giovedì 16 novembre 2017

Governo, Interno e Difesa: così Anonymous ha compromesso la sicurezza del Paese

di | 15 novembre 2017  Il Fatto Quotidiano

Dopo la Svezia, Anonymous. Eh no, non si fa così. Alla cocente mortificazione sul campo di calcio, segue lo smacco alla sicurezza cibernetica del Paese.
Incuranti delle centinaia di convegni in cui si affilano le chiacchiere a protezione di infrastrutture critiche, archivi segreti e dati riservati, gli hacker di Anonymous hanno umiliato gli immarcescibili guru della cybersecurity e saccheggiato i forzieri digitali della presidenza del Consiglio e di vari Ministeri.
Forse approfittando della circostanza che tutti gli esperti erano impegnati a preparare slide per il prossimo workshop o intenti in un copia-e-incolla di cose che non sapevano, i pirati informatici si sono scaricati un quantitativo imprecisato di informazioni personali relative a personale in servizio nelle Forze armate e di Polizia o a Palazzo Chigi (e qui magari pure nelle dependance delle “barbe finte”). L’arrembaggio – compiuto “per il diritto alla democrazia e della dignità dei popoli” – avrebbe consentito il download dei contratti di consulenti ed esperti e degli stipendi dei dipendenti in uniforme e non, dei riferimenti ai più diversi documenti di identità, degli indirizzi email e dei telefoni, dei numeri di targa e di chissà cosa altro.
Il “leaking”, ovvero la sottrazione di dati da sistemi gestionali e database, non avrebbe una data precisa e potrebbe essere avvenuto gradualmente. L’unica constatazione che non può essere messa in dubbio è la permeabilità dell’architettura tecnologica dei più importanti organismi vitali della macchina pubblica nazionale. Poco importa se lo scippo è stato fulmineo o se i banditi hanno proceduto lento pede così da non dare nell’occhio. Il fatto più avvilente è che si scoprano queste cose solo dopo che il “nemico” ha esposto le sue prede al ludibrio collettivo.
E’ quindi fin troppo legittimo pensare ci siano state altre e chissà quante occasioni in cui nessuno ha sbandierato le proprie prodezze e che invece abbiano gravemente compromesso la sicurezza del Paese. I fatti – e non i proclami alla “Vincere, e vinceremo” – parlano chiaro ed evidenziano l’infimo livello nel contrasto alla minaccia cibernetica. La situazione sul fronte digitale è oggettivamente critica ed è purtroppo lo specchio del contesto politico.
La citazione di Platone pubblicata da Anonymous nell’ostentazione della malefatta cova presentimenti atavici. Quel “La gente si separa da coloro cui fa la colpa di averla condotta a tale disastro”, ad esempio, ci costringe a riflettere sullo sbalorditivo astensionismo in Sicilia e sulla inarrestabile scissione tra cittadini e rappresentanti nelle sedi istituzionali.
Ci si augura che le parole del filosofo greco si avverino solo per metà. “Così la democrazia muore: per abuso di se stessa. E prima che nel sangue, nel ridicolo” scriveva Platone nella sua Repubblica. L’auspicio è che non si arrivi ad episodi cruenti. La certezza è che il “ridicolo” – almeno nella cybersecurity – è quotidianoQualche novità è in cantiere nel disegno di legge n. 2960 ovvero nella legge di bilancio 2018.
All’articolo 35 già si prospetta una “fondazione di diritto privato” costituita dal Dipartimento delle informazioni per la sicurezza con la partecipazione di enti ed amministrazioni pubbliche e soggetti privati. Vedremo a chi sarà affidato il timone e quale ne sarà la ciurma. Senza aspettarci miracoli.
Nel frattempo, oltre a quelle di Carlo Tavecchio e Gian Piero Ventura, sarebbe bello poter vedere le dimissioni di trainer e player della cybesecurity (tre parole anglofone nelle ultime cinque digitate mi fanno capire che sono sulla buona strada) che continuano a giocare contro una immaginaria Svezia dell’altro giorno o – a voler esser vintage a tutti i costi – contro l’indimenticabile Pak Doo Ik della Corea ai Mondiali del 66.
di | 15 novembre 2017
 

mercoledì 15 novembre 2017

Democrazia online, i peggiori nemici sono i governi

Punto Informatico
di Mirko Zago

Roma - Freedom House, associazione indipendente che si batte per la libertà e democrazia nel mondo, con la redazione del report "Freedom on the Net 2017" ha messo in luce le gravi minacce alla democrazia rappresentate da un cattivo uso dei social media. Questi strumenti sono stati negli ultimi mesi sfruttati per tattiche di disinformazione con l'intento di manipolare l'opinione pubblica. Tra gli esempi più lampanti vi è l'implicazione di Facebook nel caso Russiagate. Il social network ha ospitato infatti nel periodo preelettorale contenuti tendenziosi creati e sponsorizzati da falsi utenti con base in Russia nell'intento di convincere a votare per il candidato Trump, screditando la Clinton. Casi di violazione di tutti i tipi (istigazione all'odio, censura, cattivo utilizzo dei dati) si ripercuotono, secondo l'associazione, ormai ininterrottamente da sette anni. E spesso dietro ad essi si nascondono gli stessi Governi.
Circa la metà dei 65 Paesi coinvolti dallo studio hanno registrato nell'ultimo anno un declino e solo 13 di essi hanno registrato invece miglioramenti (quasi esclusivamente di entità minore). L'ondata minacciosa è rappresentata nella maggior parte dei casi dalla proliferazione delle fake news e dalla creazione di falsi account volti ad alimentare lo scontro e l'odio online. Come d'altronde accaduto durante la campagna elettorale statunitense, occasione nella quale l'opera di disinformazione attuata dal governo russo sia stata documentata dalle indagini ancora in corso.

