sabato 16 aprile 2016

Referendum trivelle, breve guida al voto (visto che i populisti non ce l’hanno spiegato)

di | 15 aprile 2016 dal Fatto Quotidiano

Ho scoperto che del referendum di domenica so davvero poco. Mi sono chiesto perché, nonostante se ne parli da settimane, io oggi non conosca il quesito alla perfezione né quali siano esattamente e nel dettaglio le ragioni del No e quali le ragioni del Sì. In compenso però ogni giorno scopro cosa farà questo o quel politico. Se si asterrà, se voterà a favore, contro. Ma nessuno spiega il perché. A scoprirmi ignorante stamani mi sono ricordato dell’ortodossia orwelliana di 1984: “L’Ortodossia consiste nel non pensare, nel non aver bisogno di pensare. L’Ortodossia è inconsapevolezza”, scrisse George Orwell. Non è una bella sensazione: la classe dirigente del Paese sta chiedendo ai cittadini di obbedire senza fornire informazioni adeguate su contenuti e conseguenze delle scelte.

È uno dei risultati del “populismo dall’alto” descritto da Marco Revelli nel suo libro Dentro e contro. Populismo incarnato alla perfezione da Matteo Renzi, che se ne dimostra ancora una volta Re indiscusso. Del resto lui ha trasformato il voto di domenica 17 sulle trivelle in un conflitto tra tifoserie pro o contro il premier. È il tentativo (populistico) di strumentalizzare i cittadini, considerandoli divisi in greggi e confidando che sia più numeroso quello che scatta sull’attenti e obbedisce senza riflettere agli “ordini” scanditi dal gran Capo. Non è più ormai una questione di rispetto della Costituzione – che imporrebbe ai rappresentati dello Stato di tutelare e agevolare ogni forma di espressione di democrazia – ma piuttosto di rispetto dell’intelligenza (e autonomia) di ciascuno. Davvero crede il premier che siano così numerosi i “sudditi” obbedienti rispetto a quanti decidono autonomamente informandosi? No. Altrimenti non tenterebbe di boicottarne l’informazione. La Rai di Palazzo Chigi, non è un caso, ha silenziato l’argomento. Nei tg complessivamente se ne è parlato per 13 minuti appena. Mentre le poche trasmissioni di viale Mazzini che hanno sfiorato l’argomento (come Agorà) hanno creato solo confusione, fornendo dati sbagliati e spesso falsi come che si vota solo in alcune Regioni. La carta stampata non è stata da meno. Persino alcuni siti internet, solitamente più obiettivi e completi, si sono schierati nel pro e contro Renzi senza fornire ai lettori una completa e approfondita guida al referendum.

Per quel che vale io andrei a votare, perché lo ritengo un diritto (tra i pochi ancora rimasti) oltreché un dovere. E cosa voterei? Mi sono informato. Intanto è un referendum abrogativo promosso da 9 Regioni ed è la prima volta che accade. Il quesito recita: “Volete che, quando scadranno le concessioni, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c’è ancora gas o petrolio?”. Il merito: sono materia di referendum esclusivamente le trivellazioni già in atto entro le 12 miglia dalla costa.
Ma su cosa interviene il referendum? Quale legge – o parte di legge – vuole abrogare? Il riferimento è al cosiddetto “codice dell’ambiente”, cioè il decreto legislativo 152 del 2006. In particolare il comma 17 dell’articolo 6 che stabilisce come “ai fini di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, all’interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale, in virtù di leggi nazionali, regionali o in attuazione di atti e convenzioni internazionali sono vietate le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare”. Insomma: considerato il territorio italiano, che ha nel mare la sua principale ricchezza (turistica in particolar modo), sembra una norma piuttosto sensata. Il referendum di domenica 17 propone di abrogare di questo articolo una frase. Questa: “I titoli abilitativi già rilasciati sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”. Quindi: fin quando ci sarà gas o petrolio si potrà trivellare e cercare di estrarlo ovunque, anche nelle 12 miglia, a prescindere dal termine della concessione. O meglio: viene rilasciata una concessione a vita e mani libere. Questo dicono i sostenitori del Sì. Mentre chi è propenso al No ricorda che si parla di giacimenti già esistenti. Vero, ma un conto è l’esistenza di un giacimento, un conto è poter tentare di sfruttarlo e avere mani libere per farlo.
Il sito del Fatto ha riportato correttamente tutti i fronti, quindi su questo sito si trovano facilmente le diverse posizioni. Ma basta rivolgersi a mister Google. Evitando le dichiarazioni dei politici e cercando di raggiungere una consapevolezza. Anche solo per non svegliarsi lunedì mattina scoprendosi nell’ortodossia orwelliana e circondati di trivelle.
di | 15 aprile 2016
 
