domenica 6 maggio 2018

Il capitalismo muore senza Marx

Fonte: Il Fatto Quotidiano Cultura | 5 maggio 2018
Starà anche tornando di moda, ma per il momento il già bisecolare Herr Dr. Karl Marx non se lo ricordava più nessuno. Fino a pochi anni fa, anche il più disinteressato tra gli studenti universitari avrebbe saputo darvi uno straccio di definizione del plusvalore, tutti sapevano cosa fosse il materialismo storico. Oggi non è più così. Tra gli studenti di economia (e temo anche tra i docenti) pochissimi si sono piegati sui ponderosi tomi del Capitale per conoscere la ricchezza e la varietà delle sue teorie, alla faccia del bicentenario.
Abbiamo dovuto attendere le spaventose crisi economiche e finanziarie degli ultimi anni, dopo che il (finto) capitalismo ha mostrato la sua faccia più disgustosa e caricaturale – quella che appunto piaceva a Marx – per veder crescere la popolarità delle teorie marxiane (Thomas Piketty). Ma purtroppo non bastano le storture del turbocapitalismo alla Gordon Gekko per incentivare gli studi seri, per recuperare teorie che hanno sentito fortemente il peso degli anni e la cui maggiore validità – più che nelle conclusioni (che lo stesso Marx faticò a tirare) – consiste nel metodo e nei principi ispiratori, che già hanno aiutato il capitalismo a risolvere problemi non molto differenti dai nostri. Peccato che, come diceva Joseph Schumpeter (che era un grande conoscitore del marxismo, oltre che un amante del capitalismo imprenditoriale): “il capitalismo non morirà per mano dei suoi nemici” e il marxismo è certamente tra questi “ma scomparirà grazie ai Mellon, ai Carnegie, ai Rockfeller“, cioè per mano degli stessi capitalisti.
A parte la necessaria distinzione tra marxismo e comunismo, non c’è dubbio che il lascito più grande delle idee di Karl Marx fu quello di uno spirito radicalmente critico, oserei dire rivoluzionario, all’interno della cultura occidentale. La critica radicale di Marx al capitalismo, oggi come ieri, ci dice che l’accettazione supina e conformista del pensiero egemone è lo strumento più sicuro per fermare lo sviluppo, per impedire il progresso. Marx (come su un altro versante lo stesso Schumpeter dopo di lui) aveva compreso che senza rivoluzioni la società muore. Là dove ci si rifiuta di misurarsi seriamente con modelli e prospettive radicalmente differenti lì, oltre alla noia mortale, si annidano i rischi maggiori per tutta l’umanità di retrocedere da conquiste per le quali ci siamo battuti e che nessuno oggi vorrebbe perdere. Questo vale nel campo delle strutture sociali come in quello dei modelli di sviluppo economico e altrettanto in ambito imprenditoriale. In questo senso l’eredità marxiana è come una specie di veleno del pensiero; assumerlo integralmente non è possibile, troppa fantasia, troppa escatologia. Ma non possiamo farne a meno – come per certe medicine salvavita, prese in dosi adeguate – per salvare le sorti di un’umanità sotto le spinte conservatrici di quanti hanno già raggiunto la ricchezza, il benessere e il potere sociale.
Le teorie marxiane – se restano riflessione teorica, punto di riferimento intellettuale e non ambiscono a diventare integralmente programma politico – dovrebbero essere ben presenti a politici e intellettuali. Friedrich von Hayek – il maggiore economista liberale del XX secolo -, mentre spregiava fin nelle radici il comunismo come soluzione sociale, aveva un grande rispetto per Marx come intellettuale e in molti punti possiamo perfino ritenere che gli sia debitore di aspetti non secondari delle sue teorie, come ad esempio nell’utilizzo di una metodologia storica applicata all’economia, nell’attenzione alla realtà reale dell’economia e non alle sue apparenze formali, etc.
Il pensiero liberale (lo ha dimenticato?) quindi deve molto al marxismo, anzi come molti hanno sostenuto è probabilmente l’altra faccia, non contrapposta di quest’ultimo. In ogni caso, oggi a 200 anni dalla nascita del fondatore del marxismo, dobbiamo continuare a sentirci debitori nei confronti di questo intellettuale tedesco, che così grandemente ha influenzato la storia occidentale. La tradizione liberale e democratica farebbe bene a non dimenticare che – da molteplici prospettive – il socialismo marxista è sempre stato un alleato dialettico della “società aperta”. Già abbiamo visto all’inizio del secolo, l’antitesi al mondo liberale e democratico non è il mondo che si ispira al marxismo. È infatti la società fondata su postulati etici e morali l’opposto della società liberale. La società liberale se non affronta e risolve molti dei problemi posti da Marx 200 anni fa rischia di farci rimpiangere il passato, con tutto ciò che ne consegue.

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