di Zeppelin | 6 novembre 2017 Il Fatto Quotidiano
di Mirko Annunziata
Il destino della Catalogna passa dalla crisi irreversibile dello Stato europeo moderno. Carles Puigdemont e altri esponenti dell’ormai ex governo della Catalogna si sono consegnati alla polizia belga. Per ora non finiranno in carcere, ma non possono lasciare il Belgio. Si è chiusa una fase della questione catalana, ma a dispetto delle speranze di Mariano Rajoy un’altra se ne apre, e si giocherà su due fronti: da un lato, la questione “legale” assume un tono internazionale, con le accuse di sedizione che pendono su Puigdemont
e che verranno valutate con molta probabilità da una corte
internazionale. Dall’altra la questione politica, che vedrà le elezioni
di dicembre per il Parlamento catalano come nuovo terreno di confronto
tra i due schieramenti. Elezioni alle quali Puigdemont, tra l’altro, intende candidarsi.
Il
migliore alleato di Rajoy è, paradossalmente, proprio Puigdemont, e la
sua ferma volontà di confrontarsi con il governo centrale spagnolo in
maniera pacifica e persino conciliante. Basterebbe infatti chiamare
alle armi il popolo catalano che crede nell’indipendenza per gettare
non solo la Catalogna, ma l’intera Spagna in una
spirale di caos e violenza tale da pregiudicarne addirittura
l’esistenza. La classe politica spagnola non sembra voler approfittare
di questo momento critico per riflettere adeguatamente sulle ragioni
che spingono almeno la metà dei catalani alla secessione.
L’idea
di poter vivere alla giornata senza guardare al futuro nel medio e
lungo termine non potrà fare altro che esasperare ulteriormente i
catalani, con il risultato di spingerne sempre di più tra le braccia
dell’indipendentismo. Una situazione che la Spagna non può certo
permettersi. Analizzando con attenzione le ragioni che muovono così
tanti catalani a troncare il proprio legame con la Spagna, è evidente
come il futuro pesi più del passato. Per accorgersene è sufficiente
guardare a un aspetto che molti in Italia considerano un vero e proprio nonsense: come mai gli indipendentisti catalani sono così a favore dell’Unione europea?
Le
istanze degli indipendentisti catalani sono perfettamente logiche se
si considera un aspetto che caratterizza il mondo di oggi: lo Stato
nazionale europeo di “media” grandezza, ciò che al tempo fu l’archetipo
per la creazione dello stato moderno dopo la Pace di Vestfalia del 1648 è ormai la struttura più inadatta a rispondere efficacemente alle sfide della contemporaneità.
Per secoli, l’idea di una nazione europea omogenea,
di grandi dimensioni, che potesse accompagnare una grande proiezione
di potenza militare all’esterno a un efficace controllo al suo interno,
ha posto le principali nazioni europee al centro dell’intero sistema
globale. Un Leviatano a due facce capace di controllare con il pugno di
ferro sia i cittadini all’interno dei propri confini, sia i popoli
assoggettati in giro per i continenti.
Questa fase, tuttavia, è definitivamente tramontata con la fine della Seconda guerra mondiale,
e nonostante siano passati ormai più di settant’anni, ancora oggi in
Europa in molti ritengono lo Stato nazionale come il modello su cui
puntare, disdegnando al contempo sia il progetto confederativo europeo,
sia le istanze localiste, colpevoli di voler indebolire la comunità
nazionale rispetto alle minacce che provengono dall’esterno.
Ciò
che sembrano ignorare lealisti spagnoli e italiani è il fatto che in
un mondo con colossi di dimensioni continentali la differenza tra una Spagna da 46 milioni di abitanti e una Catalogna di sette milioni, risulta sostanzialmente nulla nello scenario internazionale.
Ciò che cambia, e parecchio, è invece la gestione delle questioni locali. Con l’aumento esponenziale della complessità sociale,
soprattutto nelle regioni sviluppate del pianeta, si è resa sempre più
evidente l’esigenza di avere una gestione il più possibile vicino alle
esigenze particolari della comunità. Per questa ragione quasi tutti i
paesi dell’Europa occidentale, compresa la Spagna, hanno dato il via a
diversi progetti di devoluzione.
Il
nuovo patto politico e sociale si basa sull’idea che gli enti locali
siano in grado di gestire al meglio servizi quali istruzione,
urbanistica, sanità e piccole politiche sociali e di welfare mentre lo
stato centrale sia necessario per affrontare le grandi sfide legate all’economia globale,
alla sicurezza e ai rapporti internazionali. Purtroppo questo
bilanciamento è sempre più smentito dall’incapacità da parte delle varie
Madrid, Parigi, Roma di avere un adeguato controllo sulle
ripercussioni degli avvenimenti globali all’interno del proprio
territorio. D’altra parte, è proprio per questa serie di ragioni che da
decenni i paesi europei stanno tentando di dar vita a un unico attore
europeo capace di dire la propria sui tavoli della politica globale che
contano.
Troppo piccolo
per contare a livello internazionale e troppo grande per gestire in
maniera efficiente la propria comunità, lo stato nazionale “medio”
europeo si ritrova a dare risposte che soddisfano sempre meno i propri
cittadini. Le istanze degli indipendentisti catalani sono solo il riflesso locale, declinato secondo vecchie questione storiche e culturali, di un problema continentale che vede gli europei sempre più disaffezionati, delusi e sfiduciati verso la propria classe dirigente.
Per
questo, gli indipendentisti catalani confidano comunque nell’Europa
unita. Il sogno da parte loro è entrarci come popolo a sé e non come
parte della Spagna. Ma se ciò non fosse possibile, se il progetto
europeo fosse destinato a fallire, sono altrettanto consapevoli che
Madrid non potrebbe essere la risposta giusta alle loro istanze. Per
cui i modelli a cui guardare sarebbero, a questo punto, le realtà
d’eccellenza di piccole dimensioni, come ad esempio Singapore
o i ricchi paesi arabi del Golfo, capaci di massimizzare al meglio la
gestione interna anche per ottenere risultati soddisfacenti a livello
internazionale.
Per poter sperare di risolvere la questione catalana, la Spagna dovrebbe cominciare a chiedersi non solo cosa non è disposta a dare ai catalani
ma anche cosa è in grado di poter dare loro; il problema è che più
passa il tempo, più il margine della loro offerta è destinato a
restringersi.
di Zeppelin | 6 novembre 2017
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