giovedì 19 febbraio 2015

Il piano B?

Piano B? Finisce qui l'alfabeto di Tsipras? Perchè la delusione dev'essere forte se l'alfabeto della sinistra greca se ha solo due....... lettere. Si poteva fare altrimenti: certo; gli esempi non mancano: dall'islanda all'equador ce ne sono a iosa e invece la montagna ha prtorito il topolino: hanno chiesto ai cravattari una proroga, un pò poco perchè tanto valeva non fare tutta sta manfrina e farlo subito senz indugi evitando le montagne russe di questi giorni che, a posteriori, si è autorizzati a pensare fossero solo per tener calmo il fronte interno facendo passare una sonora sconfitta per una vittoria del popolo!!!! Per citare un precedente: Kadesh dice nulla? Fu una semi sconfitta o al massimo un pareggio per gli egiziani, contro gli ittiti, ma in patria passò per una "folgorante" vittoria.... contenti loro. D'altronde se avessero letto i report interni del FMI sapevano, se avessero saputo leggere fra le righe, cosa si doveva fare ma dalle rape non si cava sangue, vero?  Era già tutto previsto? Si, due esempi:
1. di Stefano Feltri | 18 febbraio 2015 Fatto QuotidanoPerché Atene sta già per capitolare
Il bluff sta per finire: domani si capirà se la Grecia di Alexis Tsipras preferisce tradire le sue promesse elettorali o uscire dall’euro e dall’Unione europea. Secondo le indiscrezioni che Bloomberg rilanciava ieri sera, il governo greco sarebbe orientato a chiedere un’estensione del programma imposto dalla Troika che scade il 28 febbraio. Ci saranno condizioni un po’ diverse, certo, ma alla fine Angela Merkel potrà spiegare agli elettori tedeschi che i greci rimangono sotto la tutela europea e non vengono lasciati liberi di cancellare tutte le riforme dell’austerità di questi anni.
Tsipras spiegherà in Grecia che ha vinto perché la Troika non si chiamerà più Troika, anche se i creditori (Unione europea, Fondo monetario, Bce) continueranno a vigilare sui 240 miliardi che hanno prestato alla Grecia in questi anni.
La rottura dei negoziati lunedì sera all’Eurogruppo ha spinto tutti a riflettere sull’ipotesi che davvero Atene possa essere congedata dall’Unione e dall’euro: niente riforme e niente austerità significano niente più finanziamenti a uno Stato che ha le casse vuote. Sempre Bloomberg ha raccontato il clima al vertice dell’Eurogruppo a Bruxelles: il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schauble, avrebbe “perso le staffe” e spiegato al suo omologo greco Yanis Varoufakis che rimanere nell’euro “è una decisione interamente nelle mani della Grecia”. E il premier Tsipras ha ripetuto che “l’austerity è morta” e che non accetta compromessi.
Ma la politica si ferma dove cominciano le esigenze concrete della finanza. Le banche greche stanno affrontando da dicembre, quando sono state convocate le elezioni anticipate, una fuga di capitali verso l’estero, almeno 7,6 miliardi di euro. Fiumi di denaro continuano a lasciare il Paese, come dimostra la decisione della Bce di Mario Draghi di alzare da 60 a 65 miliardi la linea di credito di emergenza Ela in questi giorni di tensione. E, secondo la stampa greca, non sarebbero già più abbastanza. Sul Financial Times di ieri l’economista tedesco Hans-Werner Sinn sottolineava il paradosso di questa situazione: “In definitiva i cittadini degli altri Paesi europei, senza che nessuno li abbia consultati, stanno fornendo credito a proprio rischio e pericolo per consentire ai greci benestanti di spostare i loro capitali al sicuro”.
I piccoli risparmiatori o i tanti ateniesi ridotti in povertà dalla austerità non hanno ingenti depositi da spostare all’estero. I ricchi – spesso evasori – invece sì. Hans-Werner Sinn suggerisce quindi che ci dovrebbe essere un blocco ai movimenti di capitale, come a Cipro nel 2013 durante la crisi bancaria che portò all’arrivo della Troika. Una crisi bancaria spingerebbe la Grecia fuori dall’euro ma le misure che servono a evitarla certificherebbero comunque la fine della moneta unica. Per questo Tsipras non ha altra scelta se non cedere.

