mercoledì 10 maggio 2017

Macron, la paura e la speranza

Ma il problema è che avrei votato come il 43 per cento di coloro che lo hanno fatto, dati Ipsos: cioè solo per evitare che all’Eliseo andasse Le Pen.
In altre parole: sui quasi ventuno milioni di voti presi dal neopresidente al ballottaggio, più di nove non erano per lui, ma contro quell’altra. Altri sette milioni l’hanno votato solo perché «nuovo». Tre milioni (pochissimo, il 15 per cento) per simpatia verso il suo programma; e meno di due milioni per simpatia personale verso di lui.
È curioso: stiamo tutti qui a parlare di Macron come speranza e invece ha vinto per paura.
Paura della postfascista figlia di Vichy, paura delle frontiere chiuse, paura per le proposte economiche-monetarie.
Questo presidente ha vinto per paura.
E con il tasso di astensione più alto da quarant’anni a questa parte (35 per cento) e con un record assoluto perfino di schede bianche: 4.066.802 di francesi, pari al 11,49 per cento dell’elettorato. In termini assoluti, l’astensione è cresciuta di 1.830.832 unità mentre le schede bianche sono aumentate di 2.354.699 e le nulle di 768.632.
«Questi numeri sono sintomo di un popolo tutt’altro che rapito dalla retorica di Emmanuel Macron» (Francesco Maselli, nel blog italiano che ha seguito meglio le presidentielles).
Lo paragonano a Obama, ma Obama nel 2008 era hope, speranza. Tutto il contrario. Nessuno aveva paura del povero McCain.
Auguro fortemente alla Francia e all’Europa e a tutte le democrazie di poter tornare un giorno a votare per un progetto, per un programma, per una speranza. Non per paura.
Che la paura, diceva Frank Herbert, uccide la mente.
Da gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it

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