giovedì 29 giugno 2017

“Vecchi al lavoro, giovani senza” L’atto d’accusa di Papa Francesco Ma serve crescita o non si cambia (ROBERTO MANIA)

Per il Vaticano “è stolta e miope” la società che tiene padri in fabbrica e figli a casa, un’anomalia causata dal Pil che resta basso.
ROMA – Dice Papa Francesco che «è una società stolta e miope quella che costringe gli anziani a lavorare troppo a lungo e obbliga un’intera generazione di giovani a non lavorare quando dovrebbero farlo per loro e per tutti». È l’anomalia del mercato del lavoro italiano con i giovani disoccupati e gli anziani occupati. Un conflitto generazionale che si trascina ormai da decenni in una cornice fatta di blocco della natalità, allungamento della speranza di vita, frantumazione del mercato del lavoro, innalzamento dell’età pensionabile, rivoluzione tecnologica e politiche di austerity. Ma soprattutto bassissimi tassi di crescita dell’economia, prima, durante e anche dopo la doppia recessione che ci ha colpiti in questo nuovo secolo.

È la questione del lavoro italiana, quella che ha (ri)sollevato il Pontefice. Con un tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) che si aggira permanentemente intorno al 40 per cento, in Europa facciamo meglio solo di Grecia e Spagna, con i paesi del nord (Germania in testa) che registrano tassi di disoccupazione giovanile quasi fisiologici. «Ma non sottovalutiamo il fatto — ricorda Emilio Reyneri, professore emerito di sociologia del lavoro alla Bicocca di Milano — che i giovani italiani entrano più tardi nel mercato del lavoro anche perché più tardi escono dalla scuola».
La crisi, da cui non siamo ancora completamente fuori, non ha fatto altro che accentuare queste tendenze. La perdita occupazione dei giovani nel periodo compreso tra il 2007 (anno dell’inizio della crisi) e il 2014 la percentuale di occupati con età tra i 15 e i 29 anni è scesa tra gli uomini del 12 per cento e tra le donne del 6. Ben diverso lo scenario per i lavoratori maturi. Lo ha descritto sulla voce. info il demografo Gianpiero Dalla Zuanna: «Il tasso di occupazione nella classe 55-74 anni cresce (nello stesso periodo di tempo, ndr) per entrambi i sessi di dieci punti percentuali, superando nel 2016 il 38 per cento fra gli uomini e il 22 per cento tra le donne». Se non ci fosse stata la legge Fornero che per salvare l’Italia dalla bancarotta ha impennato nel 2011 l’età pensionabile, la crescita dell’occupazione matura sarebbe stata più lenta. Solo, dunque, una questione di velocità del fenomeno.
Ma perché le affermazioni del Papa non riescono a tradursi in una ricetta per ribaltare la situazione, per riportare i giovani al lavoro e gli anziani al riposo? «Perché l’Italia non cresce», risponde netto Nicola Rossi, professore di economia politica a Tor Vergata, autore, vent’anni fa, di un pamphlet di successo e provocatorio dal titolo inequivocabile: “Meno ai padri più ai figli”. «La nostro anomalia nasce dal fatto che non cresciamo da oltre venti anni. Questo è il punto. E per questo è dannoso il messaggio del Papa che spinge i giovani a pensare che per ottenere qualcosa è necessario toglierla a qualcun altro. Così abbiamo messo definitivamente una pietra sul mito dell’infallibilità papale».
Insomma non c’è la staffetta, non c’è il ricambio nello stesso posto di lavoro. Perché non c’è uno stock fisso di numero di posti di lavoro. In media su quattro lavoratori che escono per anzianità dal mercato ne entra uno solo. «E poi — aggiunge Vincenzo Galasso che insegna economia alla Bocconi e che con Tito Boeri ha scritto “Contro i giovani” — i posti di lavoro non sono più uguali. Un sessantenne e un giovane hanno conoscenze assai diverse, vale nelle imprese ma anche nei servizi compresi quelli professionali». Ma pure Galasso pensa come Rossi che la vera svolta possa arrivare solo dall’aumento del Pil. «In una battuta: servirebbe un miracolo del Papa per far crescere l’economia dopo che ha benedetto l’Ape, cioè lo strumento che permetterà a chi lo vorrà un’uscita anticipata dal lavoro».
Articolo intero su La Repubblica del 29/06/2017.

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