venerdì 17 gennaio 2014

Renzi contro Fiscal compact? Nel ‘nuovo’ Pd ci sono i responsabili

come compitino per il week end lascio questo articolo alla Vs riflessione....... mette i puntini, e non solo, sulle i e allarga l'orizzonte delle tante "democristianate" del berluschino, toscano, di sinistra prossimo, così sembra essere, capo del governo.
BUON WEEK END
Sergio Di Cori Modigliani, ex giornalista che nel 1998 restituì il tesserino in forte polemica con l’Odg, ha scritto ieri nel suo blog: “Mettiamo da parte la nostra splendida fantasia e calda immaginazione da cartolina stereotipata e cominciamo ad innamorarci della validità dei dati oggettivi, inchiodando gli interlocutori -chiunque essi siano- a parlare di quelli.”
Vediamo dunque un po’ di dati oggettivi.
La stampa ha quasi totalmente ignorato:
  • La denuncia del Movimento 5 Stelle nei confronti dei responsabili di Mes, Fiscal Compact e principio di pareggio di bilancio in Costituzione.
  • La mozione M5S che ci avrebbe permesso di andare a rinegoziare i patti presi con l’Ue.
Una delle poche eccezioni è TM news. Il loro titolo è “Dopo i giornalisti M5S mette all’indice parlamentari pro Ue”.
E’ un titolo doppiamente disinformante. Viene insinuata l’idea che M5S abbia redatto una “lista di proscrizione” di parlamentari, bissando l’assurda accusa rivolta al blog di Grillo nel caso dei giornalisti “schedati” (infamia perpetrata con veri e propri stupri semantici, smontati con grande eleganza da Luisella Costamagna). Viene inoltre suggerito che trattasi di parlamentari genericamente “pro Ue”, mentre l’accusa del Movimento 5 Stelle è specifica e rivolta verso i colpevoli di contratti-capestro che danneggiano il nostro Paese. Non sono parlamentari “pro Ue”, sono piuttosto “anti Italia”. Quasi superfluo sottolineare, fra l’altro, che i nomi elencati da M5S sono consultabili da qualsiasi cittadino nei siti di Camera e Senato.
Ho chiesto a Sergio Di Cori Modigliani il motivo di tanta “distrazione” da parte della stampa.
Ecco la sua gentile risposta:
“La differenza tra un buon giornalista onesto e uno scarso – spiega Di Cori Modigliani – non consiste nel tipo di risposte che ottiene, bensì nella qualità delle domande che fa. L‘Italia (non a caso 70esimo al mondo nel ranking relativo alla libertà di stampa) è un paese dove ai giornalisti viene insegnato a non porre certe domande, a evitare certi discorsi, a eludere certi argomenti, e così -crescendo- il giornalista incorpora inconsciamente un meccanismo di auto-censura che in seguito gli aprirà le porte verso il successo professionale. Questo appartiene alla tradizione politica del nostro paese, basata sull’idea del mondo enunciata pubblicamente un paio di anni fa dal cardinal Bertone: “Chi sa non parla, chi parla, invece, non sa”. Un’affermazione che postula l’idea per cui la politica e l’informazione appartengono a un mondo occulto, di adepti, di iniziati, di una élite composta da individui che praticano il concetto di omertà.
Questo è il motivo per cui l’intera cupola mediatica – continua Di Cori Modigliani – ha scelto e deciso di non diffondere la “notizia oggettiva” relativa alla mozione chiesta dai parlamentari pentastellati ieri in aula. Se l’avessero fatto si sarebbero esposti al rischio di dover spiegare di che cosa si trattava, chi l’aveva votata, quando, come e perché. Magari ci sarebbe stato anche qualche giornalista che avrebbe ricordato, a questo popolo malato di amnesia, che Pierluigi Bersani in data 28 agosto 2011 dichiarò: “Fiscal Compact? Mai. Non firmeremo mai un accordo che sega le gambe all’Italia e la condanna”
Quattro mesi dopo la firmava e nessun organo di stampa ha ricordato la frase pronunciata 126 giorni prima. Questo è un paese che vive di omertà, di auto-censura, di silenzi, di omissioni, di cose sottaciute e non dette. Un movimento politico come il M5s che ha al primo punto la chiarezza e la trasparenza diventa pericoloso per il Potere Italiano – conclude Di Cori Modigliani – perché li obbliga a cambiare giuoco, e loro non sono né capaci né in grado di saperlo giocare.”

di Francesco Manna (@FrancescoLamana)
(sul fatto Quotidiano) PRESSappoco | 17 gennaio 2014

giovedì 16 gennaio 2014

un salto nel vuoto, secondo me, un balzo in avanti per i politici...

