Fonte: Il Fatto Quotidiano
L’agenzia di rating Standard&Poor’s ha declassato l’Italia. Il rating della Penisola scende da BBB a BBB-, un gradino sopra il livello “junk”, cioè spazzatura. “Il forte aumento del debito, accompagnato da una crescita perennemente debole e bassa competitività,
non è compatibile con un rating BBB secondo i nostri criteri”,
spiegano gli analisti. La decisione riflette la revisione al rialzo
della stima sul debito pubblico, che a fine 2017 è visto in salita a
2.256 miliardi di euro, 80 in più rispetto al livello attuale e,
escludendo il contributo al Fondo europeo di stabilità finanziaria
(Efsf), raggiungerà un picco del 133% del Pil nel 2016 per poi
stabilizzarsi al 127%. Al tempo stesso l’agenzia ha limato la
previsione sull’andamento del prodotto interno lordo e ritiene che l’inflazione continuerà a mantenersi troppo bassa.
L’outlook resta però stabile, perché S&P si aspetta che il governo Renzi attui le riforme necessarie a ridare competitività all’economia mantenendo livelli di spesa sufficienti a contrastare l’eccesso di debito. Una mano arriva anche da Mario Draghi: dopo le sue dichiarazioni di giovedì, gli analisti di S&P sono convinti che la Bce “lavorerà
per riportare a livelli normali” l’inflazione italiana e quella dei
Paesi europei che ne sono i principali partner commerciali.
Nella nota in cui abbassa il nostro rating, S&P spiega anche come si aspetti un’uscita dalla recessione
dell’Italia nella prima parte del 2015. Ma la crescita del Pil sarà
modesta, solo +0,2%, rispetto al +1,1% finora previsto. L’agenzia di
rating ricorda come l’esecutivo di Roma si aspetti invece una crescita
dello 0,7% nel 2015, per arrivare a un +1,9% nel 2017. Numeri viziati,
secondo l’agenzia, da un eccessivo ottimismo sui consumi, che invece resteranno deboli, e dalla situazione del mercato del lavoro complessa, con la disoccupazione ai massimi storici. Smentite anche le stime del Tesoro sul rapporto deficit/Pil:
nel periodo 2014-2017 secondo Standard&Poor’s si manterrà al 2,7%,
ben più alto del 2,1 per cento previsto da via XX Settembre ma anche
sopra il 2,5% prefigurato in precedenza dalla stessa S&P. Il
ritocco è legato al calo della previsione del Pil medio
tra 2014 e 2017, passato da +1% a +0,5 per cento, all’aumento delle
spese primarie compresi gli interessi sul debito fino al 2015 e alla
riduzione delle entrate fiscali.
S&P contesta anche i notoriamente insufficienti risultati della spending review,
che negli auspici del governo avrebbe dovuto garantire entro
il 2016 32 miliardi di euro di tagli, pari al 2% del Pil. L’agenzia non
è convinta di queste cifre, perché “nel medio termine mancano i
dettagli del piano” e il rischio che i risparmi restino sulla carta è
reale, soprattutto a causa dell’inflazione bassa.
Giudizio parzialmente positivo sul Jobs Act, “che si propone di affrontare il dualismo
del mercato del lavoro italiano”. Secondo S&P è “un segno della
volontà del governo di perseguire politiche adeguate per un Paese membro
di un’unione monetaria che comprende alcuni dei Paesi esportatori più
competitivi”. Servirebbe però anche più contrattazione decentrata,
perché oggi il meccanismo di fissazione dei salari
ostacola il recupero della competitività. Una maggiore flessibilità del
mercato del lavoro potrebbe, per S&P accelerare un adeguamento
salariale. Ma l’agenzia segnala anche come la riforma nel breve periodo non creerà occupazione,
e “di conseguenza, la già elevata disoccupazione potrebbe peggiorare
fino a quando non ci sarà una ripresa economica sostenibile”. Nel medio
termine, tuttavia, le misure potrebbero essere efficaci, se applicate
anche al secondo livello di contrattazione. Continuano poi a pesare i
soliti fattori che scoraggiano gli investitori stranieri a puntare
sull’Italia: servizi non riformati, sistema giudiziario lento e costoso, alte spese legali e amministrative, elevati costi di licenziamento per i dipendenti a tempo indeterminato. Inoltre il costo all’ingrosso dell’energia
rimane sostanzialmente superiore, anche a causa dei monopoli presenti
nel settore.Solo venerdì mattina il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, in visita a Francoforte per incontri con imprenditori e un convegno organizzato dal quotidiano Die Welt,
ha difeso la politica economica del governo dicendo tra l’altro che
“il debito italiano è sostenibile” e lo si vede “dal surplus primario
che solo Germania e Italia (salvo che nel 2009) hanno mantenuto
positivo”. In linea con la campagna di “marketing” sui conti pubblici italiani lanciata su Twitter con l’hashtag #prideandprejudice,
il titolare del Tesoro ha aggiunto che “il debito italiano non
continua a salire e se sale non è colpa dell’Italia. Se ci fosse un’inflazione
in equilibrio all’1,8%, una crescita reale dell’1% e una crescita
nominale di circa il 3%, il debito pubblico sarebbe in un sentiero di
discesa rapidissimo”. Peccato che oggi il livello di inflazione sia in calo e in novembre si sia fermato allo 0,2%.
Ma per il governo basta vedere il bicchiere mezzo pieno. Non per
niente fonti di Palazzo Chigi hanno fatto sapere di vedere nel
declassamento un “lato positivo”, perché l’agenzia vede “elementi buoni
nelle riforme strutturali”, anche se “non tali da compensare l’aumento
del debito e risvegliare l’economia nel breve”. Secondo le stesse
fonti, “non si tratta di una bocciatura del Jobs act, anzi S&P dice che le riforme vanno bene ma bisogna andare più veloce”.
p.s.
in
pratica, come da anni pochi fessi (fra cui il sottoscritto) vanno
dicendo, la ricetta non solo è sbagliata ma ammazza il malato.. ammesso
che di malato si possa parlare perchè risulta sempre più chiaro che il
vero problema non era, e non è, il debito o l'economia ma quello di
parificare le economie allo stesso livello e aprire i mercati alle
aziende con il minor numero di regole possibile: se tutto è mercato
tutto si domanda e tutto si offre al prezzo minore e al profitto
maggiore....... e ciò può avvenire solo se si perde il filo democratico
degli stati e si pensa solo al proprio piccolo interesse particolare:
polticamente lo Stato non ha altro compito che quello di ricoprire le
falle e i debiti dei mercati e dall'altro quello di vigilare a che
nessuno disturbi i manovratori. Hai voglia a parlare di democrazia,
elezioni, ecc. qui quello che conta è il consumismo non l'economia
reale; l'assalto ai negozi per black friday e non cittadini consapevoli
del proprio destino... un parco buoi e non un pianeta che sceglie cosa e
dove andare.... ma "i talk to the wind... (libera citazione dal LP XXI
century schizoid man" dei King Crimson, che di "schizoidi" ne sapevano
eccome)": mettete insieme tutti i tasselli (dal WTO al TTIP) e vedrete come il quadro si completa!
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