di Diego Fusaro | 20 settembre 2017 Il Fatto Quotidiano
La popolazione europea è oggi sottoposta a un pressante calo demografico e, insieme, è sempre più massicciamente sostituita dalle nuove masse migranti
provenienti dall’Africa. In luogo dei popoli radicati e con memoria
storica, con identità culturale e con coscienza mnestica dei conflitti
di classe e delle conquiste sociali, prende forma una massa di schiavi post-identitari e senza coscienza di classe, umiliati, strutturalmente instabili, servili e sfruttabili senza impedimenti e a ogni condizione.
Da una diversa prospettiva, mediante le pratiche della deportazione di massa che la neolingua ha scelto di chiamare “accoglienza” e “integrazione”, il capitale deporta dall’Africa migliaia di nuovi schiavi disposti a tutto e pronti a essere sfruttati illimitatamente, il “materiale umano” ideale per le nuove pratiche dello sfruttamento neo-feudale. E, con movimento simmetrico, aspira a sostituire con questi nuovi schiavi il vecchio popolo europeo, composto da individui ancora troppo avvezzi ai diritti sociali, alla dignità del lavoro, alla coscienza di classe, alle conquiste salariali: in una parola, ancora memori del precedente assetto borghese e proletario del capitalismo. È in quest’ottica che deve, ad esempio, essere inquadrata l’operazione Mare Nostrum (2014) come instaurazione di un ponte diretto tra l’Africa e l’Europa in fase di terzomondializzazione.
Nella sua logica generale, l’immigrazione è oggi promossa strutturalmente dal capitale e difesa sovrastrutturalmente dalla “retorica del migrante” propria del pensiero unico politicamente corretto dei pedagoghi del globalismo imperialista. L’odierno regno animale dello spirito necessita dell’esercito industriale di riserva dei migranti, sfruttati a mo’ di nuovi schiavi, per poter distruggere i diritti sociali ancora sussistenti, annientare la residua forza organizzativa dei lavoratori e abbassare drasticamente i costi del lavoro. Con le categorie di Kevin Bales, i migranti figurano oggi come “nuovi schiavi” e come “merce umana nell’economia globale”.
La domanda, spietatamente ironica, di Brecht in riferimento al dissidio tra popolo e governo nel 1953 (“Non sarebbe / più semplice, allora, che il governo / sciogliesse il popolo e / ne eleggesse un altro?”), trova oggi una risposta positiva nelle pratiche di sostituzione di massa mediante le quali i signori del globalismo stanno rimpiazzando le popolazioni europee, le masse nazionali-popolari memori dei diritti sociali e delle lotte di classe, con nuove moltitudini deterritorializzate di esseri umani deportati dall’Africa e destinate a figurare come le nuove “risorse”, ossia come i nuovi schiavi “accolti” e “integrati” nell’esercito della produzione capitalistica desalarizzata e con pluslavoro sempre crescente. È quanto espressamente sostenuto, fin dal titolo, dal rapporto delle “Nazioni unite” del 17 marzo 2000: New report on replacement migration issued by Un population division.
Complici le prestazioni del pensiero unico fintamente umanitario, il capitale non mira certo a integrare i migranti, che invece considera come pura carne da cannone nella lotta di classe. Aspira, invece, a disintegrare per il tramite dei migranti anche i lavoratori autoctoni, distruggendone la coscienza di classe residua e abbattendone i diritti. Dietro il falso umanitarismo con cui si celebra l’immigrazione si nascondono, in verità, la disumanità dello sfruttamento più bieco della manodopera migrante e l’orrore del traffico di esseri umani, il nefarium negotium condannato da papa Gregorio XVI nel 1839.
Da una diversa prospettiva, mediante le pratiche della deportazione di massa che la neolingua ha scelto di chiamare “accoglienza” e “integrazione”, il capitale deporta dall’Africa migliaia di nuovi schiavi disposti a tutto e pronti a essere sfruttati illimitatamente, il “materiale umano” ideale per le nuove pratiche dello sfruttamento neo-feudale. E, con movimento simmetrico, aspira a sostituire con questi nuovi schiavi il vecchio popolo europeo, composto da individui ancora troppo avvezzi ai diritti sociali, alla dignità del lavoro, alla coscienza di classe, alle conquiste salariali: in una parola, ancora memori del precedente assetto borghese e proletario del capitalismo. È in quest’ottica che deve, ad esempio, essere inquadrata l’operazione Mare Nostrum (2014) come instaurazione di un ponte diretto tra l’Africa e l’Europa in fase di terzomondializzazione.
Nella sua logica generale, l’immigrazione è oggi promossa strutturalmente dal capitale e difesa sovrastrutturalmente dalla “retorica del migrante” propria del pensiero unico politicamente corretto dei pedagoghi del globalismo imperialista. L’odierno regno animale dello spirito necessita dell’esercito industriale di riserva dei migranti, sfruttati a mo’ di nuovi schiavi, per poter distruggere i diritti sociali ancora sussistenti, annientare la residua forza organizzativa dei lavoratori e abbassare drasticamente i costi del lavoro. Con le categorie di Kevin Bales, i migranti figurano oggi come “nuovi schiavi” e come “merce umana nell’economia globale”.
La domanda, spietatamente ironica, di Brecht in riferimento al dissidio tra popolo e governo nel 1953 (“Non sarebbe / più semplice, allora, che il governo / sciogliesse il popolo e / ne eleggesse un altro?”), trova oggi una risposta positiva nelle pratiche di sostituzione di massa mediante le quali i signori del globalismo stanno rimpiazzando le popolazioni europee, le masse nazionali-popolari memori dei diritti sociali e delle lotte di classe, con nuove moltitudini deterritorializzate di esseri umani deportati dall’Africa e destinate a figurare come le nuove “risorse”, ossia come i nuovi schiavi “accolti” e “integrati” nell’esercito della produzione capitalistica desalarizzata e con pluslavoro sempre crescente. È quanto espressamente sostenuto, fin dal titolo, dal rapporto delle “Nazioni unite” del 17 marzo 2000: New report on replacement migration issued by Un population division.
Complici le prestazioni del pensiero unico fintamente umanitario, il capitale non mira certo a integrare i migranti, che invece considera come pura carne da cannone nella lotta di classe. Aspira, invece, a disintegrare per il tramite dei migranti anche i lavoratori autoctoni, distruggendone la coscienza di classe residua e abbattendone i diritti. Dietro il falso umanitarismo con cui si celebra l’immigrazione si nascondono, in verità, la disumanità dello sfruttamento più bieco della manodopera migrante e l’orrore del traffico di esseri umani, il nefarium negotium condannato da papa Gregorio XVI nel 1839.
di Diego Fusaro | 20 settembre 2017
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