Prendo spunto da un post del mio collega, e amico, jigen che in un post dal titolo "trenino" sosteneva alcune cose che in parte condividevo e in parte..
...stasera mi è capitato questo articolo di di Alessandro Bartolini | 16 gennaio 2014 pubblicato sul Fatto Quotidiano che vi suggerisco di leggere nel caso usiate spesso i treni o per lavoro o per diletto: tutti sappiamo che il servizio non è all'altezza dello standard europeo per tanti motivi non ultimo quello dei tagli draconiani imposti dagli ultimi 5 governi alle regioni e direttamente a Trenitalia (attraverso reti ferroviarie) ma la stessa società, mmonopolista, non è scevra da da critiche perchè, ragionando in termini aziendali (quindi costi, ricavi e benefici), e non in termini di servizi che fornisce a una pletora di persone che la finanziano attraverso abbonamenti e biglietti non fornisce alcun ritorno, nonostante non abbia concorenti nello stesso campo d'azione: in realtà la società, e lo stato appresso, hanno puntato tutto sulla TAV e hanno abbandonato a se stessa tutto il resto con i risultati che tutti abbiamo sotto gli occhi: nonostante i grandi proclami nessun soggetto coinvolto ha interesse a investire nel trasporto pubblico; il modello pubblico non è gradito alle alte sfere politiche: il coinvolgimento diretto comporta da parte della politica ufficiale, regionale e nazionale, l'assunzione di responsabilità verso i cittadini in generale e i pendolari e i viaggiatori (che stanno aumentando di numero) in particolare.
Perchè il punto vero rimane: un privato non è costretto ad accollarsi anche tratte non redditizie senza aumenti di biglietti e abbonamenti che compensino la perdita.... a meno che Stato e Regione non intervengano per calmierare il tutto: il che credo non sia una prospettiva fattibile....

