La bandiera nera dello Stato islamico non sventola più
 sulle città del Califfato e infatti il numero di roccaforti ancora  
nelle mani dell’Isis è pressoché nullo: persino la Capitale, Raqqa,
  è sotto attacco. Non possiamo più parlare di un progetto nazionalista 
 perché l’idea di costruire un nuovo Stato, la versione moderna del  
vecchio Califfato, sta sfumando e con lei anche il messaggio propagandistico dell’Isis
 che tanta presa ha avuto sui giovani musulmani. Una vittoria? No, un  
passo in avanti, siamo ancora lontanissimi dalla risoluzione del  
problema e ancora più lontani dal neutralizzare la minaccia dell’Isis a 
 casa nostra. Per farlo bisogna analizzare e capire chi sono i nuovi nemici.
 Il terrorismo è un atto che viene commesso dagli uomini, come la guerra: è quindi fondamentale conoscere le motivazioni che spingono gli individui a commettere atti di terrorismo. Nel gergo degli esperti si descrive questo fenomeno con la parola ‘radicalizzazione’, ma come vedremo più avanti questo è un termine fuorviante perché presuppone un’ideologia politica. 
Partiamo dal messaggio originario dell’Isis nel lontano 2012: era una chiamata alle armi
 per chiunque volesse far parte di un’avventura patriottica, una  
battaglia sanguinosa per creare un nuovo Stato. Se analizziamo le modalità di indottrinamento – in questo casi si può parlare di radicalizzazione – e i soggetti prescelti ci rendiamo conto che i secondi sono giovani, tra il 17 e i 35 anni e le prime poggiano su un’ideologia fortemente nazionalista. Questa formula ha funzionato fino a quando il Califfato era una realtà. Ma è chiaro che nel momento in cui questo svanisce sotto le macerie della campagna aerea o per mano degli eserciti nemici – dalle milizie sciite fino ai soldati iracheni – questa narrativa non funziona più,
  ce ne vuole un’altra. Nessun giovane musulmano infatti è disposto oggi
 a  intraprendere il viaggio verso un Califfato ormai prossimo alla sconfitta militare.
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