L’Italia rischia la deflazione,
un male forse peggiore dell’inflazione a giudicare dalle difficoltà
pluri-decennali che il Giappone continua a incontrare per uscirne fuori.
La deflazione è in effetti l’opposto dell’inflazione poiché i prezzi
invece di salire scendono: la loro caduta, a sua volta,
fa crollare investimenti, salari e occupazione. In ultima analisi la
deflazione distrugge ricchezza.
L’aspetto più
pericoloso è, come nell’inflazione, quello psicologico. L’economia si
contrae anche perché la gente, anticipando prezzi futuri sempre più
bassi, pospone gli acquisti, e così facendo deprime il
consumo, che a sua volta fa scendere la domanda globale, la produzione,
l’investimento, insomma un cane che si morde la coda.
L’importanza che l’aspetto psicologico
gioca nel fenomeno della deflazione dipende dalla composizione
demografica del Paese in oggetto e dalle dimensioni del debito. Va da
solo che più vecchia è la prima e più grande è il secondo tanto più
difficile sarà contrastare le spinte inflazioniste.
In
Giappone una popolazione in via d’invecchiamento è da almeno vent’anni
convinta che prima o poi questo debito dovrà essere pagato, ciò fa
presagire un futuro ancora più nero del presente. Fino
ad oggi tutti gli sforzi del governo per far ripartire la spesa sono
falliti proprio perché la popolazione è sicura che lo stato per ripagare
il debito continuerà a tagliare salari, pensioni e assistenza sociale,
ciò equivale a dire avrà un comportamento deflattivo. Di fronte a
queste aspettative la gente non spende anche se il tasso d’interesse è a
zero e la banca centrale pompa liquidità nel sistema, piuttosto risparmia quel poco che ha e quindi deprime ulteriormente l’economia.
L’esempio del Giappone,
una nazione in deflazione dalla metà degli anni Novanta, ben illustra
quanto sia difficile interrompere la spirale deflazionista una volta
che il processo economico e quello psicologico si auto-alimentano.
In Europa, l’Italia e la Spagna
sono le prime nazioni che rischiano di scivolare lungo la spirale
deflazionista. L’Italia è insieme alla Germania quella che assomiglia di
più demograficamente al Giappone ed anche quella con un rapporto
debito pubblico/PIL più vicino in termini percentuali a quello
giapponese.
Per ora le prospettive per il Bel
Paese sono pessime: in agosto l’indice dei prezzi al consumo prodotto
dall’Istat è sceso dello 0,1 per cento rispetto ad agosto del 2013. E’
la prima volta dal 1959 che questo succede, ma allora l’economia era in
fase ascendente anche grazie agli aiuti economici del Piano Marshall e
alla ricostruzione del dopoguerra. Oggi la situazione è ben diversa.
Tutti gli indicatori economici sembrano preannunciare un autunno di deflazione:
il tasso di disoccupazione è tornato al di sopra del 12 per cento (
12,6 per cento); il Pil è sceso dello 0,2 per cento su base annuale; le
esportazioni sono aumentate (1,9 per cento) meno delle importazioni (2
per cento).
A questo scenario sconfortante si
deve aggiungere la dura posizione assunta dalla Germania nei confronti
della politica monetaria espansiva ventilata da Draghi, che molti sono convinti aiuterebbe l’economia. Il ministro delle finanze tedesco, Wolfang Schaeuble,
ha infatti dichiarato che la banca centrale europea ha esaurito le
munizioni per aiutare l’eurozona e ha aggiunto che il problema non è la
scarsa liquidità ma l’eccessiva quantità di moneta in circolazione.
Secondo il governo di Matteo Renzi, invece, il problema centrale della nostra economia è proprio la mancanza di liquidità,
che si manifesta attraverso la scarsa presenza di capitali esteri per
l’investimento. Dato che non possiamo stampare moneta l’unico modo per
ottenerla è farla arrivare dall’estero.
Ma pochi
sono disposti a investire in un Paese dove il sistema legale è al
collasso e quello di tassazione è tra i più alti al mondo. Ecco quindi
la necessità di un pacchetto di riforme per far ripartire l’economia. Tutte approvate dal governo e ora da passare al vaglio del Parlamento.
Funzioneranno?
Solo se non verranno annacquate dai politici per difendere le varie
lobby o per tagliare le gambe a Renzi, ma soprattutto se riusciranno a
rompere la paura psicologica che la popolazione ha di spendere e quella
degli investitori stranieri di investire in una nazione in deflazione.
Certo dopo anni di crescita negativa e di promesse infrante,
trasformare il pessimismo in ottimismo è quasi impossibile.
Una soluzione radicale, che forse anche il Giappone dovrebbe prendere in considerazione è l’abbandono delle dottrine neo-liberiste,
sulle quali, va detto, poggia l’apparato monetario ed economico
dell’Unione Europea, a favore della nazionalizzazione del debito, con
relativa cancellazione. Ma anche questa manovra rivoluzionaria potrebbe
non funzionare se la popolazione non è disposta a cambiare in positivo
le aspettative future e a rinegoziare la maturità dei titoli di stato
per una data lontana nel futuro. Tutto ciò potrebbe richiedere il
rinnovamento dell’intera classe politica.
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