Detto quanto sopra ecco l'articolo, buona lettura
Trenitalia: tre regioni non rinnoveranno il contratto di servizio. "Troppi disagi"
Toscana, Abruzzo e Veneto hanno deciso di indire nuove gare di appalto per il trasporto regionale. I dubbi dei sindacati di base: "Può trasformarsi in un danno per utenti e lavoratori". Ferrovie dello Stato non commenta la decisione: "E' nelle loro facoltà"
Tre Regioni dicono addio a Trenitalia. Abruzzo, Toscana e Veneto non rinnoveranno il contratto con la società per i servizi regionali di trasporto ferroviario. La decisione è arrivata in simultanea, poco prima di Natale. I motivi sono unanimi: troppi disagi, ritardi, sporcizia e sovraffollamento sui treni utilizzati da 2,8 milioni di cittadini (in tutto il Paese) per percorrere pochi chilometri, trasferte talvolta trasformate in odissee. Trenitalia non commenta la decisione. Del resto, fanno sapere “quella dell’affidamento per gara è una facoltà che le Regioni hanno da oltre 10 anni. La prima ad avvalersene è stata il Veneto, nel 2003. Sul tema del trasporto regionale, da tecnici, abbiamo idee e proposte che condivideremo agli inizi di marzo, e pubblicamente, con tutti gli stakeholder”. Ma la scelta – che sembra sostenere i pendolari – non convince i sindacati di base: “Il rischio è che una decisione di rivalsa nei confronti di Trenitalia, si traduca in una riduzione dei posti di lavoro, tariffe più alte per gli utenti e ulteriori tagli ai costi della sicurezza“, avverte Nicola De Pasquale dell’Unione dei sindacati di base. Non è detto poi che nuove gare significhino nuovi fornitori, vista la sostanziale mancanza di concorrenza. E allora perché mollare Trenitalia? Probabilmente per “costringerla” ad offrire servizi migliori a prezzi più bassi.
LO SCONTRO ROSSI-MORETTI E LA ROTTURA – La prima delle tre regioni a salutare il divorzio con Trenitalia è stata la Toscana. Il presidente Enrico Rossi lo scorso 4 dicembre, di buon mattino, si è calato nei panni di un pendolare e ha viaggiato a bordo del regionale che collega Montevarchi (Arezzo) a Firenze, per controllare le reali condizioni in cui versano i convogli. Un viaggio che non è piaciuto al governatore nonostante la puntualità svizzera con cui il treno (sovraffollato) è giunto a destinazione, che ha lasciato sbigottiti gli abituali viaggiatori e ha agitato le fantasie dei più maligni. Il 12 dicembre Rossi ha preso carta e penna e ha scritto all’amministratore delegato di Ferrovie dello Stato Mauro Moretti: “O Trenitalia cambia o noi cambiamo Trenitalia”. Promessa mantenuta il 23 dicembre con una delibera di Giunta: “Abbiamo deciso di esercitare il diritto a non rinnovare per altri sei anni il contratto con la società. Procederemo a una nuova gara d’appalto”. Il contratto terminerà a fine del 2014 ma sarà valido per tutto l’anno e, alla scadenza, la Regione non rinnoverà automaticamente la convenzione. Ma intanto Rossi promette di mantenere il fiato sul collo di Moretti: “Continueremo a viaggiare sui treni regionali per verificare lo stato del servizio. Intanto chiederemo al governo, al Parlamento e all’Authority dei trasporti di mettere in condizioni le Regioni di fare gare appetibili, competitive e partecipate”. Lo strappo, nel caso in cui Trenitalia non si aggiudicasse la gara, costerebbe alla società, 250 milioni di euro in meno all’anno. E’ questa la cifra che la Toscana destina ogni anno al trasporto ferroviario regionale, a cui si devono aggiungerne altri 250 per il trasporto su gomma.
Ma quella tra Rossi e Moretti è una separazione annunciata. Un rapporto turbolento il loro, disseminato da continui battibecchi e frecciatine (leggi). A inizio dello scorso dicembre l’ad di Ferrovie aveva punzecchiato i governatori: “Spesso i pendolari si rivolgono a noi ma sbagliano indirizzo – aveva affermato Moretti – perché bisogna rivolgersi a chi fa i programmi di trasporto, cioè le Regioni”. Il governatore rispose seccamente: “Moretti pensi a far arrivare i treni in orario”, per poi lasciar presagire la rottura: “Quando si è mai visto il fornitore di un servizio polemizzare con il cliente, rivoltarsi contro il committente? Accade solo in presenza di un sistema monopolistico che lo garantisce. Ed è appunto questo ciò che chiediamo allo Stato centrale di rimuovere”. Perché, anche se nel 2009 è stata avviata la liberalizzazione dei servizi (le Regioni non hanno più l’obbligo di rivolgersi solo a Trenitalia), il sistema rimane praticamente privo di concorrenza.
