14/03/2017 di triskel182
QUALE
è il diritto da privilegiare nel decidere con chi deve stare un
bambino, quello alla stabilità affettiva e identitaria di una bambina
che non conosce altri genitori se non quelli che la hanno allevata
negli ultimi cinque anni o quello dei suoi genitori naturali, cui era
stata ingiustamente sottratta da un tribunale quando aveva ancora poche
settimane? Quello della filiazione e genitorialità basati sulla cura e
assunzione di responsabilità quotidiana o quello dei legami di sangue e
della importanza della gestazione?
La
Corte d’Appello di Torino ieri ha deciso a favore della stabilità
affettiva e della filiazione radicata nella cura quotidiana, in nome
dell’interesse della bambina, pur riconoscendo che la decisione presa a
suo tempo di sottrarla ai suoi genitori legittimi e dichiararla
adottabile era stata sbagliata perché basata su informazioni erronee
(un presunto abbandono che non c’era stato) avvallate da pregiudizi nei
confronti di genitori “troppo vecchi” e da decisioni troppo affrettate
dei servizi sociali. Se i genitori non fossero stati anziani, se non
ci fosse stato il sospetto che la madre fosse ricorsa alla riproduzione
assistita con donatrice e se si fosse trattato di una coppia di un
altro ceto sociale (ad esempio di intellettuali o professionisti), i
servizi sociali non li avrebbero messi sotto osservazione quando la
donna era ancora all’ospedale, i vicini sarebbero stati meno pronti a
rilevarne possibili manchevolezze e i giudici minorili più attenti nel
valutare i fatti.
Ma questo errore ha
innescato un meccanismo i cui effetti per la bambina non possono essere
cancellati: la bambina non ha mai sperimentato chi la ha messa al
mondo come genitori effettivi, trovando nella relazione con loro il
senso e la radice della propria esistenza, apprendendo nella cura
quotidianamente ricevuta il proprio valore, mettendo così le basi dello
sviluppo della propria identità. Lo ha fatto e sta facendo con chi la
ha adottata. Si diventa figli quando qualcuno si prende cura di noi e
ci integra nella propria vita e si è effettivamente genitori quando si
prende quotidianamente la responsabilità di far crescere qualcuno.
Proprio ciò che è stato impedito ai due anziani genitori piemontesi da
un susseguirsi di errori prima dei servizi, poi dei tribunali, errori
che è impossibile sanare. È questo che rende il caso piemontese
drammatico e tutti i soggetti coinvolti in qualche misura perdenti. I
genitori originari perché hanno perso ingiustamente la figlia che pure
avevano fortemente voluta. Quest’ultima, perché le è stato impedito di
crescere con loro e sarà segnata per sempre dalla esperienza di
separazione che la ha trasformata in adottabile e poi in figlia
adottiva.
Amartya Sen direbbe che è un
caso classico di giustizia comparativa: dove non vi è una netta
separazione tra giusto e sbagliato, diritto legittimo e pretesa
illegittima, ma i diritti in gioco sono tutti legittimi e fondati.
Occorre, perciò valutarli uno rispetto all’altro, consapevoli che le
valutazioni possono differire e che ogni decisione “giusta” includerà
una ingiustizia nei confronti di qualcuno.
La
soluzione, lacerante e dolorosa, del tribunale lascia aperta, inoltre,
la questione del diritto della bambina a conoscere le proprie origini e
la storia che la ha portata, appunto, ad essere adottata. È un diritto
che hanno tutti i figli adottivi, ma che in questo caso andrebbe
affrontato con strumenti diversi e non aspettando che l’interessata
compia 18 anni. Non solo questa bambina deve sapere che chi l’ha messa
al mondo la ha voluta fortemente, tanto quanto i genitori adottivi, e
non l’ha abbandonata, anzi ha molto combattuto per riaverla. E proprio
perché il suo essere adottata non ha all’origine un abbandono, dovrebbe
anche avere la possibilità di sviluppare — con tutto il tempo, la
delicatezza, la flessibilità necessarie e da accompagnare — e mantenere
un rapporto con i genitori “originari” e questi con lei.
Sarebbe
anzi auspicabile che, invece di continuare a dare battaglia in
tribunale, prolungando l’incertezza sullo statuto legale di una bambina
che diventa sempre più grande, la coppia piemontese chiedesse questa
possibilità e che il tribunale e i servizi sociali la sostenessero,
appellandosi alla generosità e intelligenza dei genitori adottivi
perché aprano i confini della propria famiglia, aiutando la figlia a
elaborare in modo positivo la complessità della propria nascita e della
propria collocazione nel mondo.
Da La Repubblica del 14/03/2017.
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