lunedì 10 aprile 2017

The Donald dal gas ai missili: più pantomima che strategia (Valerio Cattano)

Il presidente Usa già annuncia un “segnale” al dittatore della Nord Corea ma sul bombardamento “telefonato” di Shayrat restano punti poco chiari.Congratulazioni ai nostri uomini e donne delle forze armate per aver rappresentato gli Stati Uniti, e il mondo, così bene nell’attacco in Siria”. Il presidente Donald Trump affida a Twitter il suo primo commento ufficiale sul raid, dal discorso alla nazione di giovedì sera. Il tycoon a molti inviso, nello spazio di poco tempo è diventato il guardiano della democrazia.
Anche la Cnn, che prima e dopo la campagna elettorale non gli aveva fatto sconti sul Russiagate – rapporti ambigui dello staff presidenziale con esponenti russi del mondo politico ed economico – rilancia che gli Usa starebbero verificando se il bombardamento sull’ospedale siriano poco dopo l’attacco chimico (l’episodio che avrebbe spinto Trump a intervenire in Medio Oriente) sia stato condotto dalla Russia, o dalla Russia assieme al governo siriano, per distruggere le prove.
In altre parole, il bombardamento deciso dalla Casa Bianca era necessario per mandare un messaggio ad Assad e Putin: in quello scenario non potete fare più come vi pare.
Superata l’onda emotiva però, nella narrazione del raid dopo 72 ore restano spazi vuoti sia sul piano militare che politico. Anche perché il presidente americano ha già abbandonato il fronte siriano per concentrarsi sul nemico di sempre: la Nord Corea del dittatore Kim Jong-un.
Quali obiettivi. “Gli attacchi isolati, è dimostrato che non sono in grado di cambiare molto, serve una strategia ampia e serve l’autorizzazione del Congresso per ulteriori azioni militari”. Il New York Times in un editoriale sottolinea come “è difficile non provare un senso di soddisfazione e giustizia fatta” ma mette in fila una serie di quesiti. L’attacco “era legale? Era una risposta isolata non legata a una più ampia strategia per risolvere il complesso dilemma in Siria? Finora non ci sono prove sul fatto che Trump abbia pensato alle implicazioni dell’uso della forza militare o pensato quali possano essere le prossime mosse”. Il NYT inoltre scrive: “Mr. Trump ha spiegato che il suo atteggiamento è cambiato dopo aver visto le vittime civili dell’attacco chimico. Per quanto possa essere sincero questo sentimento, lo spettacolo di un presidente che fa retromarcia e prende decisioni sull’onda emotiva non suscita fiducia. Bisogna anche chiedersi perché simili sentimenti non siano scattati prima, dinanzi ai 400 mila morti della guerra civile dal 2011 in poi, o delle migliaia di rifugiati siriani a cui lui ha sbarrato la porta”.
Il fronte interno. Il magazine Politico ritiene che il nuovo approccio muscolare del presidente lo aiuterà anche sullo scenario interno; sarà più facile per la Casa Bianca difendersi dalle accuse di relazioni troppo strette tra collaboratori di Trump e la Russia che stanno emergendo nell’indagine dell’Fbi sulle interferenze di Mosca nelle elezioni dello scorso novembre.
A un quesito di Politico riguardo alla possibilità che queste valutazioni abbiano avuto un peso nella decisione di dare il via al raid, Michael Short, portavoce della Casa Bianca ha reagito sdegnato: “Assolutamente no, è una domanda francamente offensiva”.
Gli alleati di Assad. “Dopo il massiccio attacco Usa con missili da crociera sulla base aerea di Shayrat né il Pentagono né il Dipartimento di Stato hanno presentato alcuna prova della presenza di armi chimiche in questa base aerea”. Così il generale Igor Konashenkov, portavoce del ministero della Difesa russo ribadisce la richiesta del Cremlino: gli americani devono provare che Assad abbia usato armi chimiche e che siano partite da quella base. Il presidente iraniano, Hassan Rohani, ha chiesto la creazione di un gruppo internazionale – formato da Paesi neutrali – che indaghi su “da dove siano arrivate” le armi usate nell’attacco a Khan Sheikoun, “per mezzo di chi e se siano state chimiche o meno”.
Altri particolari tolgono smalto all’entusiasmo di Trump: la base, nonostante sia stata sottoposta ad un bombardamento serrato – gli americani hanno parlato di 59 missili Tomahawk – ieri era di nuovo operativa. I russi sono stati avvisati prima sul fatto che sarebbe avvenuto il bombardamento. Gli stessi russi in Siria hanno l’ombrello dei razzi S400, il sistema di difesa più avanzato del Cremlino, in grado di intercettare i razzi da crociera (come i Tomahawk), ma non li hanno utilizzati.
Il bluff. Proprio perché ci sono tasselli che non vanno al loro posto anche sulla stampa americana prende corpo l’ipotesi che quello del presidente-magnate sia stato un bluff da giocatore di poker, in combutta con l’amico di Mosca. “E se Putin fosse la mente dietro l’ultima settimana in Siria per aiutare indirettamente l’immagine del presidente americano e distogliere l’attenzione dalle indagini?”.
Sulla rete Msnbc il conduttore Lawrence O’Donnell mette insieme questa sceneggiatura alternativa: l’attacco chimico, anche se ridotto, ha attirato l’attenzione dei media americani e offerto all’amministrazione Trump la possibilità di lanciare i missili, e rafforzare la sua immagine. “La reazione della Russia è stata ridotta” ma la “dinamica è cambiata” sui media, che ora ritengono in bilico i rapporti fra Russia e Stati Uniti.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 09/04/2017

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