IN ABRUZZO “TROPPE CRITICITA’” - La scelta della Toscana è arrivata in concomitanza con quella dalla Regione Abruzzo. Il 23 dicembre è stata formalizzata con delibera di giunta la cessazione del contratto prevista a fine 2014. Oltre a questo rapporto, l’Abruzzo interrompe anche quello con l’azienda di trasporto ferroviario regionale Sangritana. E anche qui la cessazione del rapporto si traduce in una potenziale perdita per Trenitalia. Nel 2012 l’Abruzzo ha speso 43,5 milioni di euro per circa 4 milioni di chilometri di servizi di trasporto ferroviario. Cifra che va sommata ai 906mila euro per coprire i quasi 410mila chilometri di servizi sostitutivi effettuato con i bus. Per garantire il trasporto regionale Trenitalia impiega 145 treni al giorno per assicurare il servizio a quasi 17mila utenti (10mila abbonati). “L’accordo che esiste ormai da un lustro – si legge nella relazione tecnica che annuncia la fine del contratto – ha tuttavia conosciuto momenti di criticità perché, nonostante gli sforzi compiuti, non sempre i sistemi organizzativi e le politiche di trasporto delle due aziende si sono trovate in sintonia”. Più duro il bilancio dell’assessore regionale ai Trasporti Giandonato Morra: “Spesse volte, in virtù di questa esclusività e in spregio a qualsiasi richiamo istituzionale, (Trenitalia, ndr) la fa da padrone con continui disservizi sulle linee dei pendolari. Ho fatto quanto, in ultima analisi, – conclude – era in mio potere di fare”. L’obiettivo è stipulare un accordo con un unico gestore che “costituirebbe un vantaggio e una positività del sistema nel suo complesso”.
ZAIA: “REGIONALI DEVONO ESSERE COME I TRENI GIAPPONESI” – A chiudere il cerchio il Veneto. Il 30 dicembre la Giunta Regionale ha deciso di disdire il contratto e il presidente leghista Luca Zaia ha confermato la scelta in una lettera indirizzata a Ferrovie dello Stato. Il sogno del governatore del Carroccio è “che il servizio in futuro sia gestito da una bella società veneta che dia risposte ai cittadini. Perché veneta? Perché il cane di troppi padroni muore di fame…”. Per il governatore le linee regionali dovrebbero “assomigliare alle ferrovie giapponesi dove un minuto di ritardo significa aver fallito l’obiettivo”. Il motivo della rottura è l’impossibilità di conciliare il progetto che l’ente ha in mente con le effettive garanzie offerte da Trenitalia. Per i 100mila utenti che ogni giorno usufruiscono del servizio, Zaia vorrebbe “una metropolitana di superficie” che “presuppone puntualità, capacità, cioè numero di vagoni, comfort e ospitalità: tutte cose che non può garantire la Regione, ma deve farlo il gestore, pagato con i soldi dei veneti per risolvere i problemi”. La locomotiva del Nord-est nel 2013 ha speso 140 milioni per il trasporto ferroviario regionale, e 256 per quello su gomma.     
I DUBBI DEI SINDACATI DI BASE - Ma tentare di affidare il servizio ad altre società, è veramente l’asso vincente per migliorare il trasporto pendolare? Secondo alcune organizzazioni dei ferrovieri no. Nicola De Pasquale, sindacalista e capotreno a Bologna, precisa: “All’origine dei disservizi ci sono scelte politiche poco lungimiranti, scarsi investimenti per migliorare il trasporto locale e la diminuzione dei servizi a discapito dell’Alta velocità“. Un quadro confermato da numeri. Il rapporto di Legambiente ”Pendolaria 2013″ denuncia “una diminuzione delle risorse nazionali stanziate nell’ultimo triennio (2010-2012) pari a -22% rispetto al triennio precedente”. “Dal 2009 ad oggi, – continua Legambiente – mentre i passeggeri aumentavano del 17% le risorse statali per il trasporto regionale su gomma e ferro si sono ridotte del 25%”. In 13 Regioni, poi, tra il 2011 e il 2012 c’è stato una sforbiciata di treni e corse in media del 5% ogni anno, che ha raggiunto punte del 15% in Puglia, tutto questo mentre il governo ha fatto uno sconto del 15% sul canone per l’uso dell’infrastruttura per l’Alta Velocità a Trenitalia e Ntv (leggi). Ma Trenitalia replica: “Sono le regioni a finanziare il servizio, noi non abbiamo competenze dirette. – precisa il direttore del trasporto regionale Francesco Cioffi all’Espresso - Se Trenitalia nell’Alta velocità ha carta bianca, nel regionale è soltanto il gestore. Noi, in ogni caso stiamo investendo 3 miliardi per nuovi convogli”.
Anche la Regione Emilia Romagna, nonostante sia vincolata per altri tre anni a Trenitalia, ha fatto sapere che tenterà di smarcarsi dalla società. Sono già state avviate trattative per la preparazione del bando che regolerà la gara di appalto. Ed è qui che emergono i timori maggiori per i lavoratori: “La clausola sociale è in fase di definizione – dichiara De Pasquale – e quindi manca il documento ufficiale”. “Ma la nostra paura – continua il sindacalista – è che serva unicamente a far transitare i lavoratori nella eventuale nuova società vincitrice della gara. Senza che questa sia sottoposta a nessun vincolo”. Il rischio è che i nuovi fornitori, per aggiudicarsi gli appalti, propongano prezzi concorrenziali a discapito dei lavoratori. Una prospettiva che l’assessore regionale ai Trasporti della Toscana, Vincenzo Ceccarelli, esclude: “Non prevedo scenari apocalittici quando uno cerca di cambiare lo fa per migliorare le cose, non per peggiorarle”.