 
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meglio non lo si poteva dire....

giovedì 14 aprile 2016

Grecia, è scontro all’interno della Troika: Europa sull’orlo del baratro?

di | 13 aprile 2016 dal Fatto Quotidiano
Un interessante documento pubblicato in questi giorni su Wikileaks ci descrive meglio tutta l’incertezza che circonda le sorti della Grecia e del suo salvataggio. Il documento in questione è il verbale di una riunione interna del Fmi del 19 marzo scorso, alla quale partecipano Poul Thomsen, capo del dipartimento europeo del Fmi, Delia Velkouleskou, responsabile del Fmi in Grecia e Iva Petrova, economista del Fmi. La conversazione tra i tre membri del Fmi inizia con Thomsen che esprime tutta la sua preoccupazione nel fissare una data prestabilita per i colloqui tra la Troika, rappresentata da Fmi, Bce e Commissione Europea, e la controparte greca, quando ancora adesso le posizioni delle tre istituzioni incaricate di eseguire un nuovo piano di prestiti per la Grecia, sono piuttosto lontane. In particolare lo scontro è tra la parte europea della Troika, la Commissione Europea, e quella americana del Fmi, tra le quali restano profonde divergenze sulla situazione greca.

Sostanzialmente si vive di nuovo la stessa situazione del 2015 ; da una parte la Commissione Europea (e la Germania), rifiutano di prendere in esame la possibilità di un haircut sul debito; dall’altra il Fmi, in disaccordo con i colleghi europei, continua a chiedere una forte riduzione del debito greco, perché considera venute meno le condizioni di sostenibilità del debito della Grecia per ricevere un altro piano di prestiti. Su questo il Fmi aveva presentato uno studio nel quale veniva mostrata l’evoluzione del rapporto debito/Pil greco che avrebbe, se applicate le misure di austerità imposte dalla Commissione Ue, superato la soglia del 200% nel giro di due anni. La parte europea presentò a Tsipras delle condizioni che prevedevano un surplus degli avanzi primari pari al 3,5%, in cambio degli 86 miliardi di euro di aiuti da parte dell’Europa. In cambio la Grecia si è impegnata a rispettare un piano draconiano fatto di tagli alla spesa pensionistica e di aumento delle imposte sul consumo, senza togliere la privatizzazione dei suoi aeroporti dati in concessione alla compagnia tedesca Fraport. Ora le due parti tornano a scontrarsi e a preoccupare il Fondo sono le evoluzioni di una situazione dagli effetti imprevedibili per la stabilità dell’Europa.
Poul Thomsen sembra perfettamente consapevole che le condizioni imposte dalla Commissione alla Grecia non possono essere rispettate. La Commissione Ue chiede alla Grecia un avanzo primario del 3,5% di Pil, ma in queste condizioni è difficile pensare che questo obbiettivo possa essere realizzato, nemmeno attraverso l’applicazione di tutte le riforme chieste al governo greco, come i maggiori aumenti alle imposte e gli ulteriori tagli alla previdenza sociale. Quando passa a prendere in esame la posizione dell’Eurogruppo, Thomsen appare ancora più pessimista perché non crede che questa istituzione sia disposta a fare sconti alla Grecia, e ribadisce di “non essere disposto ad andare avanti a meno che l’Europa non stabilisca i suoi obbiettivi all’1,5% “. Il rappresentante del Fondo sembra già sapere la risposta dell’Eurogruppo, che “non accetterà questa condizione “ e proporrà il vaglio di “ altre misure”. A questo punto Delia Velkouleskou tira in ballo le proiezioni realizzate dal Fmi sulla crescita della Grecia , che (qualora fossero eseguite integralmente le raccomandazioni del Fmi) stimano una riduzione del Pil greco pari a circa mezzo punto percentuale, opposte a quelle della Commissione, che secondo Thomsen saranno “intorno allo 0 a +0,25%”.
Per il Fondo l’obbiettivo fondamentale rimane quello dell’1,5% di avanzo primario, e non bisogna spostarsi da questa soglia. La tensione sale, non sembra esserci una via d’uscita ed è a questo punto che Thomsen accarezza l’idea di abbandonare la Troika, stufo dell’atteggiamento intransigente della Commissione e della Germania. Per sbloccare lo stallo si pensa di lasciare spazi di manovra ristretti ad Angela Merkel, mettendola di fronte a due alternative: la prima prevede la possibilità di andare avanti senza il Fmi e costringere la Merkel ad assumersi la responsabilità di questa scelta; la seconda è la capitolazione dell’Europa alle richieste del Fmi per un robusto haircut sul debito greco così da lasciare intatta l’unità della Troika. Ma su questo la Merkel ha già fatto sapere in questi giorni che “non è legalmente possibile” avere un haircut nell’eurozona.
Ci sono tutte le condizioni per arrivare allo stesso punto dell’anno passato, dal momento che la situazione finanziaria della Grecia è immutata, se non peggiorata. Quello che preoccupa maggiormente gli esponenti del Fondo, è lo stallo nel quale potrà trovarsi l’Europa tra due mesi, dal momento che la Grecia dovrà restituire parte dei prestiti concessi lo scorso anno a luglio, ma nello stesso periodo potrebbe essersi già consumato il Brexit. Uno scenario da paralisi che Thomsen considera, paradossalmente, come il solo in grado di sbloccare l’Europa e costringerla a qualche decisione. La conclusione della conversazione trasmette tutto il pessimismo e la frustrazione che grava su una situazione drammatica, con Thomsen che “spera di risolvere il problema per il bene della Grecia”, anche se non sembra esserci molta convinzione nelle sue parole.
di | 13 aprile 2016

