In strada il 92% delle macerie e poche casette consegnate La ricostruzione nel caos.
ASASHA
avevano detto che entro sette mesi avrebbe avuto una casetta di legno.
Proprio lì a Visso, il suo paese distrutto. Era novembre. Sasha, oggi,
vive ancora in una roulotte. A Marco, 11 anni, avevano detto che la sua
classe sarebbe rimasta unita, che non avrebbe perso i compagni di
scuola: a settembre, per il secondo anno di fila, ne conoscerà di nuovi
sulla costa adriatica. A Enzo, allevatore di Castelsantangelo sul Nera,
avevano detto che gli avrebbero portato una nuova stalla. Sta per
iniziare la prima estate del dopo terremoto, e le sue bestie dormono in
quel che rimane della vecchia.
Avevano
promesso. Le istituzioni avevano promesso. Il governo Renzi prima, il
governo Gentiloni poi, i governatori regionali. Tutti. Hanno fatto
credere agli abitanti del cratere più vasto della storia del nostro
Paese – 131 comuni in quattro Regioni – che “presto” sarebbero tornati a
una vita, tutto sommato, accettabile. Che “presto” sarebbe finita.
Dieci mesi dopo, invece, non è nemmeno cominciata: le macerie sono a
terra, di casette ne sono arrivate pochissime, la ricostruzione è un
miraggio.
Una volta c’era “il modello
Bertolaso” che, in nome della rapidità, calpestava regole e aggirava i
controlli: la somma urgenza invocata per qualsiasi cosa, i Grandi
Eventi, le deroghe, le ordinanze di Protezione civile firmate
direttamente dal Presidente del consiglio. E abbiamo visto con quale
facilità si sono inseriti speculatori e corruttori all’Aquila, al G8
della Maddalena, ai mondiali di nuoto del 2009. Ora, in una sorta di
contrappasso, siamo precipitati nel “modello Burocrazia”: il cavillo, la
carta bollata, l’indecisione spaventata di chi negli enti pubblici
pretende dieci autorizzazioni anche solo per puntellare un muro. «Non si
può fare più in fretta», vanno dicendo a Roma i tecnici della Struttura
di Missione della Presidenza del consiglio. «Le normative sono quello
che sono e il cratere è troppo grande». Sventolano mappe, leggi,
ordinanze. Fanno confronti. «Ci sono 208.000 abitazioni da verificare e
non abbiamo ancora finito: dopo il terremoto dell’Aquila ne avevamo
75.000, in Emilia 42.000. Vi rendete conto?»
UNDICI PASSAGGI PER UN PREFABBRICATO
«Vi
rendete conto?», si chiede il sindaco di Visso, Giuliano Pazzaglini.
Per accedere alla zona rossa del suo paese deve attraversare una capanna
accanto alla pasticceria vissana. «In sette mesi dovevano arrivare le
casette di legno », mormora. «Mica me lo sto inventando, c’è scritto sul
sito della Protezione Civile. Sapete quante ne abbiamo viste a Visso?
Zero».
Sulle casette antisismiche le
promesse si sono frantumate, fin da subito. «Entro Natale daremo le
prime venti ad Amatrice», dichiarò il 23 settembre l’allora premier
Renzi. Le famiglie amatriciane le hanno avute a marzo. Finora ne sono
state ordinate 3.620 in 51 comuni del cratere. Consegnate? Appena l’8
per cento: 296 in tutto, e quelle effettivamente abitate (188) sono
soltanto in due comuni, Amatrice e Norcia. Il “modello Burocrazia”.
Come
un rosario, Pazzaglini sgrana la farraginosa procedura imparata a
memoria. «Il sindaco deve stabilire quante casette servono, poi
individua le aree dove metterle, poi la Protezione civile deve
valutarle, poi interviene il genio civile regionale, poi si passa
all’esproprio, poi la società incaricata disegna il layout, poi il
layout deve essere autorizzato in municipio, poi torna in Regione, poi
la Regione dà l’incarico per la progettazione, poi il progetto passa
all’Erap (Ente per l’abitazione pubblica, ndr) di Pesaro e infine la
gara la fa l’Erap di Macerata… ». Si contano almeno undici passaggi. E
una selva di sigle, dentro cui si perde chi sta provando a rialzarsi
dopo il sisma: Sae, Map, Dicomac, Aedes, Fast, Erap, Mude, Mapre, Cas.
