Sapere è sempre meglio dell'ipocrisia di chi non vuole
assumersi la responsabilità delle proprie azioni......ma soprattutto lo
posto per evidenziare come sempre in questo paese sia il consumatore, ex
cittadino, a pagarne le scelte scellerate di chi gioca al dr.
stranamore; e non è per quanto riguarda l'argomento del post: non è un
caso che, ad esempio, nonostante la c.d. authority e il referendum, le
tariffe sull'acqua siano aumentate del 85% e le assicurazioni del
130%!!!!!
dal Fatto Quotidiano di Guido Scorza | 5 luglio 2014
“Non
saranno i consumatori a pagare” gli oltre 150 milioni di euro all’anno
che il nuovo decreto firmato lo scorso 20 giugno dal Ministro
Franceschini ma, misteriosamente, non ancora pubblicato sul sito del Ministero dei Beni e delle Attività culturali
dispone siano versati da chi distribuisce, nel nostro Paese,
smartphone, tablet, Pc, chiavette Usb ed una miriade di altri analoghi
dispositivi e supporti di registrazione.
E’ questa la linea di difesa con la quale il ministro dei Beni e delle attività culturali Dario Franceschini ed i vertici della Siae – dal Presidente, Gino Paoli al Direttore Generale, Gaetano Blandini – utilizzano, ormai da mesi, per scongiurare il rischio che milioni di cittadini italiani vivano gli aumenti tariffari
che la Siae ha chiesto ed il ministro ha prontamente disposto, come un
ingiustificato ed inaccettabile prelievo forzoso dalle loro tasche.
Molto
meglio, naturalmente, tanto per il ministro – che soffre di un
evidente calo di popolarità – che per la Siae – alla quale la manovra
garantirà diversi milioni di euro all’anno, indispensabili per
mantenere a galla le proprie scalcinate finanze –
raccontare in giro che il c.d. equo compenso per copia privata, non è
questione che possa o debba interessare i consumatori, perché a pagarlo
dovranno essere le grandi e multimilinonarie corporation
dell’elettronica di consumo che, peraltro – si è spesso lasciato
intendere e detto espressamente in alcune posizioni ufficiali della
Siae – pagano briciole di tasse nel nostro Paese.
E’, però, una straordinaria e, ad un tempo, puerile balla istituzionale.
E’, infatti, la stessa disciplina europea a stabilire che l’equo compenso debbano pagarlo i consumatori
sul presupposto che utilizzino taluni supporti e dispositivi per fare
una “copia privata” di opere musicali o cinematografiche regolarmente
acquistate ed ad ammettere – in via eccezionale e, esclusivamente per
una questione di praticità di prelievo – che le regole
nazionali possano prevedere un obbligo di versamento del compenso da
parte dei produttori e distributori che sono, evidentemente, di meno e
più facilmente identificabili.
Pacifico per tutti – salvo per chi voglia negare, ad arte, questa elementare verità – che produttori e distributori
possono e, anzi, devono, in una logica di business, ribaltare poi tali
compensi sui consumatori finali, inglobandoli nel prezzo di vendita.
E’ una conclusione tanto elementare che, dal primo aprile, in Francia
– Paese al quale, all’unisono, il ministro Franceschini e la Siae hanno
detto di aver guardato nel disporre gli aumenti tariffari che stanno
per abbattersi sugli italiani – è obbligatorio, per legge, esporre la
misura del prezzo di ogni supporto e dispositivo imputabile a equo
compenso da copia privata.
Ma, ieri, le posizioni ufficiali del
ministro Franceschini e della Siae sono state definitivamente smentite e
sconfessate addirittura dall’Autorità Garante per la concorrenza ed il
mercato che nell’indirizzare al Parlamento ed al Governo la sua consueta segnalazione ai fini della predisposizione della Legge annuale per il mercato e la concorrenza [pag. 16] ha avvertito l’esigenza di riservare un capitolo proprio alla questione della “copia privata”, raccomandando, di modificare, senza ritardo, la legge sul diritto d’autore, per prevedere espressamente che “l’ammontare dell’equo compenso sia specificato nel prezzo corrisposto dai consumatori per acquisti di apparecchi di registrazione e di supporti vergini”.
Curioso,
se fosse vero – come da mesi sostengono il ministro Franceschini e la
Siae – che l’equo compenso devono pagarlo i produttori e distributori
di tecnologia, che l’Antitrust si sia presa la briga di raccomandare a
Parlamento e governo di obbligare chi vende tecnologia ad informare i
consumatori delle tariffe sulla copia privata.
A questo punto non resta che augurarsi che i distributori di tecnologia
anticipino il Parlamento ed il governo ed inizino subito ad esporre,
accanto a tutti i prezzi di dispositivi e supporti gravati da copia
privata, indicazioni ben visibili che diano atto del fatto che quando
compriamo uno smartphone o un tablet 4/5 euro in più – a seconda della
capacità di memoria – sono dovuti a titolo di equo compenso secondo le
nuove tariffe stabilite dal ministro Franceschini su proposta della
Siae.
Così, almeno, gli italiani inizieranno a farsi un’idea – e non dimenticheranno – di chi è la responsabilità, almeno politica, di certe scelte irrazionali ed anti-innovative.
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