mercoledì 8 novembre 2017

Catalogna, c’è ben poco che Madrid può promettere a Barcellona per restare

di | 6 novembre 2017  Il Fatto Quotidiano

di Mirko Annunziata
Il destino della Catalogna passa dalla crisi irreversibile dello Stato europeo moderno. Carles Puigdemont e altri esponenti dell’ormai ex governo della Catalogna si sono consegnati alla polizia belga. Per ora non finiranno in carcere, ma non possono lasciare il Belgio. Si è chiusa una fase della questione catalana, ma a dispetto delle speranze di Mariano Rajoy un’altra se ne apre, e si giocherà su due fronti: da un lato, la questione “legale” assume un tono internazionale, con le accuse di sedizione che pendono su Puigdemont e che verranno valutate con molta probabilità da una corte internazionale. Dall’altra la questione politica, che vedrà le elezioni di dicembre per il Parlamento catalano come nuovo terreno di confronto tra i due schieramenti. Elezioni alle quali Puigdemont, tra l’altro, intende candidarsi.
Il migliore alleato di Rajoy è, paradossalmente, proprio Puigdemont, e la sua ferma volontà di confrontarsi con il governo centrale spagnolo in maniera pacifica e persino conciliante. Basterebbe infatti chiamare alle armi il popolo catalano che crede nell’indipendenza per gettare non solo la Catalogna, ma l’intera Spagna in una spirale di caos e violenza tale da pregiudicarne addirittura l’esistenza. La classe politica spagnola non sembra voler approfittare di questo momento critico per riflettere adeguatamente sulle ragioni che spingono almeno la metà dei catalani alla secessione.
L’idea di poter vivere alla giornata senza guardare al futuro nel medio e lungo termine non potrà fare altro che esasperare ulteriormente i catalani, con il risultato di spingerne sempre di più tra le braccia dell’indipendentismo. Una situazione che la Spagna non può certo permettersi. Analizzando con attenzione le ragioni che muovono così tanti catalani a troncare il proprio legame con la Spagna, è evidente come il futuro pesi più del passato. Per accorgersene è sufficiente guardare a un aspetto che molti in Italia considerano un vero e proprio nonsense: come mai gli indipendentisti catalani sono così a favore dell’Unione europea?
Le istanze degli indipendentisti catalani sono perfettamente logiche se si considera un aspetto che caratterizza il mondo di oggi: lo Stato nazionale europeo di “media” grandezza, ciò che al tempo fu l’archetipo per la creazione dello stato moderno dopo la Pace di Vestfalia del 1648 è ormai la struttura più inadatta a rispondere efficacemente alle sfide della contemporaneità.
Per secoli, l’idea di una nazione europea omogenea, di grandi dimensioni, che potesse accompagnare una grande proiezione di potenza militare all’esterno a un efficace controllo al suo interno, ha posto le principali nazioni europee al centro dell’intero sistema globale. Un Leviatano a due facce capace di controllare con il pugno di ferro sia i cittadini all’interno dei propri confini, sia i popoli assoggettati in giro per i continenti.
Questa fase, tuttavia, è definitivamente tramontata con la fine della Seconda guerra mondiale, e nonostante siano passati ormai più di settant’anni, ancora oggi in Europa in molti ritengono lo Stato nazionale come il modello su cui puntare, disdegnando al contempo sia il progetto confederativo europeo, sia le istanze localiste, colpevoli di voler indebolire la comunità nazionale rispetto alle minacce che provengono dall’esterno.
Ciò che sembrano ignorare lealisti spagnoli e italiani è il fatto che in un mondo con colossi di dimensioni continentali la differenza tra una Spagna da 46 milioni di abitanti e una Catalogna di sette milioni, risulta sostanzialmente nulla nello scenario internazionale.
Ciò che cambia, e parecchio, è invece la gestione delle questioni locali. Con l’aumento esponenziale della complessità sociale, soprattutto nelle regioni sviluppate del pianeta, si è resa sempre più evidente l’esigenza di avere una gestione il più possibile vicino alle esigenze particolari della comunità. Per questa ragione quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale, compresa la Spagna, hanno dato il via a diversi progetti di devoluzione.
Il nuovo patto politico e sociale si basa sull’idea che gli enti locali siano in grado di gestire al meglio servizi quali istruzione, urbanistica, sanità e piccole politiche sociali e di welfare mentre lo stato centrale sia necessario per affrontare le grandi sfide legate all’economia globale, alla sicurezza e ai rapporti internazionali. Purtroppo questo bilanciamento è sempre più smentito dall’incapacità da parte delle varie Madrid, Parigi, Roma di avere un adeguato controllo sulle ripercussioni degli avvenimenti globali all’interno del proprio territorio. D’altra parte, è proprio per questa serie di ragioni che da decenni i paesi europei stanno tentando di dar vita a un unico attore europeo capace di dire la propria sui tavoli della politica globale che contano.
Troppo piccolo per contare a livello internazionale e troppo grande per gestire in maniera efficiente la propria comunità, lo stato nazionale “medio” europeo si ritrova a dare risposte che soddisfano sempre meno i propri cittadini. Le istanze degli indipendentisti catalani sono solo il riflesso locale, declinato secondo vecchie questione storiche e culturali, di un problema continentale che vede gli europei sempre più disaffezionati, delusi e sfiduciati verso la propria classe dirigente.
Per questo, gli indipendentisti catalani confidano comunque nell’Europa unita. Il sogno da parte loro è entrarci come popolo a sé e non come parte della Spagna. Ma se ciò non fosse possibile, se il progetto europeo fosse destinato a fallire, sono altrettanto consapevoli che Madrid non potrebbe essere la risposta giusta alle loro istanze. Per cui i modelli a cui guardare sarebbero, a questo punto, le realtà d’eccellenza di piccole dimensioni, come ad esempio Singapore o i ricchi paesi arabi del Golfo, capaci di massimizzare al meglio la gestione interna anche per ottenere risultati soddisfacenti a livello internazionale.
Per poter sperare di risolvere la questione catalana, la Spagna dovrebbe cominciare a chiedersi non solo cosa non è disposta a dare ai catalani ma anche cosa è in grado di poter dare loro; il problema è che più passa il tempo, più il margine della loro offerta è destinato a restringersi.
di | 6 novembre 2017

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