«A gennaio ho comunicato che mi servivano 225 casette: sei mesi sono
passati e niente si muove».
NORME MODIFICATE TRE VOLTE AL MESE
Siamo
ancora nella fase uno del post terremoto, quella dell’emergenza, sotto
la responsabilità condivisa della Protezione Civile e dei governatori di
Lazio, Umbria, Marche e Abruzzo. Si muovono all’interno della cornice
del decreto legge 189 del governo Renzi, già modificato tre volte: dal
successivo decreto Gentiloni, dalla finanziaria e dalla recente
“manovrina”. E si devono districare tra le 29 ordinanze firmate dal
Commissario straordinario alla ricostruzione Vasco Errani, dieci delle
quali intervenute a cambiare le precedenti. Come nel caso delle casette
di legno, quando si sono accorti che l’iter era troppo lungo. «Con le
norme che mutano due-tre volte al mese la ricostruzione non si farà
mai», si lamenta Marco Rinaldi, ingegnere ed ex sindaco di Ussita,
dimessosi dopo un avviso di garanzia ricevuto per un’indagine che non
c’entra col terremoto. «A Roma devono capire che qui c’è stata la
Seconda guerra mondiale».
Quest’ansia di
non farcela è stata raccolta dall’Anci e dal suo presidente, Antonio
Decaro, del Pd, che ha chiesto al premier Gentiloni un incontro urgente.
«I ritardi accumulati sono troppi. Se neanche a settembre le casette
dovessero essere pronte le famiglie saranno costrette a iscrivere i
figli in scuole diverse e lontane per il secondo anno di fila. Così le
comunità si perdono, non torneranno più».
SOLO L’8 PER CENTO DI DETRITI RACCOLTI
Come
fanno a tornare, se per strada hanno i frantumi delle case crollate?
Secondo una stima per difetto ci sono 2,3 milioni di tonnellate di
macerie da rimuovere: da quel 24 agosto, quando il primo terremoto
distrusse Amatrice e Accumoli, la macchina dell’emergenza è stata in
grado di portarne via 176mila e 700, meno dell’8 per cento. Nel Lazio
hanno cominciato a novembre: rimosse 98mila su un milione; in Umbria
3.700 su 100mila; in Abruzzo 10mila su 100mila. Nelle Marche sono
partiti solo ad aprile. Ad oggi hanno raccolto appena 65mila tonnellate
su un milione. Il 6,5 per cento del totale.
Nelle
province di Macerata, Fermo e Ascoli, le più colpite dalla scossa del
30 ottobre (6.5 gradi, la più forte degli ultimi 37 anni), si procede a
passo di lumaca. Per dire: ci sono voluti cinque mesi e sette
autorizzazioni perché la Conferenza dei servizi autorizzasse la ditta
Htr a portare macerie nel sito di stoccaggio di Arquata. Htr vince
l’appalto a novembre, i camion si sono mossi ad aprile. Accanto a questa
lavorano due aziende pubbliche che si occupano di rifiuti: Cosmari nel
Maceratese e Picenambiente nell’Ascolano. È una precisa scelta del
governo, che ha equiparato le macerie a “rifiuti urbani non pericolosi”,
dunque scommettendo sugli operatori che normalmente si occupano della
spazzatura. Prezzo medio: 50 euro a tonnellata. Giuseppe Giampaoli,
direttore della Cosmari, nonostante tutto è ottimista. «Entro il 2018 ce
la faremo». Al momento nelle Marche viaggiano a un ritmo di 1.200
tonnellate al giorno: a spanne serviranno non meno di due anni e mezzo.
«Ma a regime raggiungeremo le 2.000 tonnellate », promettono dalla
Regione. «Il nostro territorio è a forte rischio idrogeologico, motivo
per cui si è faticato a individuare aree idonee dove mettere casette e
macerie».