mercoledì 13 aprile 2016

Casaleggio, le sue “visioni”: la jobless society e il fenomeno dei “media affamati”

di | 13 aprile 2016 dal Fatto Quotidiano

Casaleggio era un visionario. Il visionario non è l’equivalente del profeta, dell’indovino o dell’utopista che popolavano i quartieri alti e bassi della società preindustriale e precapitalistica. Oggi produrre visioni è piuttosto il mestiere di chi immagina i mondi futuri (oggetti, modi di relazione, costumi) contenuti nella pancia di quelli corrente, che si ingegna a dedurre quel che sarà e che prenderà il posto di quel che c’è. Il visionario, insomma, se la prende con le concezioni correnti perché le vede già appiedate rispetto a quelle che incombono. I visionari suscitano grandissima attenzione in ambienti attentissimi al calcolo economico e per questo spesso sono consulenti delle grandi società che hanno in gioco grandi investimenti di cui rientrare in un lungo corso d’anni (ad esempio i gestori delle reti telefoniche, come Telecom per cui Casaleggio ha lavorato a lungo, ma anche i fondi che muovono mari di capitali e che hanno l’incubo di sbagliare il cavallo su cui puntarli). In altri termini, il visionario è sì no che delinea il futuro, ma sempre estraendolo da quel che c’è, come possibilità o inevitabilità del presente.
Due (per quanto più ci interessa) sono le “visioni” di Casaleggio che di fatto si stanno realizzando. La prima è l’affermarsi della jobless society (società dove il lavoro è scarso) e cioè del mondo dove i più, sostituiti dalla informatica, non lavoreranno. Da qui la necessità di distribuire ai non lavoranti – che potrebbero divenire maggioranza – quel tanto di reddito che li faccia sopravvivere e che assicuri la continuità sistemica del ciclo produzione-consumo. Un “reddito di cittadinanza” che per questo è elemento strutturale del manifesto M5s, e che si sgancia (altro che “Italia è una repubblica fondata sul lavoro”) dal lavoro svolto, interrotto (indennità di disoccupazione) o esaurito (pensioni). La seconda visione riguarda i media: tv, radio e stampa. Si dice che siano tutti in crisi per l’avanzare di internet, il che è vero, anche se solo fino a un certo punto. Ma più in generale ci sembra che Casaleggio abbia colto il fenomeno dei “media affamati”. Affamati, come da sempre accade, di cose da dire e raccontare, ma sempre meno in grado di andarsele a cercare perché impoveriti dalla crisi dei vecchi modelli di business. Di conseguenza radio, tv e giornali stanno per lo più lì a bocca aperta ad attendere l’imbeccata attorno a cui chiacchierare, e per muoverli a bacchetta non serve più il potere, ma l’evento più o meno (di solito meno) sostanzioso.
Lo ha capito anche Renzi, che infatti dai media sa farsi inseguire. Mentre Casaleggio ha pensato alla convergenza con Grillo, per l’appunto un artista costruttore di eventi, battute, gesti che in tutti i media riesplodono un attimo dopo aver fatto capolino sul blog-detonatore. Intanto annotiamo che da Lilly Gruber, ovviamente pronta sulla notizia, il pubblico è cresciuto ieri sera di quasi un punto di share rispetto al martedì della settimana scorsa. Tutto per merito dei diplomati e laureati (la zona più riflessiva del pubblico) attratti dalle domande sul futuro delle stelle visionariste, ora che le visioni devono farsele tutte da sé.
di | 13 aprile 2016


