Fonte: Il Fatto Quotidiano Ambiente & Veleni di Luisiana Gaita | 8 Agosto 2019
Sono
le conclusioni del rapporto Cambiamento climatico e territorio,
redatto dall'Ipcc, il comitato scientifico dell'Onu sul clima: "Ci
saranno più guerre e migrazioni. È alto il rischio di desertificazione e
incendi anche nel Mediterraneo". Le soluzioni: "Produzione sostenibile
di cibo, gestione carbonio organico, conservazione ecosistemi e
riduzione deforestazione"
Siccità e piogge estreme pregiudicheranno la produzione agricola e la sicurezza delle forniture alimentari. Così i cambiamenti climatici influiranno già dai prossimi anni sull’offerta di cibo e acqua nel mondo, facendo aumentare i prezzi e riducendo le risorse a disposizione dei più poveri. È la previsione contenuta nel nuovo Special Report on Climate Change and Land del comitato scientifico dell’Onu sul clima, l’Ipcc (Intergovernmental panel on climate change) presentato oggi a Ginevra.
Lo stesso, per intenderci, che a ottobre 2018 ha lanciato l’allarme
globale su ciò che accadrà se non si ridurrà subito l’emissione dei gas serra: già nel 2030 il riscaldamento globale potrebbe superare la soglia di +1,5 gradi Celsius dai livelli pre-industriali con conseguenti devastanti. Il nuovo rapporto (scritto da 107 scienziati di spicco provenienti da 52 paesi di tutto il mondo) si è concentrato, invece, sugli effetti che i cambiamenti climatici avranno sull’offerta alimentare globale. Secondo l’Ipcc a pagarne le conseguenze saranno soprattutto le popolazioni più povere di Africa e Asia, con guerre e migrazioni. Ma anche il Mediterraneo è ad alto rischio di desertificazione e incendi.
Basti pensare che la diffusione del dossier arriva nelle stesse ore in
cui, dopo l’impegno arrivato in Italia dal Consiglio regionale della Toscana
a giugno scorso, l’Emilia-Romagna ha dichiarato emergenza climatica e
ambientale con un atto già ufficializzato da una delibera della Giunta.
I dati
– Dal rapporto emerge che dal periodo preindustriale la temperatura
sulle terre emerse è già aumentata di 1,53 gradi centigradi. La media globale dell’aumento è di 0,87 tenendo conto della variazione di temperatura sopra gli oceani. Più di un quarto della terra del Pianeta è soggetta al “degrado indotto dall’uomo” e la produzione di bioenergia può rappresentare un pericolo consistente per la sicurezza alimentare
e la degradazione del suolo. Il rischio, infatti, è quello di privarci
di preziosi terreni agricoli, spostando piantagioni e pascoli per il
bestiame in aree naturali di grande importanza per la conservazione
della biodiversità e la salvaguardia del clima, come le foreste. Il rapporto dell’Ipcc fornisce anche altri dati, importanti per capire gli squilibri che hanno portato al punto in cui siamo ora. Il 23% delle emissioni di gas a effetto serra prodotte dall’attività umana derivano proprio da deforestazione, incendi e agricoltura industriale. Negli ultimi 60 anni il consumo di carne
è più che raddoppiato e il suolo è stato convertito a uso agricolo a un
ritmo senza precedenti nella storia umana. Così, mentre nel mondo ci
sono circa due miliardi di adulti in sovrappeso o
obesi, 821 milioni di persone sono denutrite. Questi i dati da cui si è
partiti per arrivare a prevedere il prossimo futuro.
Rischi alti anche a 1,5 gradi – L’obiettivo più ambizioso dell’Accordo di Parigi sul clima siglato nel 2015 è quello di rimanere con un riscaldamento globale a 1,5 gradi dai livelli pre-industriali. Anche così, secondo gli scienziati dell’Ipcc, sono ‘alti’ i rischi che ci si ritrovi davanti a emergenze come scarsità d’acqua, incendi, instabilità nella fornitura di cibo e degrado del permafrost. Quest’ultimo è un fenomeno che avviene in risposta al riscaldamento
della superficie del suolo che, a sua volta, è un effetto dell’aumento
della temperatura dell’aria. Nell’ultimo mezzo secolo si sta
verificando in molti settori dell’Artico.
