersi e dalla disperazione passa alla rassegnazione.
Chi dovrebbe monitare perchè tace?
Perchè non si elevano proteste?
Perchè l'unica cosa che si dice sui media è che M5S ha rovesciato il tavolo?
Perchè alla fine le riforme si stanno risolvendo solo nel creare un Senato di delegati, magari anche indagati, nominati dalla regioni e dai prtiti che li governano?
E' solo casuale che alla Procura di Milano ci sia uno scontro senza precedenti che riguarda i Magistrati finora sovraesposti?
Perchè queste "riforme" riguardano solo alcuni e non tutti i cittadini?
Si rendono conto che da oggi chi ha rapporti co una minorenne è legittimato ad averli... o bisogna avere, come dire, il giusto blasone per uscirne impuniti?
E per gli italiani cosa conta di più? Vedere un ritorno e uscire dai problemi nei quali gli stessi che oggi gioiscono c'hanno cacciato?
Brutto giorno per questo paese questo....
 

mercoledì 16 luglio 2014

Aids, per l’Onu “entro il 2030 sarà possibile fermare l’epidemia del virus Hiv”

Ogni tanto ne esce una. Ora tocca all'onu che ci dice che la diffusione della sindrome dell'AIDS è "sotto controllo": non è vero. E' vero il contrario: nei paesi occidentali il paziente vive di più e meglio  ma le campagne informative scarseggiano; negli altri paesi è poco sotto una strage di massa: interie generazioni rischiano di sparire. PErchè allora l'annuncio? Semplice, le statistiche dicono che sta rallentando: tutto qui; la sindrome in realtà ha nella maggior parte dei casi un decorso non breve e quindi se è possibile che in teoria sembra stia rallentando nella realtà, temo, si stia solo incubando nella prossima generazione.
Domanda: se fossi un politico responsabile della salute dei miei cittadini, sapendo che non c'è, ancora, una cura cosa posso fare per dare il mio contributo? La parola d'ordine sarebbe PREVENIRE: lanciare campagne incisive in rete, sulla stampa, in tv per far entrare nella testa delle persone che "solo usando preservativi" ci si può difendere dalla sindrome.. altro non c'è se non in contemporanea alle campagne informative fare controlli, anche volontari, sanitari nella parte della popolazione più a rischio: anche nel mondo del sesso a pagamento fino a legalizzarlo favorendo forme già sperimentate nel mondo, puritano, del nord europa.
Perchè non avviene? Sembra un bollettino di guerra: le malattie veneree stanno aumentando (soprattutto fra i giovani); alcune sindrome infantili, (anche grazie a scriteriate campagne contro i vaccini di massa) come il morbillo, stanno rispuntando; malattie finora curabili come la TBC sono riapparse con ceppi immuni alle cure; l'ebola è sempre lì ... e ora è arrivata anche qui; e si potrebbe continuare per molto ancora per molto senza soluzione di continuità. E il prossimo futuro non sembra roseo vista, da un lato, la tendenza verso una integrazione fra sanità pubblica e assicurazioni private, anche nel nostro paese (notoriamente le assicurazioni non sono società a scopo di beneficenza, basta guardare negli usa dove tutto il sistema sanitario è privato e chi non ne ha una non può accedere alle cure anche minime.... fra parentesi quel sistema sanitario sta fallendo miseramente ed è il meno efficiente del pianeta), dall'altro lo Stato è reticente nella prevenzione per tanti motivi: non ultimi i benpensanti, i cattolici, e gli stessi politici che, pur di mantenere lo scranno, gli vanno dietro tagliando i fondi alle suindicate campagne fino al punto che nel nostro paese quasi nessuno le fa..... nelle scuole tutto è lasciato alla buona voilontà di genitori e prof per dirne una: nessun coordinamento anzi repressione di chi va fuori della righe.
