Fonte: Il Fatto Quotidiano Economia & Lobby | 13 dicembre 2018 Economia e politica
di Stefano Di Bucchianico *
Nei
modelli economici della teoria dominante non è concepibile che
politiche fiscali coraggiose guidino la crescita. Bisogna guardare ai
modelli post-keynesiani. Un recente dibattito tra Larry Summers e Joseph Stiglitz apparso su Project Syndicate ha riacceso i riflettori sulla teoria della stagnazione secolare (in seguito SS). Successivamente, Paul Krugman ha preso parte alla diatriba con un intervento sul suo blog sul New York Times.
Come si vedrà dalla ricostruzione del dibattito, a confronto vi sono
la posizione di Stiglitz, che guarda alla stagnazione come risultato di
un’inadeguata politica fiscale espansiva, e quella di Summers e
Krugman, i quali da un lato ritengono necessario uno stimolo fiscale in
situazioni di trappola della liquidità, ma dall’altro giudicano la
polemica di Stiglitz priva di contenuti realmente nuovi rispetto a
quanto da loro proposto.
Il dibattito
La SS, coniata originariamente da Alvin Hansen (1939) durante gli anni 30 a seguito della Grande depressione che colpì gli Stati Uniti,
è stata ripresa e riaggiornata negli ultimi anni da Larry Summers
(2014, 2015). Krugman (1998) ne propose una versione embrionale già nei
tardi anni 90, discutendo le possibili cause della perdurante
stagnazione giapponese. In seguito ha sostenuto la pressoché totale
sovrapponibilità tra la sua spiegazione e quella data da Summers. Nella
più recente versione di Summers, la rilevanza della politica fiscale
torna in auge: in situazioni di stagnazione persistente essa è
giudicata preferibile rispetto alle misure di politica monetaria che
convenzionalmente agiscono tramite un abbassamento del tasso di interesse di riferimento controllato dalla Banca centrale.
Tale prescrizione di politica economica sarebbe preferibile, in quanto
la politica monetaria avrebbe esaurito la propria efficacia una volta
raggiunto il cosiddetto “zero lower bound” sul tasso nominale dell’interesse di politica monetaria.
Nel
dibattito menzionato in apertura Stiglitz ha criticato la lettura data
dai teorici della SS della non soddisfacente ripresa dell’economia Usa nel periodo post-Grande recessione del 2008,
ossia che i bassi tassi di crescita testimoniati dall’economia
americana sarebbero una situazione destinata a permanere. Stiglitz
argomenta come la lenta ripresa sia stata dovuta a uno stimolo fiscale
(rappresentato dagli 800 miliardi di dollari del piano Obama)
insufficiente, non quindi a un’inerente tendenza alla stagnazione. La
SS sarebbe perciò sostanzialmente una scusa per coprire la
responsabilità attribuibile alle insufficienti politiche di domanda del
governo.
Nelle sue parole: “L’improvviso incremento del deficit statunitense, da circa il 3% a quasi il 6% del Pil,
dovuto a un mal congegnato sistema di tassazione regressivo e a un
aumento della spesa bipartisan, ha spinto la crescita intorno al 4% e portato la disoccupazione
al livello più basso degli ultimi 18 anni. Queste misure possono essere
mal concepite, ma dimostrano che con un sufficiente stimolo fiscale il
pieno impiego può essere raggiunto, anche se i tassi di interesse
salgono ben al di sopra dello zero”.
Summers ha risposto a tali
argomentazioni sostenendo che la teoria della stagnazione secolare non
ha come idea di fondo l’inevitabilità di una persistente crisi, ma al
contrario cerca di porre l’attenzione sulle politiche fiscali come
soluzione principale da adottare. A suo dire, seppur lo stimolo fiscale
non sia stato pienamente soddisfacente, esso era il massimo ottenibile
all’epoca date le condizioni politiche. Concludendo la risposta a
Stiglitz, Summers tenta una sintesi tra le due posizioni,
puntualizzando però circa l’affidabilità della propria impostazione
teorica: “Anche se siamo in disaccordo sui passati giudizi di stampo
politico e sull’uso del termine ‘stagnazione secolare’, sono lieto che
un eminente teorico come Stiglitz concordi con ciò che intendevo
enfatizzare con la riproposizione di quella teoria: non possiamo
contare su politiche del tasso d’interesse per assicurare il pieno
impiego. Dobbiamo sforzarci di pensare a politiche fiscali e misure strutturali per supportare una sostenuta e adeguata domanda aggregata”.
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* dottore di ricerca Università di Roma Treua
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