Se si arriverà a +2 gradi – Ma il rapporto analizza anche le conseguenze che ci troveremo ad affrontare nell’ipotesi che il cambiamento climatico raggiungerà o supererà i 2 gradi (l’obiettivo minimo di Parigi). In quel caso, infatti, i rischi fin qui elencati vengono considerati ‘molto alti’. “Con l’aumento delle temperature – prevede lo studio – la frequenza,
l’intensità e la durata degli eventi collegati al caldo, comprese le
ondate di calore, continueranno a crescere nel 21° secolo”. Aumenteranno
quindi la frequenza e l’intensità delle siccità, particolarmente nella regione del Mediterraneo e dell’Africa meridionale, come pure gli eventi piovosi estremi. Si prevede un calo nella sicurezza
rispetto alle forniture di cibo proporzionale all’aumento della
grandezza e della frequenza degli eventi atmosferici estremi, che
spezzeranno la catena alimentare. Se aumenteranno le emissioni di CO2, un’altra conseguenza potrebbe essere quella di un calo della qualità nutritive dei raccolti.
La mappa delle aree più a rischio – Nelle regioni aride, il cambiamento climatico e la desertificazione causeranno riduzioni nella produttività dei raccolti e del bestiame. Le zone tropicali e subtropicali saranno le più vulnerabili. Gli scienziati
che hanno lavorato al rapporto prevedono il maggior numero di persone
che patiranno direttamente le conseguenze dell’aumento della
desertificazione vivono tra Asia e Africa, mentre Nord America, Sud America, Mediterraneo, Africa meridionale e Asia centrale vedranno aumentare il numero di incendi.
L’allarme incendi è già una realtà nelle aree più fredde del pianeta – D’altro canto ciò che è accaduto tra luglio e agosto 2019 è più che un campanello d’allarme. Da giugno decine e decine di incendi si sono sviluppati lungo le coste del mar Glaciale Artico, in Groenlandia, Russia, Canada e Alaska. Oltre 3,2 milioni di ettari di foresta sono andate in fumo in Russia: le regioni più colpite sono quelle di Krasnoyarsk e Irkutsk, in Siberia, e la Yakuzia,
nell’estremo nord-est. E se in queste aree del pianeta i roghi sono
frequenti tra maggio e ottobre, è pur vero che per intensità e durata
quelli di quest’anno non avevano precedenti e hanno rappresentato una
concreta minaccia per lo scioglimento dei ghiacci nell’Artide.
Le migrazioni e i conflitti – I cambiamenti climatici
portano con sé altri effetti. “Possono amplificare le migrazioni sia
all’interno dei paesi che fra un paese e l’altro” sottolineano gli
scienziati. Eventi atmosferici estremi possono portare alla rottura
della catena alimentare, minacciare il tenore di vita, esacerbare i conflitti e costringere la gente a migrare. D’altro canto già nel 2018 la Banca Mondiale ha pubblicato un report sul tema della migrazione forzata provocata dal cambiamento climatico,
stimando che entro il 2050 saranno almeno 143 milioni le persone
costrette a spostarsi all’interno del proprio paese per ragioni legate
al cambiamento climatico. Di questi 143 milioni, oltre la metà saranno in Africa Sub-sahariana. “Il cambiamento climatico – conferma il rapporto dell’Ipcc – aumenterà gli impatti economici negativi della gestione non sostenibile del territorio”.
Gli strumenti per ridurre le emissioni – Ed è proprio la gestione del territorio, secondo il comitato scientifico dell’Onu sul clima, la chiave per poter trovare una soluzione e allontanare il disastro. Una gestione basata su produzione sostenibile di cibo, gestione sostenibile delle foreste, gestione del carbonio organico nel suolo, conservazione degli ecosistemi, ripristino del territorio, riduzione della deforestazione, del degrado e della perdita e dello spreco di cibo. Tutte azioni che farebbero ridurre le emissioni di gas serra e, quindi, il riscaldamento globale.
Secondo lo studio, alcune misure hanno un impatto immediato, mentre
altre richiedono decenni per ottenere risultati. Sono immediatamente
efficaci la conservazione degli ecosistemi che catturano grandi quantità
di carbonio, “come le paludi, le zone umide, i
pascoli, le mangrovie e le foreste”. Nelle grandi aree verdi, piante e
alberi catturano l’anidride carbonica dell’atmosfera e la conservano in
tronchi e foglie. Questi, in seguito, si decompongono a terra e
lasciano la CO2 imprigionata nel terreno (il cosiddetto carbonio organico nel suolo). Misure di lungo periodo sono, invece, forestazione e riforestazione, attività forestali, ripristino di ecosistemi ad alta cattura di carbonio e dei suoli degradati. “Il suolo e la biodiversità stanno soffrendo una pressione enorme a causa dell’aumento della deforestazione in Amazzonia e degli incendi che proprio in questi giorni stanno devastando Siberia e Indonesia” ha commentato Martina Borghi, campagna foreste di Greenpeace Italia. Sottolineando che “alla luce del nuovo rapporto Ipcc, i governi
dovranno aggiornare e migliorare i propri piani d’azione per mantenere
l’innalzamento delle temperature globali sotto il grado e mezzo”.
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