Leggendo in quest'ottica l'articolo della redazione del Fatto Quotidiano del 16 luglio 2014 forse fa apparire meno sensazionale l'annuncio dell 'onu e ne scopre la vena finanziaria di Big Pharma che ogni tanto tira la corda per scroccare fondi pubblici in ricerca e sviluppo... dei propri profitti
In meno di vent’anni il virus dell’Aids potrebbe essere fermato. E’ quanto afferma l’Onu, dandosi come data ultima per dare uno stop alla diffusione della malattia il 2030. “Porre fine all’epidemia provocata dal virus Hiv è possibile”, ha affermato Michel Sidibé, direttore esecutivo dell’Unaids, il programma congiunto dell’Onu su Hiv/Aids. Secondo il rapporto delle Nazioni Unite, nel mondo ci sono circa 35 milioni di sieropositivi, di cui 24,7 milioni nell’Africa sub-sahariana. Dallo scoppio dell’epidemia, più di trent’anni fa, 78 milioni di persone sono state infettate e 39 milioni sono morte per malattie correlate all’Aids. Dati che non sembrano spaventare l’Onu, capace di mettere nero su bianco la possibilità di dare un freno all’epidemia. ”Questo traguardo potrebbe essere raggiunto entro il 2030 in ogni Paese” anche perché “il numero di morti per il virus sta diminuendo”, continuano le Nazioni Unite.
Secondo un’analisi del rapporto fatta da al Jazeera, ci sono diverse ragioni per accreditare la speranza di raggiungere il controllo della malattia. Il mondo ha osservato importanti cambiamenti sul fronte dell’Aids e sono stati registrati più successi negli ultimi cinque anni che ne 23 precedenti, sottolinea l’Uniads. In particolare, l’accesso alle terapie antiretrovirali è cresciuto, portando a 12,9 milioni il numero di persone con l’Hiv che vi hanno accesso, pari al 37% di chi convive con il virus. Sempre secondo al Jazeera, la diffusione dei farmaci antiretrovirali è tra i miglioramenti più importanti e decisivi, se si pensa che un anno prima erano in trattamento solo 10 milioni di malati, mentre nel 2010 meno di 5 milioni subivano il trattamento. Per quanto riguarda le nuove infezioni, dal 2001 sono diminuite del 38%. Calo anche per i decessi, scesi del 35% negli ultimi 10 anni. “Oggi più che mai, c’è la possibilità di combattere la battaglia finale per la diffusione del virus”. 
Prospettive positive, quindi, anche se molto resta da fare. Primo fra tutti, un cambio di approccio. Incrementati quindi i fondi destinati al debellamento del virus: così che i 19 miliardi di dollari decisi dal programma delle Nazioni Unite per il 2013, dovranno necessariamente aumentare per il 2015, crescendo fino a 24 miliardi. Il rapporto definisce quindi i prossimi cinque anni come determinanti per indirizzare l’andamento dei prossimi 15. “Se il mondo accrescerà gli sforzi entro il 2020, l’umanità sarà in grado di porre fine all’epidemia”, continua Sidibé. 
Per “fine dell’aids”, quindi, si intende che la diffusione del virus potrebbe essere sotto controllo, anche perché è stato marginalizzato l’impatto della malattia per le persone e i contesti sociali. Il virus continuerà probabilmente ad esistere a lungo, ma il suo impatto può essere annullato applicando azioni di prevenzione e continuando a diffondere le cure esistenti. Una malattia per cui tutt’ora non esiste la cura, come ha dimostrato il noto caso della bambina statunitense nata sieropositiva, che sembrava fosse guarita fino a che qualche giorno fa non è tornata ad avere tracce di Hiv nel sangue.

martedì 15 luglio 2014

Crimini di guerra ... approvati.

