Fonte: Il Fatto Quotidiano Loretta Napoleoni Società - 16 Febbraio 2020
Da settimane si parla solo del coronavirus.
A parte la paura di essere contagiati, si temono le conseguenze sugli
equilibri economici. Si sa, l’impatto delle epidemie sull’economia
mondiale è sempre catastrofico, viene spontaneo
pensare che più gente muore più si contrae l’economia. Ma è vero anche
il contrario, la scomparsa di milioni di persone può creare nuove
opportunità per chi rimane in vita. E’ quello che in effetti è successo
con la peste nel 14esimo secolo.
Secondo i dati riportati dalla Chiesa, la peste uccise un terzo della popolazione europea, la percentuale di mortalità
si pensa fosse del 75%, quindi altissima. Storici e antropologi
sostengono che una tale catastrofe cambiò il sistema economico perché
venne a mancare l’abbondanza di lavoro. Chi aveva bisogno di braccianti,
ad esempio, li doveva pagare invece di farli diventare servi della
gleba perché la domanda di lavoro era inferiore all’offerta. Tutto ciò spinse anche la ricerca tecnologica per massimizzare la produttività della forza lavoro.
Sebbene la peste finì ufficialmente nel 1353 come epidemia continentale, ricomparse in alcune zone dell’Europa
fino al 1400, mantenendo la popolazione europea costante, e quindi
l’offerta di lavoro bassa. Durante questo secolo di grandi cambiamenti
demografici l’economia europea crebbe. I salari dei braccianti, che fino
allo scoppio della peste erano stati costretti ad essere servi della
gleba si raddoppiarono, i maggiori proventi si
tradussero in un miglioramento in tutte le classi basse, mentre la
contrazione della popolazione produsse un rapporto ottimale con le terre
disponibili.
La migliore distribuzione della ricchezza portò anche ad un aumento della scolarità: nel 1343 l’alfabetizzazione in Europa e nel Medio Oriente era sotto il 5%, nel 1800 in Europa era salita al 50% mentre in Turchia era rimasta invariata.
Sul
piano tecnologico in risposta alla catastrofe della peste gli europei
migliorarono i sistemi di estrazione delle miniere, quelli di
navigazione e introdussero l’aratro pesante trainato non più da un bue
ma da un cavallo, che permise un miglior sfruttamento della terra e un’ulteriore aumento della ricchezza.
L’analisi
delle conseguenze economico-sociali di lungo periodo della peste ci
deve far riflettere sull’impatto di lungo periodo del coronavirus,
qualora l’epidemia non venga debellata velocemente, come avvenne con la
Sars. Sebbene il coronavirus non possa essere
paragonato alla peste, di gran lunga più infettiva e mortale, il ruolo
centrale che la Cina svolge nell’economia globalizzata può ampliarne l’impatto e trasformare radicalmente gli equilibri attuali.
La
Cina è una fonte essenziale di approvvigionamento per diversi settori
produttivi, basta menzionare l’industria elettronica e quella
automobilistica. Nella prima Pechino è ormai leader con al suo attivo il 30% delle esportazioni globali, pari a cinque volte il fatturato della Germania. Ma anche nell’industria automobilistica la Cina è leader per quanto riguarda le componenti.
La
dipendenza dalle catene di approvvigionamento cinesi può mettere in
ginocchio interi settori, come quello automobilistico, adesso che
queste si sono fermate. La Fiat Chrysler si trova già in una situazione critica, mentre all’inizio di febbraio la Hyundai ha dovuto chiudere le fabbriche nella Corea del Sud e la Volkswagen ha posposto la riapertura di quelle in Cina fino alla settimana prossima.
A
livello globale i numeri sono ancora più preoccupanti: la Cina importa
l’11 per cento del volume totale delle esportazioni, il 2,7% in più di
20 anni fa. Un cambiamento di un paio di punti percentuali nel consumo
cinese ha quindi un impatto enorme sulla domanda globale.
Una
riflessione da fare a questo punto è la seguente: la peste ridisegnò
il sistema economico-sociale del vecchio continente perché uccise un
terzo della popolazione, il coronavirus potrebbe avere un impatto
simile senza mietere altrettante vittime, semplicemente attraverso il
contenimento dell’epidemia, e cioè la quarantena imposta in gran parte della Cina che blocca le catene di approvvigionamento mondiali.
Non importa se il numero dei morti sarà inferiore a quello della grande influenza del 1917, la cosiddetta Spagnola,
che fece fuori 40 milioni di persone: ciò che conta è la caduta della
produzione e della domanda cinese prodotta dalle norme per prevenire il
contagio.
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