In
uscita il rapporto dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) che
analizza come i rischi ambientali mettano in pericolo la salute dei
più piccoli, provocando 1,7 milioni di morti l’anno.
di Samantha Pegoraro
“In teoria le statistiche dovrebbero servire a risolvere i contrasti”, scrive William Davis su The Guardian riportando alla luce un tema – quello dei numeri e della loro interpretazione – centrale quanto controverso
nella descrizione della società, della popolazione e del tessuto nel
quale viviamo. Questo solo in teoria, perché nell’epoca attuale il modello del dubbio sembra essere la migliore risposta all’attendibilità delle statistiche. Una questione di fiducia, o di sfiducia, insomma.
In quella che da Radio 3 è stata definita la “settimana dei numeri”, arriva fresco di stampa il nuovo rapporto stilato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), dal titolo “Inheriting a sustainable world: Atlas on children’s health and the environment”. I dati, qui, parlano chiaro. Nessuna post verità.
Il costo ambientale sui bambini si può misurare. Il risultato? Nel 2015, sono 5.9 milioni a non raggiungere i 5 anni di età. Di queste morti premature, il 26% sarebbe stato prevenibile agendo sui rischi ambientali. Più di un milione e mezzo di bambini. Dividendo per 365, poi per 24 e infine per 60, si contano tre decessi al minuto.
Analizziamo i rischi. Quelli più conosciuti comprendono l’inquinamento atmosferico da particolati, i problemi legati all’acqua e all’igiene, le malattie da vettori (come la malaria, che soltanto nel 2015 ha ucciso 438.000 persone nel mondo), l’esposizione a sostanze chimiche
come il piombo, l’arsenico o il mercurio, i ritardanti di fiamma, gli
ftalati e i fungicidi. Tutte sostanze che si trovano negli oggetti di
uso comune. In Giocattoli, apparecchi elettronici, prodotti alimentari,
cosmetici. Nell’acqua stessa.
Ancora, il cambiamento climatico dipendente dall’accumulo di gas serra nell’atmosfera con conseguente aumento della temperatura è responsabile della comparsa dei cosiddetti “eventi estremi”, calamità naturali
tra le quali rientrano alluvioni, uragani, tornado, ma anche siccità e
temperature eccessivamente alte. Tutti fattori che vanno a minare le fasce vulnerabili della popolazione, dagli anziani ai più poveri. E, ovviamente, i più piccoli. Attenendoci ai dati, la carenza di acqua dovuta a episodi di estrema siccità
ha colpito 30 milioni di persone in Africa nel 2015. Nello stesso
periodo, in 100.000 hanno dovuto abbandonare la propria casa per un’alluvione massiva in Paraguay.
Il peso dell’ambiente sulle vite sembra riduttivo se tradotto in numeri, e non in volti. La statistica aiuta a capire il quadro generale, è come guardare un panorama dall’alto.
Nonostante il peso ambientale ricada in misura maggiore nei Paesi a basso reddito e la visione globale di un mondo minacciato dai rischi ambientali si concretizzi in modo diverso a seconda della regione geografica di appartenenza, senza dimenticare l’influenza delle scelte politiche
su tutti i fattori citati (si pensi alla variabilità sulla possibilità
di commercializzazione dei prodotti nei differenti Paesi del mondo),
nessuna area geografica può dirsi esente da rischi. Il gioco della globalizzazione funziona anche in questo caso.
E, se è vero che in Italia la mortalità stimata di bambini al di sotto dei 5 anni di età e dovuta a cause ambientali è di 9.89 su 100.000 e in Guinea Bissau
tocca i 486.40 su 100.000 (dati relativi al 2012), le disuguaglianze si
combattono su un terreno comune, un terreno che non si misura in
passi, chilometri o miglia. Siamo tutti nello stesso campo da calcio. Non ci sono due squadre, non c’è arbitro, ma c’è un qualcosa lì, al centro, che ruota. Siamo in gioco, siamo nel Mondo.

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