Fonte: dal Fatto Quotidiano a firma di Alessandro Cannavale del 8 dicembre 2014
“Nell’Italia settentrionale, accanto a una generale ignoranza dell’entità degli oneri finanziari che i comuni meridionali
sopportano per l’istruzione elementare proporzionalmente alla
potenzialità dei loro bilanci, è diffuso il preconcetto che i contributi
dello Stato siano tanto ingenti e così saggiamente distribuiti che
solo quella buona dose di indolenza e mal volere, che suolsi attribuire
ai meridionali in genere, possa spiegare il costante insuccesso della
nostra legislazione scolastica nell’Italia meridionale”.
Pensate
che scriva il solito meridionalista, intento a perorare la causa
stantìa della sua terra e della sua gente? Devo smentirvi. Siamo agli
inizi del Novecento. Scrive Giuseppe Donati. Giornalista e politico di Granarolo. Settentrionale onesto e coraggioso. L’articolo è del 1912: “L’analfabetismo e la legge Credaro nel Mezzogiorno”.
Vi sottolinea l’assurdità della legge scolastica del tempo, che
attribuiva ai comuni gli oneri della lotta all’analfabetismo. E così, in
provincia di Bari, ci si trovava a spendere il 20% del budget per l’istruzione,
mentre, in quella di Milano, solo il 9%. Superfluo ricordare che i
comuni meridionali avevano risorse assai più esigue, al di là delle
percentuali d’incidenza.
Ne cito il brano centrale, che motiva questa digressione: “Incominciò
così, [parliamo del 1876] il vizio organico della nostra politica
finanziaria di Stato: cioè prendendosi a base dei contributi dello Stato
le scuole esistenti di fatto, questi contributi si trovarono
distribuiti fra i comuni in ragione non della povertà, ma della
ricchezza; cioè i comuni più ricchi, capaci di istituire maggior numero
di scuole, assorbirono una maggiore quantità di contributi statali. In
altre parole, la maggior parte degli aiuti affluì spontaneamente nei
comuni meno disagiati del nord”.
Storie vecchie? Roba che
porta addosso odor di vecchi archivi? Devo smentire, ancora. Abbiate
ancora un briciolo di pazienza e forse sarò in grado di spiegare per
quale ragione ho dovuto scomodare l’illustre Donati.
Qualche sera fa mi giunse, via Facebook, questo messaggio da Marco Esposito, stimatissimo giornalista de Il Mattino, che divulgo, a seguito di sua approvazione: “Fa’ un piccolo esercizio: vai su www.opencivitas.it
e clicca su un comune del Sud a caso. Vedi quanti soldi sono assegnati
come fabbisogno standard per gli asili nido. Poi cerca un comune con
simile popolazione del Nord e fai il confronto sui fabbisogni assegnati.
Ripeti l’esercizio per quanti esempi vuoi. I fabbisogni standard
saranno utilizzati per ripartire una quota delle risorse del 2015. Più
bassi sono i fabbisogni, meno risorse avrai”.
Non ne sapevo nulla. Lo ammetto. Scopro che lo stesso Esposito, già nel marzo 2014, scriveva: “Quando
il Sud spende troppo, si applica con rigore (come giusto) il costo
standard, quando il Sud spende poco – come per gli asili nido e le
scuole – a sorpresa vale la famigerata «spesa storica», proprio quella
che il federalismo fiscale prometteva di superare”.
Decisamente incuriosito, vado su www.OpenCivitas.it e lo consulto per due comuni a caso; Milano e Napoli.
Poi comincio a guardare per decine di comuni; ecco cosa ho trovato… La
spesa storica per la voce asili nido, per il comune di Napoli, è di 33
milioni circa, il fabbisogno di 15 milioni. Differenza: - 52%. A Milano, la spesa storica
è di 117 milioni, mentre il fabbisogno standard è di 128 milioni, con
una differenza del +9.1%. Nei comuni in cui, invece, nel 2010 non si
sono effettuate spese per asili nido, il fabbisogno assegnato diventa 0
euro, anche per il prossimo 2015. Ciò significa che il dato Comune non
potrà nemmeno avviare nuovi servizi di asilo, all’occorrenza. Ciò vale
per tantissimi comuni… Andate a vedere…
Facciamo chiarezza: il
concetto di “spesa storica” misura l’ammontare effettivamente speso da
un Ente in un dato anno per l’offerta di servizi ai cittadini. I Fabbisogni Standard misurano invece il fabbisogno finanziario
di un ente in base alle caratteristiche territoriali e agli aspetti
socio-demografici della popolazione residente. È davvero una singolare
circostanza il fatto che proprio su due voci, quella della spesa per gli
asili e quella per l’istruzione, dove maggiore è lo sbilanciamento tra
Nord e Sud, si sia scelto di cristallizzare lo status quo,
prolungandolo sull’asse temporale. Sono state avanzate diverse proposte
per superare il problema, ma, al momento, non ho trovato notizie in
merito a cambi di rotta.
“Lo Stato, dunque, prendeva, per
mezzo delle tasse, denaro da tutta Italia – e ne prendeva,
relativamente alla ricchezza, più dal sud povero che dal nord ricco – e
il provento di queste tasse lo adoperava non per aiutare i più poveri,
ma per migliorare i più ricchi”. Ancora Donati. Non Esposito…
p.s.
a
proposito dei primi anni post unitari che è: assodato che tasse,
tariffe e altro del regno di sardegna erano molto più alti del resto
dello stivale; che il porto commerciale del regno delle due sicilie era
"molto" pericoloso non solo per gli interessi "sardi" ma pure, e questo
contava molto di più, per quelli inglesi; che il modello "francese" di
stato accentrato fu imposto proprio per evitare spinte aunomiste.. come
quelle milanesi; che il famoso tesoro che i piemontesi avrebebro rubato
non era tanto quello raccontato quanto la ricchezza delle economie degli
altri regni.... un regno di rapina per uno neonato stato che rapinava
una parte dello stivale per sorreggerne un altra.. è già un miracolo che
sia durato tanto!
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