dal Fatto Quotidiano del 23 dicembre 2015 a firma del Vicedirettore de Il Fatto Quotidiano Stefano Feltri
“Non ci sono tagli alla sanità”. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi
lo ha ripetuto così tante volte che viene la tentazione di crederci.
Invece nella legge di Stabilità i tagli ci sono eccome e si sommano a
quelli delle manovre precedenti. L’analisi pubblicata ieri dall’Ufficio
parlamentare di bilancio, l’autorità indipendente che vigila sui conti
pubblici, è la smentita definitiva al premier e dovrebbe aprire un
certo dibattito. Perché a chi contesta i tagli c’è sempre chi risponde
che in sanità l’offerta genera la domanda, quindi è chiaro che più si
spende più i cittadini chiederanno di spendere, in un aumento senza
fine. Ma in Italia la spesa sanitaria è più bassa che nella media dei
Paesi ricchi dell’Ocse: 6,5 per cento del Pil contro il 6,8 medio. Quindi non spendiamo troppo, ma un po’ meno degli altri.
Meglio
quindi spostare la discussione su quanto si sta tagliando, con quali
criteri e con quali conseguenze. La legge di Stabilità porta il
finanziamento del Servizio sanitario nazionale nel 2016 dai 113,1 miliardi previsti a 111.
Che sono più dei 109,7 del 2015 ma meno di quelli sulla base dei quali
tutta la sanità pubblica aveva impostato i propri bilanci per l’anno
prossimo. A questi si aggiungono i tagli alle Regioni che possono
ricadere sulla sanità: il governo toglie 4 miliardi nel 2017 e 5,5 nel
2018 e nel 2019. Soldi che andranno trovati negoziando tra Palazzo Chigi
e governatori.
Se non si arriva a un accordo, ci pensa
l’esecutivo a tagliare la spesa “tra i settori di spesa regionale,
compresa dichiaratamente la sanità”, come scrive l’Upb. A tutto questo
si sommano gli effetti dell’austerità degli anni
scorsi: la legge di Stabilità 2015 combinata con il decreto enti locali
ha reso permanente un taglio da 2 miliardi che potrebbe aumentare se
gli altri settori non faranno i loro risparmi (per ora non indicati).
L’Upb dice che sembra “inevitabile” che la legge di Stabilità appena approvata dalla Camera colpisca ulteriormente la Salute. Il governo però ha scritto nel testo che viene garantito il “rispetto dei livelli essenziali di assistenza”
(Lea). Come? Non si sa. “Rimane da dimostrare la concreta compatibilità
tra la riduzione del finanziamento programmata e la sostenibilità del
servizio sanitario nazionale”, scrive l’Upb. Se il conto non torna, ci
sono solo due esiti: o si sforano i tetti di spesa, o peggiorano i
servizi.
Anche perché la spending review che
dovrebbe assicurare di concentrare i tagli sui famosi sprechi non
esiste. Come denuncia l’Upb, le azioni che dovrebbero migliorare il
rapporto tra costi per lo Stato ed efficacia della spesa “non sono
specificate, se non in piccola parte”. È tutto delegato a Regioni e
direttori generali. Provvedimenti come il contestato “decreto
appropriatezza”, quello che stabiliva criteri più stringenti per gli
esami rimborsabili, fanno risparmiare (106 milioni). Ma devono essere
concepiti per fare ordine ed evitare degenerazioni perché – nota l’Upb –
producono consistenti risparmi solo se intaccano anche le “prestazioni
efficaci”.
Queste riduzioni lineari di spesa
fatte con l’accetta si intersecano con una ristrutturazione profonda
del Servizio sanitario nazionale che riduce la costosa assistenza
ospedaliera (i posti letto sono passati da 4 per mille abitanti nel
2005 a 3,4 nel 2012, la media Ue è 5,3) e rafforza i servizi sul
territorio. Almeno nelle regioni in grado di gestirli: curare un paziente a casa costa meno
e garantisce un servizio migliore, ma richiede un coordinamento tra
amministrazioni efficienti e organizzate. Purtroppo il grosso delle
risorse continua a essere assorbito dalle regioni peggiori, mentre
quelle virtuose devono impazzire per trovare nuovi risparmi e sopperire
alla inefficienza di quelle che sprecano.
Le conseguenze
colpiscono, come spesso succede, soprattutto i più deboli: dai numeri
di Eurostat si scopre che c’è un 6 per cento di italiani che ha
rinunciato alle visite mediche perché troppo costose.
Ma la percentuale sale al 13,1 tra il 20 per cento più povero. Gli
scoraggiati da prezzi, liste d’attesa o distanza dal medico sono il 7,1
nella popolazione generale ma il 14,6 tra i più poveri. Il dato è
chiaro: se salgono i costi o si riduce l’offerta, i più
abbienti quasi non se ne accorgono perché migrano verso il privato.
Chi non ha possibilità di scelta subisce un disagio doppio rispetto
alla media. L’Ufficio parlamentare di bilancio nota che le “tensioni”
che stanno emergendo nell’organizzazione dei servizi potrebbero
“rivelarsi insostenibili se prolungate nel tempo”.
Negare i tagli
nella speranza che nessuno se ne accorga o che almeno non ne
attribuisca la paternità al governo, come prova a fare Renzi, è
pericoloso.
Da Il Fatto Quotidiano del 22/12/2015
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Se
cambiamo l'argomento, che so la mitica Variante di Valico oggi
inaugurata ma piena di crepe e di frane e con oltre 12 km di coda solo
oggi, vediamo subito come l'essenza non cambia: non conta l'argomento,
il tema, ma conta la infiorettatura dell'argomento: "lavorare la
notizia" così si chiama nel gergo dei media.. praticamente vendere fumo.
Non ci sono tagli; non è vero ci sono ma sono, come dire, mascherati e
cumulativi con gli anni precedenti: tanto chi si ricorda cosa hanno
legiferato lo scorso anno e chi se lo ricorderà l'anno prossimo?
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