CERCASI PERSONALE DISPERATAMENTE
Sono,
e saranno, mesi di superlavoro. Per questo il decreto Renzi ha previsto
una norma ad hoc per aiutare i municipi più piccoli: l’articolo 50 bis
autorizza l’assunzione di 350 persone a tempo determinato, da dividere
in quote fra le varie amministrazioni. Sembra facile, invece è
complicato. Il decreto infatti impone di scegliere i nomi attingendo
alle graduatorie pubbliche vigenti, seguendo la procedura ordinaria che
tutela la trasparenza e che però, declinata nel cratere, si è rivelata
un ostacolo. La spiega così Sergio Pirozzi, sindaco di Amatrice:
«Mettiamo il caso che mi serva un geometra e che sia disponibile a
venire qui uno che è classificato cinquantesimo nella graduatoria a
Roma. Prima di prenderlo devo mandare un telegramma, a 6 euro l’uno,
agli altri 49 e aspettare la loro risposta. Se qualcuno si oppone, si
blocca tutto. Ancora: per ogni assunzione serve un Rup, responsabile
unico del procedimento. Ma un funzionario comunale per essere Rup deve
avere almeno dieci anni di anzianità. E dove li vado a trovare? In
comune ho 14 posti scoperti che non riesco a riempire». Un’alternativa
sarebbe pescare tra i 350 collaboratori assumibili durante l’emergenza,
come previsto dal governo. Ma, fanno notare dall’Anci, si tratta di
contratti co.co.pro che scadono il 31 dicembre e in pochi li hanno già
firmati. «Non avranno neanche il tempo di realizzare dove si trovano».
A RISCHIO CINQUEMILA CONTRIBUTI
Fin
qui la gestione dell’emergenza. Ma la fase due? La ricostruzione di
prime e seconde case è diretta responsabilità del Commissario Errani.
Con le macerie a terra e le zone rosse sigillate, è prematuro anche solo
parlare della rinascita dei centri storici più devastati. Per i danni
lievi, invece, il timore è che qualcuno possa perdere il treno dei
contributi statali.
Per averli infatti
bisogna presentare una domanda allegando lo stato dell’immobile (la
famigerata scheda Aedes). I tecnici della Protezione civile hanno fatto
184.700 sopralluoghi su 208.000 case da verificare: ne mancano 23.000,
di cui 19.200 nelle Marche. «Senza la scheda, niente contributi »,
spiega Paolo Vinti, presidente dell’Ordine degli architetti di Perugia.
«Il tempo stringe perché il termine scade il 31 luglio 2017. Siamo stati
fermi per nove mesi, a studiare ordinanze che cambiano di continuo.
Solo a maggio siamo partiti coi rilievi per i progetti di
ristrutturazione e i comuni non sono in grado di fornirci le relazioni
geologiche. È impossibile farcela». Trentuno luglio 2017, manca un mese.
«Quella è solo una data indicativa», sostengono i tecnici della
Presidenza del consiglio. E però l’ordinanza 20 del 7 aprile recita: «Il
mancato rispetto del termine determina l’inammissibilità della domanda
». Stando così le cose, una stima approssimativa dei sindaci calcola in
cinquemila le pratiche a rischio esclusione. «Se sarà necessario,
emetteremo un’altra ordinanza e adegueremo i termini », tagliano corto
dal governo. Comunque sia, un pasticcio. Come quello di far pagare le
imposte di successione sui ruderi ereditati, per cui Pirozzi minaccia di
riconsegnare la fascia di sindaco se il governo, come però ha promesso
ieri, non modificherà la legge.
ISTITUZIONI SENZA FIDUCIA
Nel
cratere, è evidente, c’è bisogno di ricostruire anche la fiducia nelle
istituzioni, e puntellare i palazzi non sarà sufficiente. Errani ci sta
provando, con un pacchetto di norme all’avanguardia per disciplinare la
ricostruzione. Ma quello è il domani.
Articolo intero su La Repubblica del 20/06/2017.::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::
.. e se lo dice repubblica..
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