giovedì 14 maggio 2009

Fiat: chi paga realmente la campagna acquisti?

La Fiat, grazie alla cura Marchionne, s'ingrandisce e diventa il terzo gruppo europeo e addirittura va in controtendenza rispetto alle vendite delle concorrenti (4.3%) e si evidenzia la, indubbia, competenza nel guardare oltre il proprio naso (tipico dei liberisti e dei capitalisti di rapina) e investire quando il mercato è in fallimento (Opel, Chrysler, e chissà cos'altro) per ingrandire una società data per decotta appena qualche anno fa. E' un'esempio di come si fa shopping in base a regole del capitalismo (quello vero, quello che si basa sul liberalismo alla adam smith e della scuola classica, marx incluso) così come vengono studiate nelle facoltà di economia e commercio. Si dirà: ma come li elogi? Elogi gli Agnelli che hanno sempre badato al loro interessi di famiglia e investito laddove guadagnavano di più? No, naturalmente, perchè questo ingrandimento è la fine di un lungo processo decennale durante il quale il gruppo ha potuto contare sul sostegno, nascosto o meno, dello Stato durante le ristrutturazioni cui è stata sottoposta (altro che mercato) per tappare i buchi della finanza facile degli anni reaganiani in salsa italiana. E quando è esplosa questa crisi, provocata dalle banche che finora non ne hanno pagato lo scotto grazie agli interventi degli Stati, si è subito capito che pochi ne sarebbero sopravvissuti e Marchionne questo l'ha capito: o si muore o si investe. E c'ha provato riuscendoci, ma come? E' semplice con l'aiuto dello Stato americano in primis e con una decisione di dover tagliare alcuni stabilimenti: il problema è dove. La risposta è semplice: a rischio sono Termini Imerese e Pomigliano d'Arco che significa migliaia di posti di lavoro eliminati e non nella zona ricca del paese (dove almeno in teoria ci sono altre opportunità, teoricamente parlando sempre) ma nel Sud italia dove certo non sono rose, per usare un'eufemismo, e dove lo Stato è presente con poche figure e niente investimenti, dove la camorra è il vero Stato, e dove se perdi il lavoro hai solo il baratro del lavoro nero e quel poco che rappresenta la cassa integrazione. Ecco la prospettiva che manca: i lavoratori, che fine fanno? E il sud? scivolerà sempre più verso il terzo mondo? Si ritrasformerà in quel mercato coloniale, o paracoloniale, che era alla fine del 1800? E le braccia di lavoro "liberate"? Che fanno? Emigrano? Al Nord? All'estero? E se gli altri paesi alzano le barriere sull'emigrazione italiana (aprendo magari tante Ellis Island o, per capirci, tante Lampedusa dove segregano gli italiani immigrati)? Eccolo il lato buio dell'operazione e le possibili, in qualche caso futuribili, implicazioni della tanto decantata "campagna acquisti" in giro per il mondo e della grande nostra italianità di cui andare orgogliosi! Chi ha pagato, come sempre, il prezzo di tutto ciò? Noi e stavolta in vario modo: in primis atraverso le continue Casse integrazioni, poi lo Stato (italiano e americano e forse quello tedesco); i lavoratori che saranno verosimilmente o "esternalizzati" o mandati in mobilità (con tante scusa) o licenziati; i piccoli risparmiatori che sono stati, ancora una volta tosati ben bene (il parco buoi); chi ci ha guadagnato? Gli Agnelli, le banche loro alleati (merryl lynch cosa ricorda questo nome, per caso titoli intossicati?), le loro finanze, il salotto buono. Un'altra storia italiana? Mi sa proprio di si. Sembra proprio che dopo Alfa Romeo, Olvetti, Maserati, Alitalia, Raiset ecc. dalla storia proprio non si voglia imparare..........

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