mercoledì 5 aprile 2017

Dalla legge Biagi al Jobs Act l’occupazione resta al palo (VALENTINA CONTE)

ROMA – Siamo tornati al 2004. Stesso tasso di occupazione, il 57,5%. Stesso basso livello di classifica in Europa. Soltanto che oggi fanno peggio di noi solo Grecia, Turchia e Macedonia. Allora in coda c’erano Croazia, Bulgaria, Malta e Polonia, poi risorte. Ma cos’è successo nel frattempo?
Sette governi di centrodestra e centrosinistra. Tre importanti riforme del lavoro, dalla legge Biagi al Jobs Act, passando per la Fornero. Bonus e incentivi a profusione. E la crisi più profonda dal Dopoguerra che ha distrutto un quarto della produzione industriale, zavorrato di cinque punti gli investimenti, incenerito oltre un milione di posti e quasi nove punti di Pil.

«Abbiamo insistito troppo nel regolamentare un mercato del lavoro già flessibile da tempo e ci siamo concentrati di meno sulle politiche di sostegno alla crescita», ragiona Maria Cecilia Guerra, senatrice pd ed ex sottosegretario al Lavoro nel governo Letta. «Ma è la crescita che trascina l’occupazione, le imprese assumono se hanno domanda. E invece abbiamo moltiplicato le tipologie contrattuali mirate solo a garantire un costo del lavoro più basso. Mentre da anni non si parla più di politiche industriali». Un’ossessione che ha attraversato tutte le legislature, quella del costo del lavoro da comprimere, fino all’uso e abuso dei voucher.
Depotenziare l’articolo 18. Era iniziata così, con Berlusconi al comando e le piazze infiammate dalla Cgil. È finita con l’articolo 18 abolito dal Jobs Act di Renzi. E i voucher cancellati dalla sera alla mattina, per evitare un altro effetto Cgil, questa volta nelle urne del referendum. Eppure il livello di occupati è rimasto lì. «Ma la qualità è profondamente cambiata», analizza Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro con Prodi premier, tra 2006 e 2008. «Ai tempi, lo stock occupazionale era caratterizzato per lo più da contratti a tempo indeterminato. Ora sappiamo dall’Istat che basta lavorare un’ora a settimana, pagata con voucher, per rientrare in questa percentuale».
Vero è che tra 2004 e 2017 l’occupazione italiana somiglia a un’onda più che a una linea piatta. Con un massimo nel 2008 (58,6%) e un minimo nel 2013 (55,5%). Tre punti pesanti persi nella crisi. E che faticosamente gli incentivi di Renzi provano a recuperare. Invano, fin qui. Unica differenza, tra oggi e allora, in quel 57,5% di reflusso è la sfumatura rosa: tre punti in meno di uomini occupati (da 69 a 64%), tre in più di donne (da 45 a 48%).
«Il Jobs Act non sta producendo gli effetti sperati, dobbiamo dirlo», prosegue Damiano. «La logica degli incentivi spot era sbagliata. Finiti quelli, cresce il lavoro a termine e autonomo». Va detto che senza bonus, forse oggi neanche avremmo un 57,5% di occupati. Di qui in avanti, certo non basta. «Le imprese vanno favorite e accompagnate nei percorsi di investimento», insiste Guerra.
Articolo intero su La Repubblica del 04/04/2017.

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.. e il giornalista ha dimenticato, volutamente o meno non so, la legge Treu.

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