Sapete cosa sono i D.I.M.E.?
non è difficile..... ecco cosa ne dice wikipedia: "Un Esplosivo denso a metallo inerte (Dense Inert Metal Explosive - DIME) è un tipo sperimentale di esplosivo che ha un raggio relativamente ridotto (circa 4 metri), allo scopo di produrre il maggior danno in un minore spazio. Tali armi vengono definite "concentrato di letalità", poiché distruggono con precisione l'obiettivo, provocando un danno minimo all'ambiente circostante".
Bene. Ora che, forse, avete le idee più chiare leggete anche cosa causano, sempre da Wikipedia:"Le persone che vengono a trovarsi nel raggio di azione dell'ordigno riportano ustioni e lesioni gravissime da particelle pesanti (perforazioni interne e multiple degli organi) impossibili da curare. Le persone lontano dal raggio letale d'azione dell'ordigno potrebbero tuttavia presentare perforazioni alle ossa degli arti (con conseguente amputazione). Le pesanti particelle inerti potrebbero penetrare nei tessuti, anche senza apparenti conseguenze, e causare, a lungo termine, tumori (Rabdomiosarcoma). Per questi fatti, le DIME sono sotto pesante critica internazionale" e ancora "gli effetti cancerogeni del tungsteno sono stati studiati dalla U.S. Armed Force dal 2000 (insieme al DU - Uranio impoverito). Questi studi hanno dimostrato che i sopracitati elementi possono causare trasformazioni neoplastiche delle cellule osteoblaste umane. Uno studio più recente del Dipartimento della salute degli USA nel 2005 ha scoperto che le polveri HMTA causano rapidamente il rabdomiosarcoma nei topi. Il rischio cancerogeno del tungsteno sembra essere più legato al nichel. Tuttavia, il tungsteno puro ed il triossido di tungsteno sono sospettati di causare cancro e di avere altre tossicità. Infatti questi effetti sono stati riscontrati con studi su animali".
Vi chiederete: perchè questa tirata? Il solito Gombloddista? Bè fate voi ma ho trovato questa news pubblicata su PressTV in inglese che, tradotta su google translate, suona così:
Un medico norvegese nella Striscia di Gaza assediata ha fortemente criticato Israele per l'utilizzo di bombe cancerogeni contro i civili palestinesi.

Dr. Erik Fosse detto Press TV che la maggior parte dei pazienti ospedalizzati a Gaza sono civili feriti in attacchi contro le loro case e circa il trenta per cento di loro sono bambini.

Dense Inert metallici esplosivi, noto come DIME, è un dispositivo esplosivo sviluppato per ridurre al minimo i danni collaterali in guerra.

Gli esperti dicono che ha una relativamente piccola ma efficace raggio d'azione e si crede di avere forti effetti biologici su coloro che sono colpiti da micro-schegge della bomba.

Fosse, un capo reparto di un ospedale universitario di Oslo, dice anche qualche palestinese nella enclave assediata è stato ferito da un nuovo tipo di arma che anche i medici con precedenti esperienze in zone di guerra non riconoscono.

Israele ha usato anche-uranio impoverito e fosforo bianco conchiglie nella regione assediata durante i loro assalti precedenti.

Questo si presenta come Israele continua a martellare la Striscia di Gaza per il sesto giorno consecutivo. Gli ultimi raid aerei israeliani hanno ucciso almeno 32 palestinesi nel territorio assediato.

Fonti palestinesi dicono che i caccia israeliani hanno colpito quasi 200 obiettivi nelle ultime 24 ore.

Almeno 167 persone hanno perso la vita e più di 1100 feriti a Gaza dal Martedì, quando gli attacchi israeliani hanno cominciato.

Le persone hanno tenuto un funerale a Gaza per i palestinesi che sono stati uccisi in attacchi israeliani contro l'enclave costiera. I partecipanti al funerale condannato il sostegno degli Stati Uniti
per Israele.

p.s.
ehm.... dire e denunciare è essere antisemita o è solo fare il blogger libero rimanendo nel solco tracciato da una grande persona come Vittorio Arrigoni? Perchè di armi non convenzionali gli occidentali ne hanno fatto larghissimo uso: dal vietnam, all'oggi, a gaza hanno scaricato di tutto..... dall'agente arancio al D.I.M.E c'è di che vergognarsi, giusto?

