Fonte: W.S.I. 21 Giugno 2019, di Alberto Battaglia
Trovare un accordo sulla Brexit
si è rivelato, finora, un’impresa impossibile. Ciò è dovuto, in primo
luogo, ad una fondamentale incompatibilità fra le promesse dei
promotori dell’uscita dall’Ue e gli accordi che sono materialmente
praticabili. Infatti, si è palesato con chiarezza che è, ad esempio,
impossibile mantenere l’accesso al mercato unico europeo senza
accettare la libera circolazione delle persone – una delle libertà che i
Brexiteer avrebbero voluto mettere a freno. Allo stesso tempo,
riconquistare la libertà nella politica commerciale, non aderendo
all’unione doganale, imporrebbe la costituzione di un confine e di una
dogana fra la Repubblica d’Irlanda, che resterà nell’Ue, e i vicini del
Nord, appartenenti al Regno Unito.
Eppure, altri Paesi europei
mantengono rapporti di vicinato più o meno stretti con l’Ue, senza
farne parte a pieno titolo. L’agenzia di rating Dbrs
ha fatto il punto sugli accordi che regolano le relazioni fra l’Ue e la
Norvegia e quelli fra Ue e Svizzera. In nessuno dei due casi, è bene
precisarlo subito, le istanze dei Brexiteers sarebbero pienamente
accolte. Pur di non diventare uno “stato vassallo” (l’espressione cara
al possibile successore di May, Boris Johnson), il Regno Unito potrebbe
dunque imboccare la strada di un recesso traumatico, senza accordo.
Dei due modelli, il più facile da replicare in tempi brevi, sarebbe quello norvegese.
A differenza della Svizzera, la Norvegia non è solo membro dell’Area
di libero scambio europea (Efta), ma anche dell’Area economica europea
(Eea). Nei fatti, i norvegesi contribuiscono in misura ridotta al
budget europeo e ottengono piena autonomia dalle leggi Ue in materia di
gestione della pesca e dell’agricoltura. Inoltre, il Paese scandinavo
non è soggetto alla politica di sicurezza comune e, cosa assai
importante, può adottare in autonomia la politica commerciale e
stringere accordi bilaterali. Per il resto, la Norvegia si potrebbe
considerare un membro Ue che accetta in modo automatico le decisioni del
blocco relative al mercato unico, senza sedere ai tavoli in cui tali
regole vengono scritte. La Norvegia, inoltre, accetta la libera
circolazione di beni, persone, servizi e capitali.
Il modello
svizzero si distingue da quello norvegese per il ben più corposo numero
di accordi bilaterali (20 i principali, più ulteriori 100) che
regolano le diverse materie della relazione. Essi sono stati raggiunti
in un arco di tempo assai lungo, a partire dal 1972 (dall’adesione
svizzera all’Efta). “Questi accordi garantiscono l’accesso per le
imprese svizzere al mercato unico dell’Ue e disciplinano una serie di
settori di cooperazione tra la Svizzera e l’Ue” scrive Dbrs, ricordando
fra i passi fondamentali anche l’adesione al trattato di Schengen, nel
2004. Oltre al numero dei trattati, nella sostanza la differenza è che
ciascun cambiamento nelle leggi che regolano il mercato unico europeo
non viene automaticamente recepito, ma deve essere approvato via
referendum. Questo sistema rende i rapporti fra Ue e Svizzera
maggiormente “personalizzabili”. E’ stato spesso ribadito, però, che
nel caso britannico non sarebbe mai stata concessa una Unione Europea à la carte.
“Sebbene l’esclusivo modello della Svizzera con l’Ue offra
flessibilità, sta subendo esso stesso dei cambiamenti e potrebbe non
essere accettato dall’Ue come opzione per il Regno Unito nella sua
forma attuale”, ha precisato l’agenzia di rating. Inoltre, anche se
venisse realizzato quest’ultimo modello, il controllo sull’immigrazione
dall’Europa resterebbe una promessa disattesa da parte dei promotori
del Leave.
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