Ma non c'è solo la Russia sul banco degli imputati. Tra i governi che hanno assoldato opinion leader online per viziare l'opinione pubblica ci sono anche Venezuela, Filippine e Turchia. Le attività su Internet e in particolare sui social media sono in questo caso volte ad ammorbidire i toni dei contestatori, forzare il punto di vista in maniera subdola fino a vera e propria propaganda. Quantificare il numero di persone al soldo dei governi e quali attacchi siano stati sferrati in maniera puntuale sono informazioni difficili da reperire.
Per contrastare la minaccia e garantire la democrazia occorre appellarsi ai governi affinché si comportino onestamente, ma è anche fondamentale che il sistema educativo faccia la sua parte istruendo i cittadini affinché riconoscano le fake news o commenti e contenuti viziati. Dall'altra parte le grandi aziende del tech devono assumersi la responsabilità di riesaminare i loro processi di moderazione e algoritmi al fine di disinnescare situazioni dannose, bloccare account fake e disabilitare i bot impiegati nelle attività di persuasione. Facebook ha già intrapreso impegni in tal senso e ha apportato alcune modifiche alla sua struttura.
Mai il declino della democrazia su Internet è attaccato sotto molti altri fronti. Alcuni governi hanno infatti minato la libertà bloccando completamente la connessione a Internet in alcune zone del Paese abitate da minoranze etniche, come l'area tibetana in Cina e Oromo in Etiopia, imposto censura e nel peggiore dei casi proibito l'utilizzo della rete (Corea del Nord). Ma vi sono anche casi di disconnessione mirata nel tentativo di impedire la trasmissione di video live: è il caso della Bielorussia; ufficialmente lo scopo era per impedire la trasmissione di nudo e violenza, anche se sembra che la volontà sia piuttosto quella di frenare i manifestanti e distrarre quindi da temi politici scomodi.
... il resto lo trovate su Punto Informatico

martedì 14 novembre 2017

"Centinaia di militanti Isis lasciati andare via da Raqqa". L'accordo segreto con curdi e forze internazionali rivelato dalla Bbc

Da informazione consapevole

(lo cita da Huffington Post)



"Lo sporco segreto di Raqqa". È questo il titolo di una dettagliatissima inchiesta della Bbc pubblicata sul sito online. Inchiesta che ha del clamoroso
La Bbc ha infatti scoperto i dettagli di un accordo segreto che ha permesso a centinaia di combattenti dello stato islamico e alle loro famiglie di fuggire da Raqqa, sotto lo sguardo della coalizione guidata dagli Stati Uniti e dal Regno Unito e dalle forze curde che controllano la città.
Un convoglio comprendeva alcuni dei membri più influenti dell'Isis e, a dispetto delle rassicurazioni, decine di combattenti stranieri. Alcuni di essi si sono sparsi intorno alla Siria, arrivando anche fino alla Turchia.
 
questo link potete leggere l'inchiesta integrale.

lunedì 13 novembre 2017

L'ex-presidente di Facebook: i social fanno male al cervello

Punto Informatico
di Alfonso Maruccia

Roma - Non bastavano le polemiche sulle fake news, l'advertising comprato dai servizi segreti russi e le accuse di monopolio nei servizi di rete; ora Facebook deve fare i conti anche con le reprimende di chi, per aver investito i primi soldi nel futuro colosso dei social network, è diventato miliardario e ora accusa: "Facebook ci sta friggendo il cervello, e sta facendo del male soprattutto agli utenti in giovane età".

Le nuove accuse contro Facebook arrivano infatti da Sean Parker, presidente originario della corporation, miliardario e cofondatore del primo network di file sharing della storia (Napster) che in un evento organizzato a Philadelphia parla degli inizi dell'impresa di Zuckerberg e soci. Un'impresa progettata per imbrigliare la mente dei suoi utilizzatori.

Facebook è stato pensato fin dall'inizio per consumare quanto più tempo e attenzione cosciente degli utenti, rivela Parker, sfruttando "una vulnerabilità nella psicologia umana" per creare un "social-validation feedback loop" capace di raggiungere lo scopo indipendentemente dalla forza di volontà dei partecipanti al network.
Arrivato alle dimensioni attuali, dice ancora Parker, Facebook ha la capacità di "cambiare letteralmente la relazione con la società, la relazione di ciascuno con l'altro", e soprattutto di modificare in chissà quali modi - molti evidentemente negativi - "la mente dei nostri bambini."

Dopo aver guadagnato più di due miliardi con il social network, Parker dice ora di essere diventato un "obiettore coscienzioso" e di essere piuttosto interessato alla ricerca sul cancro o altre attività filantropiche del genere.

Di certo la posizione critica di Parker rispetto al social networking - e a Facebook in particolare - non è isolata, nell'ambito della Silicon Valley e della società civile americana; altri pezzi da novanta e dipendenti del Facebook delle origini dicono ora di sentirsi "colpevoli" per tutto il male che la corporation ha portato, sta portando e porterà alle relazioni sociali lontano dallo schermo.

Vista dall'interno di Facebook, invece, la soluzione contro i danni della "socialità" virtuale sembra essere un coinvolgimento sempre maggiore dell'azienda nelle esigenze concrete delle comunità. La nuova iniziativa in tal senso si chiama Community Boost, e vuole fornire le competenze digitali necessarie a "tirare fuori il meglio da Internet" a persone in cerca di lavoro, piccole imprese e startup. Il servizio sarà disponibile nel 2018 per 30 città americane.

Alfonso Maruccia

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