lunedì 14 luglio 2014

Debito pubblico, nuovo record a maggio raggiunta quota 2.166,3 miliardi

il Portogallo sta vedendo fallire, dopo la cura che hanno pagato  cittadini di quel paese impoveriti dalle ricette salva paese, le tre maggiori banche del paese...... inutile dire che anche lì il PIL decresce (questo si che è decrescere), la disoccupazione aumenta, l'inflazione anche e infine il debito pubblico protoghese non è affatto diminuito: perchè? Perchè la "ricetta" è pervicacemente fallimentare e mira solo a far ingrassare la finanza e non certo a risollevare l'economia. Eppure nessuno alza la voce.... ecco un post che fra qualche mese, quando crescerà ancora il "nostro debito pubblico", troveremo ottimista...
di | 14 luglio 2014
Nuovo record per il debito pubblico italiano che a maggio è aumentato di 20 miliardi di euro rispetto al mese precedente e ha raggiunto quota 2.166,3 miliardi. E così la crescita dall’inizio dell’anno è arrivata a 97 miliardi di euro, che in termini percentuali significa un rialzo del 4,7 per cento. E’ quanto emerge dal Supplemento al Bollettino statistico Finanza pubblica, fabbisogno e debito della Banca d’Italia pubblicato lunedì 14 luglio.
Quanto alle voci di costo, l’incremento è dovuto per 14,9 miliardi al versamento di liquidità nelle casse del Tesoro che a fine maggio era pari a 92,3 miliardi, 30 in più dell’anno prima, nonché, per 5,5 miliardi, al soddisfacimento del fabbisogno delle Amministrazioni pubbliche. Ma sarebbe potuta andare ancora peggio: l’emissione di titoli di Stato sopra la pari, l’apprezzamento dell’euro e gli effetti della rivalutazione dei BTP indicizzati all’inflazione (BTPi) hanno contenuto l’incremento del debito per 0,4 miliardi.
Ma il peso maggiore delle spese nel loro complesso è dovuto all’andamento dei conti delle amministrazioni centrali che vale 20,9 miliardi. Cala, invece, il debito delle Regioni e delle Province Autonome che è passato da 37,9 a 36,6 miliardi, mentre è rimasto stabile quello delle province (a 8,4 miliardi) ed è aumentato da 47,6 a 48 miliardi il debito dei Comuni. Invariato anche il debito degli Enti di Previdenza.
E così, nota l’Adusbef in un comunicato, il governo Renzi, partito a fine febbraio con un debito di 2.107,1 miliardi di euro, termina il quarto mese di governo con il debito salito a 2.166,300 miliardi, con un aumento di 59,143 miliardi, al ritmo di 14,785 miliardi al mese. Per i cittadini, sottolinea ancora l’associazione dei consumatori, il tutto si traduce in un maggior carico di 871 euro di “tassa occulta”, oltre ad altri gravami come Tari, Tasi, addizionali Irpef, accise, bolli passaporti, che portano il peso sulle spalle di ogni italiano a 36.225 euro a fine maggio. Una situazione che è andata a ripercuotersi su una popolazione che, secondo gli ultimi dati Istat, già nel 2013 evidenziava il 10% di povertà assoluta con la fascia delle famiglie che risulta essere la più colpita.
L’Adusbef inoltre scompone il debito generato dai governi Monti e LettaL’incremento del debito per 128,904 miliardi di euro generato dal governo Monti, secondo l’associazione, ha prodotto per i cittadini italiani  un aumento del carico pro capite pari a +2.163 euro, portando il debito totale a carico di ciascun cittadino italiano a 34.250 euro. Il governo Letta, partito a fine aprile 2013 con un debito di 2.041,293 miliardi di euro, conclude il suo mandato con un debito pubblico salito a 2.107,157, un aumento in 10 mesi di oltre 48 miliardi. L’aumento di carico pro capite imputabile alla sua politica, sempre secondo l’Adusbef, è di di 1.105 euro, per un totale di 35.354 euro alla fine di ottobre.
p.s.
capite perchè dico che fra qualche mese sarà ricordato come "ottimistico"?

