giovedì 3 marzo 2016

Fusione Stampa-Repubblica: la fabbrica delle notizie

di | 3 marzo 2016 il Fatto Quotidiano

Nanni Moretti incolla su un grande foglio bianco titoli di giornali. Titoli diversi di testate diverse, ma articoli uguali. I giornali sono uguali, dice lui nel film Aprile. Uguali, cioè omogenei, sovrapponibili, ugualmente omissivi su una vicenda, parimenti entusiasti su un’altra. Il giornalismo ha la responsabilità di illustrare la realtà, conoscerla anzitutto e indagarla anche nelle sue pieghe più segrete e inconfessabili.
Il giornalista deve dire la verità, o almeno quel che a lui appare come verità. Ma può – se è disonesto – anche tacerla, ridurla, ometterla. E addirittura trasformarla. Dare per vero il falso o accreditare l’opposto: costruire su una suggestione la realtà. Il vizio tragico dell’informazione è che essa faccia rima con manipolazione. L’unica possibilità per contrastare la possibile manomissione della realtà è che le fonti di informazione siano plurime, abbiano distinte capacità di analisi e di critica, distinti editori, differenti interessi culturali e politici. Come ci insegna Moretti non è il numero di giornali in vendita ad alzare il livello e la qualità delle notizie che si offrono.
Con internet la faccenda si complica ancora di più. Nell’età della notizia istantanea, della comunicazione istantanea, del riscontro istantaneo, il mercato delle notizie poggia apparentemente su un numero indefinito di fonti. Ma la quantità di esse non equivale a fornire a ciascuna la medesima attendibilità. La crescita esponenziale delle notizie farlocche sulle quali si incardinano migliaia di commenti e prese di posizione nasce dall’assoluta incontrollabilità delle fonti. Perciò quelle più accreditate avranno il privilegio di costituire lo scheletro sul quale poggerà la prevalente narrazione quotidiana. I fatti riferiti, e per come vengono riferiti, saranno oggetto dei commenti dei cittadini, dei tanti come voi che su una vicenda esprimono, in modo equilibrato o rozzo, con prudenza o sicumera, il proprio giudizio.
Di oggi l’ufficializzazione della fusione per incorporazione dei gruppi Espresso e Itedi, editrici di La Repubblica, La Stampa e Secolo XIX. Due dei tre principali gruppi editoriali del Paese si fondono, e il terzo, Rcs, sarà detenuto ancora per qualche mese da uno dei due protagonisti della fusione.
Già ora, già oggi è evidente che i commenti e i giudizi principali su questa grande operazione industriale e culturale provengono da giornalisti che sono dipendenti delle società protagoniste della vicenda. Esiste come dato oggettivo un’alterazione della percezione obbligata dallo status di chi racconta una vicenda che lo riguarda. Dirà tutto ciò che pensa? Oppure, come è più plausibile, non espliciterà le proprie riserve? O anche, come forse è sicuro, sarà chiamato a riferire di questo fatto e a commentarlo colui che più è vicino per sentimento o interesse alla voce del padrone?
E se l’industria editoriale diviene un oligopolio, un potere spartito tra pochi, che ne sarà della qualità dell’informazione, della sua libertà? E se aggiungiamo che nelle mani del governo c’è il cosiddetto fondo dell’editoria, soldi da assegnare alle imprese che fanno comunicazione, quanto potrà essere grande il rischio di un condizionamento che si abbatterà in modo così pesante sulla fabbrica delle notizie, se il fabbricante è uno solo o quasi?

di | 3 marzo 2016

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allora in una società di libero mercato a domanda e offerta, teoricamente, multiple dove chi agisce in essa scambia con i consumatori  le "informazioni" in modo da permettergli di "scegliere" al meglio i prodotti contendendosene le scelte quanto sta accadendo nell'editoria, con il venir meno della pluralità dell'offerta, viene anche meno il presupposto base del mercato che ne è la basse.... a maggior ragione quando si vive dove il medium principale è proprio il network dei media e le informazioni che forniscono: sono loro che spostano voti e opinioni (anzi spesso la cosiddetta "pubblica opinione" è una figura retorica usata per fare da velo ai media); sono loro che hanno il compito di "watchdog (mai visto in italia tranne rarissime eccdezioni)"; sono loro che danno al consumatore le news, ma:
  1. se i media networks sono essi stessi strumenti di gruppi finanziari- industriali che li posseggono;
  2. se non assolvono al compito precipuo, watchdog, ma si fanno, spesso anche al di là delle intenzione del dominus del momento, portatori dei desiderata del mainstream politico-finanziario;
  3. se la comunicazione è già viziata dal possesso di pochi, non editori puri, che tendono al monopolio dell'informazione;
  4. se il consumatore, ex cittadino consapevole, si trova prigioniero di un sistema dove non solo c'è il pensiero unico ma c'è anche l'informazione unica..
possiamo ben pensare che la società viene sempre di più plasmata da quei pochi a scapito di quel pluralismo che è la base della democrazia e delle società complesse è solo un sogno... se mai volessimo aspirarea questo sogno dovremmo difendere con le unghie e con i denti la "rete" digitale e impedire che venga colonizzata, divisa, piegata agli interessi di quei pochi, e dei sodali della politica, perchè una volta persa non ci resterebbe nemmeno quel piccolo angolo di libertà individuale con cui tanto si sciacquano la bocca i soloni del libero mercato=democrazia......

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