Fonte: Il Fatto Quotidiano di Luisiana Gaita | 29 Luglio 2019
Il
Rapporto 2019 di Legambiente evidenzia luci e ombre. Quasi il 10%
delle coste è interdetto alla balneazione per inquinamento e ci sono
situazioni di illegalità: a Ostia o di Pozzuoli "muri e barriere
impediscono addirittura di vedere il mare". Non mancano però gli esempi
virtuosi di stabilimenti green e plastic free. E in Puglia da tredici
anni la legge prevede che il 60% delle spiagge sia ad accesso libero
In Italia la percentuale di spiaggia libera è inferiore al 50% delle coste sabbiose ed
è sempre più spesso una spiaggia di serie b, vicino a foci dei fiumi,
fossi o fognature dove la balneazione è vietata. E nel nostro Paese
quasi il 10 per cento delle coste è interdetto alla balneazione per inquinamento. A ciò va aggiunto l’impatto di cambiamenti climatici, erosione e cementificazione selvaggia, ma anche i problemi legati ad accessibilità negata e concessioni senza controlli. In Liguria ed Emilia Romagna
solo il 30 per cento del litorale è ‘free’, ma è pur vero che dal nord
al sud della Penisola è boom degli stabilimenti green e sostenibili.
Questa la fotografia scattata da Legambiente nel
dossier ‘Spiagge 2019’, con dati e storie sulle spiagge libere e sul
mondo delle concessioni balneari tra esempi virtuosi e diritti negati.
“L’errore che non va commesso – spiega Edoardo Zanchini,
vicepresidente nazionale di Legambiente – è quello di continuare ad
affrontare gli argomenti separatamente, inseguendo la cronaca nel
periodo estivo dei danni da cicloni o erosione, di spiagge libere e in concessione (con le polemiche sui canoni e sulla famigerata Direttiva Bolkestein),
dell’inquinamento dei tratti di costa. Il paradosso, da cui dobbiamo
assolutamente uscire, è che nel nostro Paese nessuno si occupa di
coste”.
LE SPIAGGE LIBERE, UN MIRAGGIO – In Italia sono 52.619 le concessioni demaniali marittime, di cui 11.104 per stabilimenti balneari, 1.231 per campeggi, circoli sportivi
e complessi turistici, mentre le restanti riguardano altri utilizzi. Le
sole concessioni relative a stabilimenti e campeggi superano il 42% di
occupazione delle spiagge, ma se si aggiungono quelle relative ad
altre attività turistiche si supera il 50%. In Liguria ed
Emilia-Romagna, ad esempio, quasi il 70% delle spiagge è occupato da
stabilimenti, in Campania è il 67,7%, nelle Marche il 61,8%. In alcune aree il continuum di stabilimenti assume forme incredibili, come in Versilia,
dove sono presenti 683 stabilimenti sui 1.291 dell’intera regione.
Risalendo dal Porto di Viareggio fino al confine Nord del Comune di
Massa si possono percorrere lungo la spiaggia 23 chilometri a piedi con
accanto stabilimenti di ogni tipo e dimensione, dove saltuariamente
sopravvivono alcune strisce di spiagge libere che tutte assieme non
arrivano a un chilometro di lunghezza.
ILLEGALITÀ E DIVIETI DI BALNEAZIONE – Ci sono poi situazioni di illegalità che riguardano le coste come il caso di Ostia, nel Comune di Roma, o quello di Pozzuoli “dove muri e barriere – racconta Legambiente – impediscono addirittura di vedere e di accedere al mare, o di dune sbancate nel Salento per realizzare parcheggi e tirare su stabilimenti balneari”. Tutto ciò va aggiunto al fatto che quasi il 10% delle coste è interdetto
alla balneazione per ragioni di inquinamento. In Veneto oltre un quarto
della costa è in queste condizioni, mentre in Emilia-Romagna, Friuli
Venezia Giulia, Sicilia, Lazio oltre il 10% della costa rientra in
questa categoria. Se si considerano i tratti di costa non balneabili, un ulteriore 9,5% della costa risulta, quindi, non fruibile.
