martedì 14 marzo 2017

QUELLA FIGLIA PERDUTA (Chiara Saraceno)

QUALE è il diritto da privilegiare nel decidere con chi deve stare un bambino, quello alla stabilità affettiva e identitaria di una bambina che non conosce altri genitori se non quelli che la hanno allevata negli ultimi cinque anni o quello dei suoi genitori naturali, cui era stata ingiustamente sottratta da un tribunale quando aveva ancora poche settimane? Quello della filiazione e genitorialità basati sulla cura e assunzione di responsabilità quotidiana o quello dei legami di sangue e della importanza della gestazione?

La Corte d’Appello di Torino ieri ha deciso a favore della stabilità affettiva e della filiazione radicata nella cura quotidiana, in nome dell’interesse della bambina, pur riconoscendo che la decisione presa a suo tempo di sottrarla ai suoi genitori legittimi e dichiararla adottabile era stata sbagliata perché basata su informazioni erronee (un presunto abbandono che non c’era stato) avvallate da pregiudizi nei confronti di genitori “troppo vecchi” e da decisioni troppo affrettate dei servizi sociali. Se i genitori non fossero stati anziani, se non ci fosse stato il sospetto che la madre fosse ricorsa alla riproduzione assistita con donatrice e se si fosse trattato di una coppia di un altro ceto sociale (ad esempio di intellettuali o professionisti), i servizi sociali non li avrebbero messi sotto osservazione quando la donna era ancora all’ospedale, i vicini sarebbero stati meno pronti a rilevarne possibili manchevolezze e i giudici minorili più attenti nel valutare i fatti.
Ma questo errore ha innescato un meccanismo i cui effetti per la bambina non possono essere cancellati: la bambina non ha mai sperimentato chi la ha messa al mondo come genitori effettivi, trovando nella relazione con loro il senso e la radice della propria esistenza, apprendendo nella cura quotidianamente ricevuta il proprio valore, mettendo così le basi dello sviluppo della propria identità. Lo ha fatto e sta facendo con chi la ha adottata. Si diventa figli quando qualcuno si prende cura di noi e ci integra nella propria vita e si è effettivamente genitori quando si prende quotidianamente la responsabilità di far crescere qualcuno. Proprio ciò che è stato impedito ai due anziani genitori piemontesi da un susseguirsi di errori prima dei servizi, poi dei tribunali, errori che è impossibile sanare. È questo che rende il caso piemontese drammatico e tutti i soggetti coinvolti in qualche misura perdenti. I genitori originari perché hanno perso ingiustamente la figlia che pure avevano fortemente voluta. Quest’ultima, perché le è stato impedito di crescere con loro e sarà segnata per sempre dalla esperienza di separazione che la ha trasformata in adottabile e poi in figlia adottiva.
Amartya Sen direbbe che è un caso classico di giustizia comparativa: dove non vi è una netta separazione tra giusto e sbagliato, diritto legittimo e pretesa illegittima, ma i diritti in gioco sono tutti legittimi e fondati. Occorre, perciò valutarli uno rispetto all’altro, consapevoli che le valutazioni possono differire e che ogni decisione “giusta” includerà una ingiustizia nei confronti di qualcuno.
La soluzione, lacerante e dolorosa, del tribunale lascia aperta, inoltre, la questione del diritto della bambina a conoscere le proprie origini e la storia che la ha portata, appunto, ad essere adottata. È un diritto che hanno tutti i figli adottivi, ma che in questo caso andrebbe affrontato con strumenti diversi e non aspettando che l’interessata compia 18 anni. Non solo questa bambina deve sapere che chi l’ha messa al mondo la ha voluta fortemente, tanto quanto i genitori adottivi, e non l’ha abbandonata, anzi ha molto combattuto per riaverla. E proprio perché il suo essere adottata non ha all’origine un abbandono, dovrebbe anche avere la possibilità di sviluppare — con tutto il tempo, la delicatezza, la flessibilità necessarie e da accompagnare — e mantenere un rapporto con i genitori “originari” e questi con lei.
Sarebbe anzi auspicabile che, invece di continuare a dare battaglia in tribunale, prolungando l’incertezza sullo statuto legale di una bambina che diventa sempre più grande, la coppia piemontese chiedesse questa possibilità e che il tribunale e i servizi sociali la sostenessero, appellandosi alla generosità e intelligenza dei genitori adottivi perché aprano i confini della propria famiglia, aiutando la figlia a elaborare in modo positivo la complessità della propria nascita e della propria collocazione nel mondo.
Da La Repubblica del 14/03/2017.

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insomma un caso unico per una soluzione unica che secondo me viola alcuni principi di libertà personali... ma si sa che questi diritti sono finiti sotto i piedi.

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