Fonte: Il Fatto Quotidiano 2 febbraio 2018
di Felice Roberto Pizzuti*
Oramai da molti anni, nel nostro sistema previdenziale sta maturando una vera e propria “bomba sociale”
che va affrontata con urgenza. Le sue origini affondano nella
combinazione dei cambiamenti intervenuti nel mercato del lavoro e nel
sistema previdenziale a partire dagli anni 90 e, in particolare, con il
passaggio dal metodo retributivo a quello contributivo per il calcolo delle pensioni.
Il
metodo contributivo, in primo luogo, ha irrigidito il funzionamento
del sistema pensionistico: lo ha ancorato alla logica dell’equilibrio
attuariale, ma a discapito dell’equità previdenziale; ha uguagliato i
tassi di rendimento interni, ma riducendo fortemente le possibilità
redistributive. In secondo luogo, da un lato, ha stabilizzato la spesa
e, anzi, tende a ridurne l’incidenza sul Pil; d’altro
lato, a ciascuna generazione ripropone con più forza per la vecchiaia
la stessa distribuzione dei redditi della vita attiva. Non da ultimo,
ostacola la possibilità di adattamenti micro e macro delle prestazioni
pensionistiche alle condizioni economico-sociali correnti.
A quest’ultimo riguardo, va ricordato che i sistemi pensionistici – pubblici o privati, a capitalizzazione o a ripartizione
– pur con diversa trasparenza, svolgono la funzione di redistribuire
parte del reddito correntemente prodotto dalle generazioni attive a
quelle anziane contemporanee.
La redistribuzione tra generazioni contigue è sempre esistita,
anche se solo a partire dal Novecento inoltrato si è svolta in modo
significativo tramite i sistemi pensionistici. L’entità e le modalità
dei trasferimenti intergenerazionali costituiscono un pilastro importante della coesione sociale
di una collettività. Proprio per questo, i cambiamenti nell’entità e
nelle modalità di tali trasferimenti andrebbero gestiti con la
consapevolezza dei tempi con i quali maturano le loro conseguenze.
Un importante aspetto che non sempre viene considerato è che il reddito corrente trasferito a ciascun anziano certamente dipende
anche da quanto egli ha fatto nel suo periodo di attività; ad esempio,
da quanto egli ha contribuito al sistema pensionistico. Ma l’entità e
le modalità del trasferimento dipendono anche e soprattutto dalla
possibilità e dalla disponibilità delle generazioni attive di trasferire
parte del reddito correntemente prodotto agli anziani contemporanei, e
da tali scelte discendono più generali conseguenze economiche e
sociali.
Nel secondo dopoguerra, quando i sistemi produttivi erano pressoché distrutti e il reddito prodotto era irrisorio, i sistemi pensionistici avevano ben poco da redistribuire agli anziani; pur essendo per lo più finanziati a capitalizzazione
e, dunque, pur contando sulle riserve accumulate per ciascun iscritto,
non poterono mantenere le loro promesse. L’indisponibilità corrente ad
effettuare i trasferimenti promessi fu realizzata con modalità di
mercato, attraverso l’inflazione.
Invece, negli
anni 60, quando la ripresa produttiva e il boom economico generarono
maggiori redditi, ci fu la possibilità e la volontà di redistribuirne
una parte anche ad anziani che mai avevano contribuito ad un sistema pensionistico,
come i lavoratori autonomi. Ciò fu tecnicamente possibile abbandonando
il sistema a capitalizzazione, utilizzando l’elasticità del sistema a
ripartizione e del metodo di calcolo retributivo.
A partire dagli
Anni 90, a seguito della perdita di controllo della spesa
previdenziale avvenuta negli anni precedenti, con i minori tassi di
crescita economica e l’invecchiamento demografico, le condizioni per
gli attivi del trasferimento pensionistico sono divenute più onerose.
Tuttavia, riflettendo sulle riforme fatte da allora ad oggi, ci si deve chiedere:
– in che misura sono giustificate dalla nuova situazione economico-demografica?
– quanto invece sono dipese da cambiamenti discutibili nelle scelte economiche, sociali, politiche e culturali affermatesi nel periodo?
– quali sono i loro effetti sulla distribuzione del reddito e sulla sua crescita?
In particolare, quali sono le loro conseguenze sulla partecipazione
degli anziani al reddito correntemente prodotto e sulla tenuta del patto
intergenerazionale e della coesione sociale del Paese?
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Il giorno in cui l'acqua finira' completamente.
Accadra' un giorno di Aprile 2018.
Tutta
la nazione si prepara all'evento fatidico, e non solo perche'
manchera' l'acqua, ma perche' si prevedono disordini e caos senza
precedenti a Citta' del Capo. Ospedali e scuole continueranno a
ricevere acqua, per quanto limitata, ma gli altri no. I rubinetti
verranno chiusi e verra' mandato l'esercito in citta'. Si teme anarchia e
guerriglia urbana.
E poi si dovranno aspettare le piogge, se e quando verranno.
In
realta' Citta' del Capo e' una citta' relativamente green, nel senso
di attenta all'ambiente. Specie perche siamo in una zona arida, hanno
imparato a gestire le loro risorse con parsimonia.