domenica 13 luglio 2014

Il secolo del lavoro inutile


Se qualcuno avesse progettato un sistema del lavoro fatto su misura per salvaguardare il potere del capitale, non avrebbe potuto riuscirci meglio. I lavoratori veri, quelli produttivi, vengono spremuti e sfruttati implacabilmente. Gli altri si dividono tra un atterrito strato di disoccupati, disprezzato da tutti, e un più ampio strato di persone che in pratica vengono pagate per non fare nulla, e che ricoprono incarichi progettati per farle identificare con i punti di vista e le sensibilità della classe dirigente (manager, amministratori eccetera) – in particolare con le loro personificazioni economiche – ma che al tempo stesso covano un segreto rancore nei confronti di chiunque faccia un lavoro provvisto di un chiaro e innegabile valore sociale. 
di David Graeber
Nel 1930, John Maynard Keynes prevedeva che entro la fine del secolo la tecnologia sarebbe progredita abbastanza da permettere a paesi come il Regno Unito o gli Stati Uniti di approdare alla settimana lavorativa di quindici ore. Aveva ragione: in termini di tecnologia, saremmo perfettamente in grado di riuscirci. Eppure non è ancora successo. Anzi, semmai la tecnologia è stata arruolata per inventare nuovi modi di farci lavorare tutti di più. A tale scopo sono stati creati lavori che sono di fatto inutili. Enormi schiere di persone, soprattutto in Europa e Nordamerica, trascorrono tutta la loro vita professionale eseguendo compiti che segretamente ritengono inutili. I danni morali e spirituali che derivano da questa situazione sono profondi. È una cicatrice sulla nostra coscienza collettiva. Eppure non ne parla praticamente nessuno. Perché l’utopia promessa da Keynes non si è mai materializzata?La spiegazione standard è che Keynes non aveva preventivato la mole dell’incremento del consumismo. Messi davanti alla scelta tra meno ore di lavoro e più giocattoli e piaceri, abbiamo collettivamente scelto i secondi. Il che porterebbe con sé anche una morale simpatica, non fosse che basta riflettere un attimo per capire che non può essere così.
È vero, dagli anni venti in poi abbiamo assistito alla creazione di un’infinità di nuovi lavori e industrie, ma sono pochissimi quelli che hanno a che vedere con la produzione e la distribuzione di sushi, iPhone o scarpe da ginnastica costose. Allora cosa sono esattamente questi nuovi lavori? Un recente studio che confronta l’occupazione negli Stati Uniti tra il 1910 e il 2000 ci fornisce un’immagine chiara. Durante il secolo scorso, il numero di lavoratori impiegati come domestici, nel settore industriale e in quello agricolo è crollato. Parallelamente, “le libere professioni, i lavori dirigenziali, d’ufficio, di vendita e di servizio” sono triplicati, passando da un quarto degli impieghi complessivi a tre quarti. In altre parole, i lavori produttivi, esattamente come previsto, sono stati in gran parte sostituiti dall’automazione (anche calcolando il numero di lavoratori industriali a livello mondiale, comprese le masse che sgobbano in India e in Cina, questi lavoratori non rappresentano neppure alla lontana la stessa percentuale di popolazione mondiale di una volta).
Ma anziché consentire una significativa riduzione delle ore di lavoro per rendere la popolazione mondiale libera di dedicarsi ai propri progetti, piaceri e idee, abbiamo assistito all’esplosione non tanto del settore dei “servizi”, quanto di quello amministrativo, arrivando a comprendere la creazione di intere nuove industrie come quella dei servizi finanziari o del telemarketing, o l’espansione senza precedenti di settori come quello giuridico-aziendale, accademico, della amministrazione sanitaria, delle risorse umane e delle pubbliche relazioni. E questi numeri non comprendono tutte quelle persone che per lavoro forniscono a queste industrie assistenza amministrativa, tecnica o relativa alla sicurezza, né – se è per questo – l’esercito di attività secondarie (come i toelettatori di cani o i fattorini che consegnano pizze tutta la notte) che esistono soltanto perché le altre persone passano tanto tempo a lavorare in tutte le altre.Sono mestieri che propongo di definire “lavori stupidi”.
È come se esistesse qualcuno che inventa lavori inutili solo per farci continuare a lavorare. E proprio qui sta il mistero: nel capitalismo, questo è esattamente quel che non dovrebbe succedere. Certo, nei vecchi stati socialisti inefficienti come l’Unione Sovietica, dove il lavoro era considerato insieme un diritto e un sacro dovere, il sistema si occupava di inventare tutti i lavori necessari (ecco perché nei grandi magazzini sovietici ci volevano tre commessi per vendere un pezzo di carne). Ma questo, naturalmente, è proprio il genere di problema che la concorrenza di mercato dovrebbe correggere. Secondo le teorie economiche, perlomeno, l’ultima cosa che deve fare un’azienda desiderosa di profitti è sborsare soldi a lavoratori di cui non ha davvero bisogno. Eppure, non si sa perché, succede lo stesso.
