di Roberto Marchesi | 11 maggio 2014
Lui è a capo di Appaloosa, un Hedge Fund che, come tutti gli hedge funds (fondi protetti) raccoglie soldi tra risparmiatori qualificati (non il grande pubblico) e li investe nel mercato utilizzando tutte le più moderne tecniche finanziarie inventate dagli speculatori professionali.
La protezione, di cui al nome (hedge), non si riferisce però al fondo
in se stesso (che non è protetto contro eventuali perdite) ma al modo
nel quale i soldi vengono investiti. Usando le tecniche più emancipate
di investimento finanziario viene assunto presuntivamente che il denaro
investito potrà dare un maggiore ritorno, e per “Appaloosa” è andata
certamente così negli ultimi due anni, ma in questo tipo di operazioni
ad alto rendimento ed alto rischio, la bravura non basta, occorre anche
una buona dose di fortuna, e quella può girare in ogni momento.
Comunque
per ora il gioco vale la candela, e Tepper (insieme agli altri come
lui) ha scoperto che speculando sui risparmi degli altri si possono
guadagnare milioni (anzi, miliardi!) senza far troppa fatica, perché sui
loro particolari investimenti i gestori di questi fondi caricano
commissioni note con la formuletta “2 e 20”, ovvero la
commissione fissa del 2% sul capitale investito e il 20% del guadagno a
operazione conclusa (ovviamente, se c’è un guadagno!). Appaloosa
ha distribuito nel 2013 ai suoi investitori il 42% del guadagno
realizzato, il resto, tolte le spese non enormi della sua snella
struttura finanziaria, se lo è intascato lui. Può essere che abbia
dovuto dividere il malloppo con qualcuno dei suoi principali
collaboratori, ma ciò non è dato sapere, poiché questi personaggi non
rilasciano normalmente né dichairazioni né tantomeno interviste.
La
rivista americana “Institutional Investor Alpha” ha pubblicato
recentemente proprio una classifica di questi “bravissimi” gestori, pubblicata parzialmente anche dal NYT. Questa classifica è capeggiata appunto dal “campione”, David Tepper, seguito a distanza (“solo” 2400 milioni!) da Steven Cohen e, al terzo posto, con 2300 milioni, il più noto di tutti (qui in America) al pubblico non investitore tradizionale, quel John Paulson che
è stato il campione assoluto degli Hedge Fund managers nel 2008-2009,
quando milioni di risparmiatori in tutto il mondo perdevano grosse
fette dei loro risparmi e lui, più di tutti, arraffava e intascava
montagne di dollari con operazioni al ribasso perfettamente impostate da tempo, diventando di colpo miliardario (vedasi mio articolo del 24/4/2010: “Goldman, ecco la madre di tutte le speculazioni”).
Ma questo modo di far soldi può davvero essere considerato meritocratico?
Sotto
il profilo professionale si, perché richiede non solo una conoscenza
approfondita di tutte le più sofisticate tecniche finanziarie ma anche
l’abilità di usarle nel modo giusto e al momento giusto. Probabilmente
occorre anche, come nel gioco d’azzardo, una buona dose di fortuna.
Tutta questa bravura sul piano personale non basta però a
riconoscere valore economico e sociale agli Hedge Funds (così come alla
maggior parte degli investimenti finanziari). Gli hedge funds infatti non creano nessuna ricchezza vera,
spostano solo ricchezza dalle tasche di alcuni investitori a quelle di
altri (inclusi gli stessi gestori), oppure, peggio, creano solo bolle che
presto o tardi andranno a scoppiare, lasciando ad altri l’onere di
riempire il vuoto che loro hanno creato con le loro speculazioni.
Proprio a questo proposito interviene Krugman nel
suo articolo di giovedi’ 8 maggio sul NYT, affermando in sostanza che,
mettendo a confronto i guadagni di questi 25 gestori con quelli di
una moltitudine di professori e insegnanti americani, si può notare
agevolmente la crescente disuguaglianza nelle economie occidentali.
Infatti i gestori degli hedge-funds sono certamente molto bravi, ma
qualcuno può forse sostenere che nella miriade di professori e
insegnanti americani non ci siano almeno 25 individui altrettanto bravi?
Eppure se prendiamo a confronto, per esempio, il guadagno di tutti gli
insegnanti di Kindergarten americani messi assieme, ci accorgiamo che
è meno della metà del guadagno di quei soli 25 managers.
Tutto
questo però non è negativo solo sotto il profilo della disuguaglianza
attuale, ma anche in quella di medio e lungo periodo, perché nel
sistema sempre più tendenzialmente oligarchico del modello capitalista manca ormai marcatamente la capacità di redistribuire la ricchezza
con eguaglianza e lungimiranza. Quindi senza sostanziali e urgenti
correttivi quel modello finirà per inaridirsi e scomparire come è già
successo ad altri modelli di società organizzate. Ovvero, ciò che dice
con proprietà e convinzione Thomas Piketty nel libro “Il Capitale nel Ventunesimo secolo”.
p.s.
nomi
quasi sconosciuti che decidono, con il potere dei soldi che gestiscono
senza regole, del destino di milioni di persone e di interi stati:
possiamo permettere tutto ciò?
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