28/02/2017 di triskel182
LE
cronache ci mostrano quasi ogni giorno come vi sia una intensa
richiesta di autodeterminazione, che davvero investe l’intero arco
della vita.
CASI come quello di Fabiano
Antonini, il dj Fabo, individuano il punto più intenso della libertà
esistenziale, perché pongono non solo la questione di chi abbia il
potere di scrivere il “palinsesto della vita”, di individuarne il
perimetro, ma soprattutto fanno divenire ineludibile il problema di chi
possa avere il potere di determinarne la durata, di stabilire se debba
continuare o no l’essere nel mondo di una persona.
Ma
l’area da governare non riguarda soltanto il fine vita, il morire,
anche se qui il potere di scelta si fa più drammatico, perché estremo,
irreversibile. È ben più vasta, comprende l’insieme delle decisioni
riguardanti ogni momento dell’esistenza — dal suo inizio alla sua fine —
e la determinazione dei casi e delle modalità che riguardano la
possibilità di dare voce e potere anche a persone diverse dal diretto
interessato.
La discussione di questi
giorni, dominata, com’è inevitabile e pure giusto, da una forte
emotività, potrebbe indurre a ritenere che si viva in una situazione
caratterizzata dal disinteresse istituzionale, dall’assenza di
significativi principi di riferimento. Non è così, e lo dimostra anche
il linguaggio comune quando adopera espressioni come “morire con
dignità”, dove il fatto naturale della morte è distinto dal processo
del morire, che appartiene ancora alla vita, sì che è ben evidente la
consapevolezza di persone e istituzioni della possibilità di
intervenire in questo processo per associare il morire ad un principio
ormai così fortemente collocato nella dimensione istituzionale, qual è
appunto quello di dignità. Fin dall’inizio, infatti, nel delineare il
sistema istituzionale si è avuta piena consapevolezza dei rischi legati
all’intervento nel mondo della vita, tanto che l’articolo 32 della
Costituzione si chiude con queste parole: “la legge non può in nessun
caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. È una
delle dichiarazioni più forti della nostra Costituzione, una sorta di
nuovo habeas corpus, con il quale il moderno sovrano, l’Assemblea
costituente, promette ai cittadini che non “metterà la mano” su di
loro, sulla loro vita. Al centro del contesto istituzionale si pone
quindi il consento informato della persona. Proprio questa è la linea
seguita dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 438 del 2008. Qui
si legge che «la circostanza che il consenso informato trova il suo
fondamento negli artt. 2, 13 e 32 della Costituzione pone in risalto la
sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona:
quello all’autodeterminazione e quello alla salute».
Le
istituzioni, dunque, hanno una ben chiara responsabilità. Non possono
limitarsi ad un riconoscimento formale, ma rendere effettivi questi
diritti proprio perche definiti fondamentali, rimuovendo gli ostacoli
che ne rendono difficile o addirittura impossibile l’attuazione.
Articolo intero su La Repubblica del 28/02/2017.
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