2. di F. Q. | il Fatto Quotidiano del 19 febbraio 2015 titolo: Grecia, Atene chiede alla Ue estensione del prestito. Ma Berlino dice no

Sembrava una schiarita. Invece i contenuti della richiesta di proroga degli aiuti presentata giovedì mattina da Atene all’Eurogruppo provocano l’immediato niet di Berlino. E a poco valgono le prese di posizione della Commissione e del Parlamento Ue, che gettano acqua sul fuoco: si torna alla casella di partenza, o quasi. Il governo di Alexis Tsipras, come comunicato via Twitter dal presidente del consiglio dei ministri dell’Economia dell’Eurozona Jeroen Dijsselbloem, ha inviato a Bruxelles una lettera in cui chiede l’estensione per 6 mesi del programma di assistenza finanziaria in scadenza il 28 febbraio. E venerdì alle 15 è convocata a Bruxelles una nuova riunione dell’Eurogruppo per discutere della proposta, dopo il fallimento di quella di lunedì scorso. Ma, appunto, la cancelleria di Angela Merkel ha subito fatto sapere che le condizioni chieste dall’esecutivo a guida Syriza – in sostanza stop alle misure di austerity – sono inaccettabili. “La lettera di Atene non presenta alcuna proposta di soluzione sostanziale“, ha detto all’agenzia Dpa Martin Jaeger, portavoce del ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble. Spiegando che la richiesta è quella di un finanziamento ponte, ma senza adempiere alle richieste del programma. Di conseguenza “lo scritto non corrisponde ai criteri stabiliti nell’Eurogruppo di lunedì”. Poco dopo il vice cancelliere Sigmar Gabriel ha detto: “La proposta greca sia finanziata dai greci stessi”. Come dire che dalla Repubblica federale altri soldi non arriveranno. Una reazione che ha “sorpreso” il presidente del Parlamento Ue Martin Schulz, secondo cui “la lettura della lettera mostra che la Grecia si è mossa parecchio. Rinuncia a molte cose che fino all’altro ieri erano indicate come ‘non trattabili'” e comunque “non abbiamo tempo per dibattiti ideologici“. Dopo la chiusura di Berlino la strada è in salita – Altro che “segno positivo che spiana la strada a un compromesso ragionevole nell’interesse di tutta l’Eurozona”, come aveva commentato a caldo il portavoce del presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker. Secondo il quale il governo Tsipras ha chiesto “l’estensione del Master financial assistance facility agreement, che in termini legali è il riferimento all’attuale programma”. Vale a dire quello che va a braccetto con il memorandum e le politiche di austerità concordate dai precedenti esecutivi con la troika, il trio dei creditori formato da Ue, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale, che nel complesso hanno concesso al Paese oltre 240 miliardi di euro di aiuti. Anche se il Fondo, per parte sua, ha chiarito che il suo programma di aiuti “scade nel marzo del 2016″, “in questa fase non c’è bisogno di prorogarlo” e comunque “è flessibile“. Atene per parte sua ha subito chiarito di “non aver richiesto un’estensione del memorandum“. Per averne conferma basta leggere la missiva originale, che chiede appunto un allungamento del prestito per “dare respiro” alla società e avere il tempo necessario “per negoziare con i partner senza ricatti e tempi stretti”. Il Paese promette di impegnarsi “all’equilibrio dei conti e, contemporaneamente, a fare le riforme contro l’evasione fiscale e la corruzione” e di astenersi da azioni unilaterali che minerebbero il raggiungimento degli obiettivi fiscali e accetta che l’estensione sia monitorata da una supervisione di Ue, Bce e Fmi, ma nel documento non sono mai citati i termini “troika” né “salvataggio“. E Varoufakis, che firma il testo, ricorda poi che “le procedure di accordo dei governi precedenti sono state interrotte dalle recenti elezioni” e, “di conseguenza, molte delle disposizioni tecniche sono state invalidate“. Non solo: scopo della richiesta di estensione di sei mesi è “concordare i termini finanziari e amministrativi mutualmente accettabili” e “avviare il lavoro tra i gruppi tecnici per un possibile nuovo Contratto per la ripresa e la crescita che le autorità greche prevedono tra Grecia, Europa ed Fmi che potrebbe