venerdì 26 agosto 2016

Il dopo-terremoto sommerso di parole (Ilvo Diamanti)

La terra ha tremato in modo violento. Un’altra volta. E ci siamo trovati di nuovo dentro un incubo.Ho percepito in diretta la lunga scossa di terremoto, che ha sconvolto alcune zone dell’Italia Centrale. In questo periodo, da molti anni, mi trasferisco a Urbania. Al confine con Urbino – e anch’essa città ducale. Così, nella notte fra martedì 23 e mercoledì 24 agosto ho sentito muri e pavimento muoversi, le lampade oscillare e molti oggetti battere e scivolare. Ho cercato subito sui siti una notizia, un’informazione. Ma avevo capito. Troppo facile immaginare cosa fosse successo. Il problema era “dove”. E con quali effetti.
Pochi istanti e la mia attesa veniva – per così dire – soddisfatta. La terra aveva tremato. In modo violento. Un’altra volta. Al crocevia fra le Marche, il Lazio e l’Umbria. Così ci siamo trovati, di nuovo, dentro un incubo. Assolutamente reale. Un altro terremoto che ha travolto molte località, molti borghi, molte abitazioni e, insieme, molte vite. Era già avvenuto altre volte, non tanti anni fa, non lontano da qui. E purtroppo avverrà ancora. In qualche altro paese, in qualche altra città. D’altronde, come si sente dire spesso, in questi giorni, si tratta di un evento prevedibile. Anche se non proprio in quei luoghi e in quei giorni. Perché il nostro è uno “Stato di emergenza”. Permanente. Noi, per abbassare il rischio, dovremmo praticare la prevenzione, in modo sistematico. Nella realizzazione del patrimonio immobiliare. Nella gestione del territorio.
E qualcosa si è fatto, si fa. Ma in misura assolutamente inadeguata. Non intendo, qui, riprendere il dibattito sui motivi della nostra amnesia permanente, su questi problemi. Ma mi disturba assistere a un palinsesto già scritto. Delineato e sperimentato tante volte. Lo spettacolo del disastro e della tragedia. Lo spettacolo del dolore e dei soccorsi. Della solidarietà e della generosità. Del sostegno istituzionale, espresso da presidenti e uomini di governo in visita ai luoghi colpiti dal sisma. Questa narrazione, scritta, descritta e sceneggiata tante volte: mi disturba.
Anche perché, sui media, questa tragedia reale, tremenda, prende il posto di altre tragedie private, sceneggiate e replicate altre volte. Tante volte. Troppe volte. Omicidi e violenze familiari, tra coniugi, genitori e figli. Tra vicini, conoscenti e sconosciuti. Femminicidi. Li abbiamo visti e li vediamo, trasmessi da tanti anni. D’altronde, da noi i processi e le indagini non finiscono mai. Così, gli stessi spazi mediali oggi sono occupati dalle storie del terremoto e del dopo-terremoto. Riproposte, sugli schermi televisivi, di giorno in giorno, meglio ancora, di pomeriggio in pomeriggio. Poi, di sera, fino a notte inoltrata. La vita e la morte, assolutamente in diretta. I bambini deceduti e quelli salvati. Le polemiche sulle responsabilità dello Stato, dei Comuni e dei privati. Sulle risorse impiegate per gli stranieri e gli immigrati, invece che per aiutare i nostri cittadini.
Mi disturba il reality show che si svolge intorno al dolore. E solleva rumore, anche quando ci sarebbe bisogno di silenzio. Mi rendo conto, però, che è inevitabile. Come, purtroppo, il ripetersi delle tragedie che devastano il nostro territorio. Però, se i terremoti sono imprevedibili e, in Italia, non finiscono mai, proviamo, almeno, a non rassegnarci alla riduzione mediale del dopo-terremoto, sepolto da fiumi di parole. Per rispetto. Nei confronti delle comunità e delle persone colpite dal sisma. E verso noi stessi.
Fonte: Repubblica.it
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per il weekend..ammesso che qualcuno abbia voglia di chiamarlo weekend

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