È vero, le grandi aziende operano spesso tagli spietati, ma licenziamenti e prepensionamenti colpiscono immancabilmente la classe delle persone che fabbricano, spostano, riparano e mantengono in funzione le cose. Per una strana alchimia che nessuno sa davvero spiegare, ultimamente il numero di passacarte salariati sembra aumentare, e sempre più lavoratori dipendenti si ritrovano, un po’ come i sovietici di una volta, a lavorare in teoria quaranta se non cinquanta ore alla settimana, ma lavorandone di fatto quindici proprio come previsto da Keynes, perché il resto del loro tempo serve per organizzare o partecipare a seminari motivazionali, aggiornare i profili facebook o scaricare roba. Chiaramente la spiegazione non è economica: è morale e politica. La classe dirigente si è resa conto che una popolazione felice, produttiva e con del tempo libero a disposizione è un pericolo mortale (pensate a quel che è cominciato a succedere quando negli anni sessanta ci si è avvicinati a una vaga approssimazione di questa cosa). E d’altra parte, l’idea che il lavoro sia un valore morale in sé, e che chiunque non desideri sottomettersi a un’intensa disciplina lavorativa per la maggior parte delle sue ore di veglia non meriti niente, torna straordinariamente comoda a molti.
Una volta, riflettendo sulla crescita apparentemente infinita degli incarichi amministrativi nei dipartimenti accademici britannici, mi è venuta in mente una possibile visione dell’inferno. L’inferno è un insieme di individui che passano il loro tempo a svolgere un compito che non amano e nel quale non sono particolarmente bravi. Per esempio, sono stati assunti perché bravissimi a fabbricare mobili, dopodiché scoprono di dover passare un sacco di tempo a friggere pesce. E nemmeno quello è un compito necessario: c’è solo un certo numero molto limitato di pesci che vanno fritti. Eppure tutti questi individui sono così ossessionati dall’idea che qualche collega possa passare più tempo di loro a fabbricare mobili, senza sobbarcarsi la sua quota di dovere nella frittura del pesce, che presto nel laboratorio si accumulano innumerevoli montagne di pesce inutile e mal cotto, e nessuno fa nient’altro.
A dire il vero, questa mi sembra una descrizione piuttosto precisa delle dinamiche morali che governano la nostra economia.
Mi rendo conto che simili argomenti possono suscitare alcune obiezioni, tipo: “Chi sei tu per stabilire quali lavori siano necessari? Ma poi cosa vuol dire necessario? Tu che insegni antropologia, che necessità soddisfi?” (in effetti un sacco di persone considererebbero l’esistenza del mio lavoro come la definizione stessa di “spesa sociale inutile”). Da un certo punto di vista, questo è ovviamente vero. Non esiste un modo per misurare oggettivamente il valore sociale.
Non avrei mai la presunzione di dire a una persona convinta di dare un contributo importante al mondo che, sotto sotto, non lo dà. Ma come la mettiamo con le persone convinte di fare un lavoro stupido? Qualche tempo fa ho riallacciato i contatti con un compagno di scuola che non vedevo da quando avevamo dodici anni. Mi ha sbalordito scoprire che nel frattempo lui era diventato prima un poeta, poi il cantante di un gruppo rock alternativo. Avevo sentito alcune sue canzoni, senza avere la minima idea di conoscere il cantante. È chiaramente una persona brillante, innovativa, il cui lavoro ha indiscutibilmente ravvivato e migliorato la vita di tante persone in tutto il mondo. Ciò nonostante, dopo un paio di album andati male, ha perso il suo contratto discografico e, sommerso dai debiti e con una figlia appena nata, ha finito, sono parole sue, per “imboccare la strada che sceglie in automatico tanta gente che non sa dove andare: la facoltà di giurisprudenza”. Oggi lavora come avvocato aziendale per un importante studio di New York. Lui per primo ammette di fare un lavoro del tutto privo di senso, che non fornisce nessun contributo al mondo e che, secondo lui, in realtà non dovrebbe esistere.