mercoledì 15 gennaio 2014

Il vero taglio da fare.. quello sui dirigenti degli enti e ministeri pubblici

E' vero i politici guadagnano tanto, forse troppo.. ma c'è in questo paese un altra casta, quella vera: i dirigenti pubblici. Guadagnano tantissimo: da un minimo di 200 mila euro a oltre un milione di euro; e mai che ci fosse la possibilità di essere licenziati come nel privato (altrove non qui ...anche ne privato c'è la stessa cosa del pubblico). Questa casta è: invisibile ai più; non eletta democraticamente; non risponde ai cittadini ma ai politici (e visto il livello di preparazione della poltiica in pratica non risponde a nessuno); inattacabile e superpagata.
E' mai possibile che sia così intoccabile in una società democatica? Weber aveva forse ragione nel dire che questa classe di burocrati anzi superburocrati non possa essere ridimensionata al ruolo primario di guida della parte esecutiva della P.A. anzichè esserne i potenti, e superpagati, deus ex machina senza i quali nulla funziona e con i quali non funziona guaguale perchè a loro non conviene farla funzionare? Se vogliamo trovare un, come dire, responsabile di tutto questo potere.. possiamo trovarlo facilmente nella riforma bassanini che, con l'intento dichiarato di dividere il momento politico da quello amministrativo (obiettivo fallito miseramente), creò i prodromi di questa supercasta.... con tutto quello che, come conseguenza di quelle riforme, è disceso da quella malaugurata scelta è dipeso: anche in questo volevano fare gli americani (era quello il modello di riferimento) ma sono riusciti a malapena a rimanere italiani.
Non che in europa stiamno meglio: sembra quasi che ci volessero copiare; gli euroburocrati europei, come i nostri, sono anonimi ma intoccabili e son loro che pensano e scrivono cosa devono pensare e scrivere gli euro-politici .... governativi e parlamentari: messi proprio bene.

martedì 14 gennaio 2014

Critiche al film? ma Vaffa.....

Siamo proprio italiani, ma lo siamo davvero..... allora: un nostro film, fra l'altro un gran bel film, che racconta un paese, l'Italia di oggi (quella che si è mangiata il proprio futuro e ora assiste al crollo del palazzo), che ci da un racconto soffuso di una classe dissoluta e persa nelle proprie piccole e miserevoli vite .... roba da ultimi giorni dell'impero; fa il paio con la dolce vita di Fellini che a sua volta era l'immagine di un italia (che non esiste più), e che faceva da vetrina a una realtà che rimaneva sull sfondo... ossia un paese che cresceva e guardava con una certa fiducia al proprio futuro ma già nascondeva sotto il tappeto le proprie miserie e ipocrisie. E' giusto? E' sbagliato? Lo decideranno gli spettatori.... Questo film, però, ha vinto il Golden Globe; in pratica, si è aperta una porta all'Oscar e qui qualcuno cosa pensa per prima cosa? Le critiche al film.. si proprio le "critiche" rivolte al film e alla immagine che da del paese all'estero (immagine credo meritata ampiamente.. visti il ceto politico e imprenditoriale che ci ritroviamo) il tutto per giunta su un canale della tv pubblica che dovrebbe essere, scusate la battuta, imparziale.
Ma dico io: forse altrove fanno queste fesserie? A chi da fastidio questo film? E perchè da fastidio? Forse perchè racconta di come siamo diventati, e che ha come conseguenza il "come ci vedono all'estero, e stiamo disperdendo quel patrimonio che avevamo accumulato negli anni dell'altro film ossia la dolce vita? E' questo che da fastidio?
La smetteremo una volta tanto di fare i dietrologi? E' un opera artistica; è un racconto con il quale si può o meno essere d'accordo ma rimane un espressione artistica di una visione di autori e regista: non è forse chiaro? O è sempre quel diavolo buonista che ci corrode grazie al quale tutto dev'essere edulcorato, diluito, soffuso affinchè.. quella parte che crede di essere cicale, e non lo è, possa aprire gli occhi e capire il disastro che ha contribuito a creare?
Giustifico pienamente il vaffa dell'attore... non molto buonista ma è andato dritto al punto.
p.s.
stasera ancora sul leggero, tirate pure un sospiro di sollievo .....

lunedì 13 gennaio 2014

Pensatori inattuali: solo così possiamo rialzare la testa...