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... che avesse una sua visione è certo sennò non avrebbe potuto essere co-fondatore di un moVimento come il M5S. Sapeva il fatto suo anche se non era certo avvezzo ai bizantinismi della politica nostrana... chiedere a Di Pietro. Ma ritengo necessarie alcune chiarificazioni: la jobless society, ben spiegata nell'articolo, ha una sua motivazione; ecco cosa scrive Lorenzo Cavalieri: "L’ILO, l’Organizzazione Mondiale del Lavoro, dice nel suo “Work Employment and social outlook 2015” che la massa salariale mondiale è diminuita di 1218 miliardi di dollari e più di 60 milioni di posti di lavoro sono stati persi negli ultimi 7 anni. L’ILO dice anche che la disoccupazione mondiale continuerà a a crescere nei prossimi 5 anni. Il PIL mondiale però aumenta. Ricchezza in su, lavoro in giù". Immagino sia chiaro, no? Ma detta così può anche suonare "poco" interessante se no si chiarissero gli altri due pilastri dell'attuale società liquida, ossia: la "ownership society" (La società dei proprietari) dove tutti sono proprietari e la l'idea, raccontata nell'ormai vetusto ma sempre attuale "La fine del lavoro" di Jeremy Rifkin, del 20/80 o per meglio dire quel tipo di società dove una ristretta élite vive davvero bene a scapito della restante popolazione che viene "sovvenzionata" al solo fine di compiacere la suindicata élite.... ci sarà o no un motivo che spinse il CEO di Goldman-Sachs a dire che le "costituzioni antifasciste" uscite dalla II° guerra mondiale erano troppo socialiste e troppo poco "market oriented"? Ecco Casaleggio questo rospo lo conosceva bene, sapeva... sia veva una visione ma quella visione in realtà era un incubo...

martedì 12 aprile 2016

.. i corvi già volano

Gianroberto Casaleggio è morto. L'anima, quella vera, del M5S se n'è andato ed ha lasciato un vuoto enorme dietro di se che difficilmente potrà essere colmato e, sorpattutto, nel più breve tempo possibile..... se non si vuole che, appena nato, il moVimento imploda su stesso.
Già perchè è questo il problema: un movimento come il M5S che si basa su una ristrittissima cerchia che realmente lo dirige quando viene a mancare uno dei perni principali c'è il reale rischia che l'intera struttura collassi su se stessa e tutto il lavoro fatto vada a carte quarantotto.....  e questo era Casaleggio per il M5S. Certo ci sono i cosiddetti "reggenti" ma non siamo in una società ideologizzata e nemmeno siamo in presenza di un movimento con una reale base comune: infatti ci sono destra, sinistra e centro insieme così come ci sono imprenditori e cassintegrati; nuove professione e partite iva ecc. ecc. insomma un coarcervo d'interessi che poco anno in comune fra loro se non una speranza di cambiare il paese in meglio e creare la basi di una società giusta: in teoria... perchè nella pratica, a ben vedere come agiscono i penstellati dove gestiscono la cosa pubblica, non si discostano molto dall'alveo liberista predominante nella società occidentale (d'altronde tutti loro, salvo eccezioni, sono nati in questa società e non conoscono altro): privatizzano (servizi che prima erano gestiti dal pubblico), tagliano (scuole, ecc.), chiudono aziende pubblica di importanza sociale non discostandosi molto dal trend corrente mentre in teoria dovrebbero, almeno in teoria, salvaguardare almeno i servizi come l'acqua o simile.... una distopia non da poco ma che è in piena assonanza con la trasversalità del movimento e la quasi completa mancanza di una linea realmente comune ed infatti sulla carta era una cosa nella relatà, quella del mercato senza regole e doveri di solidarietà, è un altra come ben hanno scoperto coloro che hanno vinto le amministrative... ora tutto ciò, nel bene e nel male, rischia di andar perso perchè, come ben sanno i cervelli che son dietro le cabine di regia dei partiti tradizionali e le lobby, con la dipartita di Casaleggio, questo "patrimonio" rischia di andar perso insieme ai voti che potrebbero essere in uscita se il M5S dovesse sciogliersi o snaturarsi. E mai come ora, che abbiamo al governo le lobby, un movimento che apra prospettive diverse è necessario davvero.....quantomeno per fare una vera opposizione quale non siamo più abituati.
Altrimenti i corvi che ora volano alti s'abbasseranno a contendersi la carcassa e davvero quel barlume di speranza che questo moVimento rappresentava si spegnerà per sempre..

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