A questo punto ci si potrebbero fare tante domande, cominciando da: che cosa dice della nostra società il fatto che riesca a generare una domanda estremamente limitata di poeti-musicisti talentuosi, a fronte di una domanda apparentemente infinita di specialisti in diritto aziendale? (Risposta: se la maggior parte della ricchezza disponibile la controlla l’1 per cento della popolazione, allora quello che definiamo “mercato” riletterà ciò che loro, e nessun altro, considerano utile o importante). Ma ancor di più dimostra che di solito chi fa questi lavori alla in fine si rende conto che sono stupidi. Anzi, credo di non aver mai conosciuto un avvocato aziendale che non pensasse di fare un lavoro stupido. Lo stesso vale per quasi tutte le nuove industrie descritte poco sopra. Esiste un’intera classe di lavoratori salariati che, se li incontri a una festa e ammetti di fare un mestiere considerato interessante (l’antropologo, per esempio), si rifiuta anche soltanto di dirti che lavoro fa. Fategli bere due o tre drink, e si lanceranno in vere e proprie tirate su quanto inutile e stupido sia in realtà il loro lavoro.
Stiamo parlando di una violenza psicologica profonda. Come si può anche solo cominciare a parlare di dignità del lavoro, quando in cuor suo una persona ritiene che il proprio lavoro non debba esistere? Come può un fatto del genere non creare una rabbia e un risentimento profondi?
Tuttavia, il talento tutto particolare della nostra società sta nel fatto che i suoi governanti hanno escogitato un modo, come nel caso dei friggitori di pesce, per garantire che questa rabbia venga indirizzata contro chi invece fa un lavoro sensato. Per esempio: nella nostra società sembra vigere una regola generale per cui più il lavoro di un individuo giova palesemente ad altre persone, minori sono le probabilità che questo lavoro venga pagato. Ripeto, è difficile individuare un parametro di misurazione oggettivo, ma per farsi un’idea basta semplicemente chiedersi: che succederebbe se quest’intera classe di persone scomparisse? Dite quel che volete di infermieri, spazzini e meccanici: è palese che, se dovessero sparire in una nuvola di fumo, gli effetti sarebbero immediati e catastrofici. Un mondo senza insegnanti e scaricatori di porto finirebbe presto nei guai, e anche un mondo senza scrittori di fantascienza o musicisti ska sarebbe evidentemente peggiore. Non è però del tutto chiaro in che modo l’umanità soffrirebbe se dovessero svanire allo stesso modo tutti gli amministratori delegati di società d’investimenti, i lobbisti, gli addetti alle pubbliche relazioni, gli analisti assicurativi, i lavoratori del telemarketing, gli ufficiali giudiziari o i consulenti legali (molti sospettano che potrebbe significativamente migliorare). Eppure, fatta salva una manciata di stimatissime eccezioni (i medici), la regola resiste sorprendentemente bene.
Cosa ancor più perversa, sembra circolare la diffusa convinzione che sia giusto così. Ecco qual è uno dei punti di forza segreti dei populisti di destra. Lo si vede quando fomentano il rancore contro i dipendenti della metropolitana che paralizzano Londra per il rinnovo del contratto: il fatto stesso che i dipendenti della metropolitana siano in grado di paralizzare Londra è la riprova che il loro lavoro è necessario, ma a infastidire la gente sembra sia proprio questo. È ancora più evidente negli Stati Uniti, dove i repubblicani stanno riuscendo con molto successo a mobilitare il risentimento contro gli insegnanti o contro gli operai dell’industria dell’automobile (e non, dettaglio significativo, contro chi amministra le scuole o contro i dirigenti che creano i problemi) a causa di stipendi e benefit che sembrano eccessivi. È come se gli stessero dicendo: “Ma voi insegnate ai bambini! O costruite le macchine! Fate dei lavori veri! E avete anche la faccia tosta di aspettarvi delle pensioni e un’assistenza sanitaria da classe media?”.
Se qualcuno avesse progettato un sistema del lavoro fatto su misura per salvaguardare il potere del capitale, non avrebbe potuto riuscirci meglio. I lavoratori veri, quelli produttivi, vengono spremuti e sfruttati implacabilmente. Gli altri si dividono tra un atterrito strato di disoccupati, disprezzato da tutti, e un più ampio strato di persone che in pratica vengono pagate per non fare nulla, e che ricoprono incarichi progettati per farle identificare con i punti di vista e le sensibilità della classe dirigente (manager, amministratori eccetera) – in particolare con le loro personificazioni economiche – ma che al tempo stesso covano un segreto rancore nei confronti di chiunque faccia un lavoro provvisto di un chiaro e innegabile valore sociale.
Non è un sistema progettato in modo conscio: è emerso da quasi un secolo di tentativi empirici. Ma è anche l’unica spiegazione del perché, nonostante le nostre capacità tecnologiche, non lavoriamo tutti quanti solo tre o quattro ore al giorno.
[da Internazionale, n. 1023, 25-31 ottobre 2014]

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