Ieri vi ho tediato con un difficilissimo articolo sui bitcoin, la vera alternativa alla moneta attuale.. ricordate, però, che uno dei principi base dell'economia è che "la moneta cattiva scaccia, sempre, quella buona" e che queste forme di scambi di monete, virtuali, che sostituiscono quelle ufficiali (e di cui ora fanno grande uso i papaveri della finanza per sfuggire al fisco dei vari paesi nelle dark pool) sono destinate ad aumentare nel prossimo futuro finchè... finchè il gregge, noi comuni mortali, non riceve una qualche scossa che lo fa muovere e lo spinge a travolgere lo steccato dentro cui era confinato: è raro ma accade con una certa cadenza.
Leggete, ora, cosa scrive Hegel (si proprio lui):
"Rompi con la pace in te, rompi con i valori del mondo/ lotta, ricerca qualcosa di più che l'oggi e l'ieri/ in tal modo non diverrai migliore del tuo tempo, ma esprimerai il tuo tempo nella sua forma più elevata" (tratto dal poemetto Entschluss di Hegel).
Non male per uno dei filosofi che maggiormente hanno influenzato la storia del pensiero occidentale e dato, in linea teorica, vita ad almeno due regimi totalitari e almeno sei teorie politiche: dal liberalismo al marxismo, passando per tutto il resto.....
ora se pensatori come Polanyi, Berlin, Keynes, ecc. (non comunisti sia chiaro ma liberali e da bravi liberali ognuno parte da un punto di vista diverso ... ma raggiungono tutti la stessa conclusione) sostenevano, e a buon ragione, che il mercato che si autoregola, meglio noto come liberismo, è il contrario del concetto che è alla base della libertà e della democrazia come mai nessuno se ne da per inteso e agisce per far cambiare strada alle oligarchie che governano i regimi parademocratici occidentali?
secondo me la risposta è proprio in quel passo succitato di Hegel, che ne dite?
p.s.
dai su che stasera ci sono andato leggero.... il vero post è nel poemetto e nel titolo, rifletteteci.

domenica 12 gennaio 2014

Il bitcoin: un paradosso e un atto di fede. Chi ci guadagna?