SPIAGGE E CONCESSIONI –
D’altro canto, in Italia non esiste una norma nazionale che stabilisca
una percentuale massima di spiagge che si possono dare in concessione,
ma tale scelta viene lasciata alle Regioni che il più delle volte
optano per percentuali molto basse. In Molise, ad esempio, la Legge
Regionale del 2006 prevede il 30% di spiagge libere, ma non è applicata
dai Piani strutturali comunali dei 4 Comuni costieri.
In Calabria la quota è del 30%, nelle Marche del 25%, mentre in
Campania ed Abruzzo solo del 20%. Addirittura in 5 Regioni (Toscana,
Basilicata, Sicilia, Friuli Venezia Giulia e Veneto) non esiste nessuna
norma che specifichi una percentuale minima di costa destinata alle
spiagge libere o libere attrezzate. La Sicilia non ha limiti per le
spiagge in concessione, ma ha approvato di recente nuove linee guida
per il rilascio delle concessioni demaniali marittime.
GLI ESEMPI VIRTUOSI – Nel rapporto emergono, però, anche esempi virtuosi come quello della Puglia che da tredici anni, grazie alla Legge Regionale 17/2006 (la cosiddetta Legge ‘Minervini’), ha stabilito il principio del diritto di accesso al mare per tutti e fissa una percentuale di spiagge libere del 60%. La Sardegna ha disciplinato l’esercizio delle funzioni amministrative in materia di demanio marittimo destinato ad uso turistico-ricreativo,
attraverso le ‘Linee guida per la predisposizione del Piano di
utilizzo dei litorali’. Legambiente ricorda che diverse sentenze della
magistratura hanno ribadito i poteri dei Comuni nel garantire i diritti
dei cittadini di fronte a concessioni balneari che impediscono il
libero accesso al mare.
IL NODO DEI CANONI – “Sul fronte economico – spiega Legambiente – permane la forte sperequazione
nella definizione dei canoni concessori, con situazioni paradossali che
fanno registrare il pagamento di canoni demaniali bassissimi per
concessioni spesso molto remunerative (spesso meno di 2 euro al metro quadrato all’anno). Ad esempio a Santa Margherita Ligure, il Lido Punta Pedale versa 7.500 euro all’anno, mentre l’hotel Regina Elena 6mila. Il Metropole versa 3.614 euro, il Continental 1.989. A Marina di Pietrasanta il Twiga di Briatore occupa una superficie di 4.485 metri quadri, per un canone di 16mila euro all’anno. A Forte dei Marmi il Bagno Felice versa 6.560 euro per 4.860 metri quadri. Nel complesso nel 2016 lo Stato ha incassato poco più di 103 milioni di euro dalle concessioni a fronte di un giro di affari stimato da Nomisma in almeno 15 miliardi di euro annui.
SCELTE SOSTENIBILI
– In questi anni, però, c’è stato un boom degli stabilimenti green.
“Dal Cilento al Salento, da Ravenna a Viareggio, passando per il Parco di Migliarino San Rossore per arrivare all’area protetta di Torre del Cerrano – racconta il report – sono tanti gli stabilimenti che vivono una svolta green, scegliendo ad esempio di essere ‘plastic free’ e di coinvolgere i bambini in progetti di educazione ambientale”. Lo fa il Lido Idelmery, ad Arma di Taggia in Liguria, con un progetto di gestione della Posidonia spiaggiata. Ci sono stabilimenti impegnati nel recupero delle dune costiere come la Poseidonia Beach Club (Marina di Ascesa, in Campania) e la Rete delle imprese della Marina del Parco (Toscana). Quest’ultima, costituita da 20 stabilimenti di Viareggio e dell’area della Darsena e poi Bagno Teresa,
ha ricostruito la duna sabbiosa rinunciando alla vista mare del
ristorante dello stabilimento, che usa prodotti a km zero. C’è chi è in
prima linea per difendere le tartarughe marine come i Lidi Tartalove
– Maremma e chi, come il comune di Montesilvano, in Abruzzo, ha
attivato dal 2009 il progetto delle spiagge accessibili, due spiagge
libere prive di barriere, allestite dal comune. Non mancano, infine, le
esperienze virtuose su scala regionale come quelle sulla costa veneta e
sulla costa pugliese, dove Confartigianato ha promosso l’opzione plastic free su 200 stabilimenti balneari e quella del progetto Costa Toscana Sostenibile.
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