04/04/2017 di triskel182
L’ANALISI. IN 13 ANNI, COMPLICE LA CRISI, LA PERCENTUALE DI CHI È IMPIEGATO È SEMPRE LA STESSA
ROMA
– Siamo tornati al 2004. Stesso tasso di occupazione, il 57,5%. Stesso
basso livello di classifica in Europa. Soltanto che oggi fanno peggio
di noi solo Grecia, Turchia e Macedonia. Allora in coda c’erano
Croazia, Bulgaria, Malta e Polonia, poi risorte. Ma cos’è successo nel
frattempo?
Sette governi di centrodestra e
centrosinistra. Tre importanti riforme del lavoro, dalla legge Biagi
al Jobs Act, passando per la Fornero. Bonus e incentivi a profusione. E
la crisi più profonda dal Dopoguerra che ha distrutto un quarto della
produzione industriale, zavorrato di cinque punti gli investimenti,
incenerito oltre un milione di posti e quasi nove punti di Pil.
«Abbiamo
insistito troppo nel regolamentare un mercato del lavoro già
flessibile da tempo e ci siamo concentrati di meno sulle politiche di
sostegno alla crescita», ragiona Maria Cecilia Guerra, senatrice pd ed
ex sottosegretario al Lavoro nel governo Letta. «Ma è la crescita che
trascina l’occupazione, le imprese assumono se hanno domanda. E invece
abbiamo moltiplicato le tipologie contrattuali mirate solo a garantire
un costo del lavoro più basso. Mentre da anni non si parla più di
politiche industriali». Un’ossessione che ha attraversato tutte le
legislature, quella del costo del lavoro da comprimere, fino all’uso e
abuso dei voucher.
Depotenziare l’articolo
18. Era iniziata così, con Berlusconi al comando e le piazze
infiammate dalla Cgil. È finita con l’articolo 18 abolito dal Jobs Act
di Renzi. E i voucher cancellati dalla sera alla mattina, per evitare
un altro effetto Cgil, questa volta nelle urne del referendum. Eppure
il livello di occupati è rimasto lì. «Ma la qualità è profondamente
cambiata», analizza Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro con Prodi
premier, tra 2006 e 2008. «Ai tempi, lo stock occupazionale era
caratterizzato per lo più da contratti a tempo indeterminato. Ora
sappiamo dall’Istat che basta lavorare un’ora a settimana, pagata con
voucher, per rientrare in questa percentuale».
Vero
è che tra 2004 e 2017 l’occupazione italiana somiglia a un’onda più
che a una linea piatta. Con un massimo nel 2008 (58,6%) e un minimo nel
2013 (55,5%). Tre punti pesanti persi nella crisi. E che faticosamente
gli incentivi di Renzi provano a recuperare. Invano, fin qui. Unica
differenza, tra oggi e allora, in quel 57,5% di reflusso è la sfumatura
rosa: tre punti in meno di uomini occupati (da 69 a 64%), tre in più
di donne (da 45 a 48%).
«Il Jobs Act non
sta producendo gli effetti sperati, dobbiamo dirlo», prosegue Damiano.
«La logica degli incentivi spot era sbagliata. Finiti quelli, cresce il
lavoro a termine e autonomo». Va detto che senza bonus, forse oggi
neanche avremmo un 57,5% di occupati. Di qui in avanti, certo non
basta. «Le imprese vanno favorite e accompagnate nei percorsi di
investimento», insiste Guerra.
Articolo intero su La Repubblica del 04/04/2017.
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