Bene, per inizio settimana vi vorrei far leggere questo contributo di Loretta Napoleoni sulle monete alternative a quelle ufficiali e vorrei che faceste mente locale sull'aspetto delle monete: non ESISTONO realmente; noi le rendiamo vive e vere.... e come le facciamo vivere così possiamo farle morire: basta volerlo.
di Loretta Napoleoni | 12 gennaio 2014
Il successo dei bitcoin tra gli speculatori non solo è un paradosso ma conferma che dietro la moneta, di qualsiasi tipo essa sia, non c’è nulla di concreto, soltanto un atto di fede.
Iniziamo dal paradosso. All’inizio di gennaio del 2009 compare in rete il bitcoin, nessuno sa bene chi lo abbia inventato, sicuramente si è trattato di uno o più hacker che hanno scelto lo pseudonimo Satoshi Nakamoto. La leggenda vuole che il bitcoin fosse la risposta di costui o costoro alla crisi del credito del 2008, all’uso del denaro pubblico, dei risparmi dei contribuenti per salvare i giganti di Wall Street. Si dice anche che Satoshi, chiunque esso sia, facesse parte del movimento Cypherpunk, nato negli anni Ottanta sulla scia dell’omonimo movimento musicale, che vuole liberalizzare l’informazione e distruggere un sistema basato sul suo controllo e sui privilegi.
La leggenda vuole insomma che Satoshi ed i bitcoin siano pane per il popolo, il primo sicuramente vuole sostituire un sistema equo, trasparente ed accessibile a tutti alla creazione della moneta da parte delle banche centrali, controllate da un élite bancaria che ne è la sola beneficiaria e che ormai governa il mondo – fa eleggere i presidenti, gestisce il Fondo monetario e de facto controlla anche i nostri conti in banca. Il bitcoin è lo strumento attraverso il quale il popolo, o almeno quello che naviga in rete, può riconquistare la sovranità monetaria. Insomma come Prometeo Satoshi ci ha dato il fuoco per conquistare la libertà.
Non è facile in poche parole spiegare il meccanismo attraverso il quale ci liberemo della schiavitù della moneta cartacea stampata dalla Bce o dalla Fed, ma proviamoci. All’origine della creazione dei bitcoin ci sono complessissime formule matematiche che offrono soltanto una soluzione e che non sono reversibili, le hash. Ogni volta che qualcuno ci riesce crea bitcoin, ma prima che l’operazione si concluda c’è bisogno dell’approvazione di tutta la comunità che li maneggia. Ogni soluzione è poi legata a quella precedente ed alla successiva in una catena temporale che è iniziata a gennaio del 2009 e finirà quando tutti i 21 milioni di bitcoin nascosti in rete saranno stati letteralmente ‘estratti’ dal web. Chi si dedica a questa attività infatti lavora come in miniera, così nel gergo si parla di estrazione e di minatori. La concatenazione delle soluzioni, come le vene minerarie, è il filo conduttore della produzione dei bitcoin e garantisce il massimo di trasparenza e di sicurezza contro la contraffazione.
E veniamo al paradosso: dal 2009 quando è comparso il valore del bitcoin è passato da 0 fino a 1200 dollari (il picco dello scorso novembre). Il motivo? La speculazione. E chi specula non sono gli adolescenti che passano la vita in rete o su facebook, neppure gli impiegati ai quali viene tagliato lo stipendio ad ogni manovra finanziaria, ma i giovanotti di Wall Street. Sono nate squadre di minatori pagate dalle grandi banche e finanziarie che usano computer velocissimi e tecniche sempre più complesse per estrarre i bitcoin. Per ora grazie all’aumento della complessità delle soluzioni man mano che si estraggono i bitcoin (siamo a quota nove milioni) ed al sistema di verifica, la creazione dei bitcoin è stabile ma il valore, il valore non fa che salire perché tutti vogliono far parte di questa ennesima speculazione. E chi ci guadagna? I soliti noti.
E veniamo all’atto di fede. Che il valore di una moneta creata in rete da non si sa bene chi, la cui produzione è legata a soluzioni matematiche complessissime che richiedono programmi informatici passi da 0 a 1200 dollari in 3 anni, non sorprende perché rientra nella passione per il gioco d’azzardo che brucia dentro gran parte dell’umanità, e quindi su questo c’è ben poco da dire, ma che questa stessa moneta inizi ad essere usata per gli scambi da individui comuni, ecco questo può essere spiegato soltanto come un atto di fede.
In fondo tutte le monete oggi esistono in base ad un atto di fede che chi le maneggia esprime nel momento in cui le usa per scambiare bene e servizi. Dietro al dollaro o all’euro non c’è una riserva di ricchezza, e cioè lingotti d’oro o tonnellate d’argento, ne’ si può parlare di industrie o risorse, come il petrolio o il gas naturale, la creazione di moneta avviene invece attraverso l’emissione del debito, un principio che come la soluzione delle formule dei bitcoin non ha nulla a che vedere con la ricchezza di una nazione, anzi in un certo senso le va contro. E’ però un principio come un altro accettato come un dogma religioso da chi queste monete le usa ed in nome del quale, a giudicare dalla storia, si è disposti a tutto.
Riflettiamo su questi principi: nell’immaginario collettivo il dollaro, l’euro come il bitcoin, monete prodotte dal nulla, sono simboli di una divinità monetaria, l’ultimo sicuramente rientra in una categoria sui generis perché potenzialmente tutti noi possiamo farne parte ma de facto solo chi ha strumenti costosissimi e particolari può produrlo. Come le indulgenze medioevali chi stampa o estrae  queste monete si arricchisce, e chi le usa non solo non va in Paradiso ma finisce per impoverirsi.
p.s.
c'è una regola ferrea in economia: la moneta cattiva scaccia quella buona....

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