seguire l’attuale accordo”. Come dire che questo è solo il punto di partenza per il “vero” negoziato”. Nel frattempo, Atene chiede che la Bce torni ad accettare i bond di Atene come garanzia in cambio di liquidità, cosa che ha fatto fino al 4 febbraio quando il consiglio ha deciso di non concedere più quella deroga. E la lettera si conclude con l’auspicio che tutto questo permetta al governo greco di “avviare le sostanziali, profonde riforme necessarie per ripristinare gli standard di vita di milioni di cittadini greci attraverso una crescita economica sostenibile, un livello di occupazione dignitoso e coesione sociale”. Dalla Bce ossigeno alle banche. Ma i soldi basteranno solo per pochi giorni - La richiesta del governo a guida Syriza arriva il giorno dopo che la Bce ha aumentato di 3,3 miliardi, portandolo a 68,3, la fornitura di linee di credito di emergenza alle banche elleniche tramite l’Emergency liquidity assistance (Ela), il sistema di ultima istanza che assiste gli istituti in “temporanea crisi di liquidità”. E ha allungato fino al 5 marzo la possibilità di accedervi. Una flebo senza la quale le banche greche, alle prese con una fuga dei depositi che negli ultimi due mesi ha superato quota 20 miliardi, andrebbero gambe all’aria. Secondo la Frankfurter Allgemeine Zeitung l’Eurotower, per arginare l’emorragia, ritiene ragionevole addirittura l’introduzione di controlli sulla circolazione dei capitali nel Paese. L’indiscrezione in mattinata è stata smentita da un portavoce della Bce. Resta il fatto che gli istituti sono in serissima difficoltà e i soldi messi a disposizione basteranno solo per pochi giorni: solo la scorsa settimana hanno attinto ai fondi dell’Ela per un totale 51,7 miliardi, contro i 5,85 miliardi dei precedenti quindici giorni. Non per niente, secondo l’agenzia Reuters, il governatore della Banca centrale di Atene aveva chiesto che il tetto fosse alzato di altri 10 miliardi. Pretesa ridimensionata in seguito all’opposizione di alcuni membri del consiglio direttivo presieduto da Mario Draghi. E il padre nobile della Ue Giscard d’Estaing tifa per la Grexit - Sullo sfondo continua a incombere lo spettro dell’uscita della Grecia dalla moneta unica, la cosiddetta Grexit. L’ex presidente francese Valery Giscard d’Estaing, in un’intervista al quotidiano francese Les Echos, auspica oggi proprio questo esito: che il Paese “lasci l’euro” con una “friendly exit“, perché “non può risolvere i suoi problemi se non riavrà a disposizione una moneta svalutabile“. Secondo uno dei padri fondatori dell’Unione europea, “la questione fondamentale è sapere se l’economia greca può ripartire e prosperare con una moneta così forte come l’euro. La risposta è chiaramente negativa. Ma invece di concentrarsi su questo argomento di fondo e rispondere, gli europei si focalizzano sul debito greco”. “Assurdo”, secondo Giscard, “dire che si tratterebbe di una sconfitta dell’Europa”, anche perché “questa uscita consentirebbe di preparare un eventuale ritorno, più tardi”. Certo è, però, che si tratterebbe di un vulnus al dogma dell’irreversibilità dell’euro. Un salto nel buio che potrebbe aprire la strada ad altri “divorzi” dalla moneta unica, minandone la credibilità a livello globale. Anche se Standard & Poor’s, in un report appena diffuso, prefigura “rischi limitati” di contagio. Ma i mercati credono nella possibilità di un accordo - I mercati, comunque, sembrano credere nella possibilità di un accordo. Giovedì, dopo aver aperto deboli, hanno infatti recuperato terreno in seguito all’annuncio della richiesta del governo greco. In corrispondenza con il no tedesco hanno azzerato i guadagni, ma sono poi tornati in positivo. Atene, che in avvio di seduta segnava -0,44%, a fine mattinata è arrivata a guadagnare quasi il 4 per cento per poi ripiegare a +1,6 per cento. Piazza Affari, che aveva aperto in calo dello 0,1%, ha virato in positivo. Per quanto riguarda i mercati obbligazionari, il tasso di interesse a dieci anni pagato dai titoli di Stato greci resta poco sopra il 10% e quello sui triennali sopra il 18 per cento.

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