di Luca Aterini da greenreport
Prima del 1965 l’Overshoot day
– il “giorno del sovrasfruttamento” – non era cosa che riguardasse
l’Italia: l’impronta ecologica della popolazione (ovvero le nostre
necessità di utilizzare risorse dalle aree agricole, dai pascoli, dalle
foreste, dalle aree di pesca e lo spazio utilizzato per le
infrastrutture e per assorbire il biossido di carbonio, la CO2) era
inferiore alla biocapacità nazionale, intesa come la capacità dei
sistemi naturali prima indicati di produrre risorse e assorbire
biossido di carbonio. Da allora molto è cambiato. La biocapacità non è –
naturalmente – aumentata, mentre la crescita dell’impronta ecologica
italiana è avanzata inesorabile.
Come risultato finale, nel 2017 l’Overshoot day è arrivato a bussare alle nostre porte ben prima di quanto facesse con quelle del mondo intero. L’Earth overshoot day,
ovvero la data in cui la richiesta di risorse naturali dell’umanità
supera la quantità di risorse che la Terra è in grado di generare nello
stesso anno, è un valore medio: alcuni Stati impattano di più, altri di
meno. E se per il mondo il “giorno del sovrasfruttamento” è giunto
oggi, in Italia è arrivato senza far rumore il 19 maggio scorso.
Concretamente,
questo significa che la nostra impronta ecologica è più alta di quella
media mondiale, e che in neanche cinque mesi abbiamo esaurito tutto il
budget di risorse rigenerabili nel corso dell’anno che il nostro
territorio ci mette a disposizione: un modello di vita a credito
(ambientale) che, se fosse seguito da tutti i 7,5 miliardi di esseri
umani oggi viventi, richiederebbe le risorse di 2,6 pianeti Terra per
essere sostenibile.
Di pianeti, però, ne abbiamo a disposizione
soltanto uno. Converrebbe prendercene debitamente cura. «Il nostro
pianeta è finito, ma le possibilità umane non lo sono – spiega Mathis Wackernagel, Ceo del Global footprint network che ogni anno si occupa di conteggiare l’Earth overshoot day,
e co-creatore dell’impronta ecologica – Vivere all’interno delle
capacità di un solo pianeta è tecnologicamente possibile,
finanziariamente vantaggioso ed è la nostra unica possibilità per un
futuro prospero».
Finora non ne siamo stati in grado. La data dell’Earth overshoot day è caduta sempre prima della naturale scadenza al 31 dicembre, a partire dagli anni ‘70: l’allarme suonava a fine di settembre nel 1997, 20 anni fa, e si è anticipato fino al 2 agosto di quest’anno, mai così presto. Oggi, è come se ci servissero 1,7 pianeti Terra per soddisfare il nostro fabbisogno attuale di biocapacità.
I
segnali di questo declino sono ormai innumerevoli: il 2016 è stato
l’anno più caldo a livello mondiale raggiungendo un incremento di 1.1°C
rispetto al periodo preindustriale, come ricordano dal Wwf, mentre «la
somma di tutti gli output di materia che vengono trasformati e
consumati dall’umanità (e che includono le componenti derivanti dalle
attività umane urbane, agricole e marine, con l’utilizzazione
dell’energia e dei flussi di materia necessarie alle nostre economie)
viene indicata in una stima preliminare che raggiunge i 30.000 miliardi
di tonnellate».
La buona notizia è che possiamo ancora tornare indietro, il declino non è ineluttabile: se posticipassimo l’Overshoot day di 4,5 giorni ogni anno – calcolano dal Global footprint network
– potremmo ritornare ad utilizzare le risorse di un solo pianeta entro
il 2050. In parte si tratta di un processo già in corso, come mostra
proprio l’esempio italiano.
La nostra impronta ecologica ha
continuato ininterrottamente a crescere negli ultimi decenni, fino a
invertire la rotta nel 2007, con l’arrivo della crisi finanziaria prima
ed economica poi. Oggi impattiamo meno sull’ambiente, al prezzo però
di un’economia che non funziona. Fare di meglio è possibile, oltre che
indispensabile: ad esempio, tra il 2005 e il 2013 l’impronta ecologica
pro capite degli inquinanti Usa è scesa quasi del 20% rispetto al suo
picco, e nello stesso periodo il Pil pro capite statunitense è
cresciuto del 20%, disaccoppiando dunque la crescita economica dal
consumo di biocapacità. Anche l’Italia ha imboccato – suo malgrado –
questa strada tagliando risultati importanti. Ora è il momento di
guidare, e non più subire, questa transizione, creando benessere per la
popolazione e salvaguardando l’ambiente che sostiene (anche la nostra)
vita.
«In questa situazione – spiega Gianfranco Bologna, direttore scientifico del Wwf Italia e membro del think tank di greenreport
– è urgentissimo dare immediata concretizzata agli accordi presi in
sede internazionale per migliorare lo stato del Sistema Terra e provare a
sanare l’enorme “debito ecologico” che abbiamo con il nostro Pianeta e
i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti. È urgente attivare
l’Agenda 2030 con i suoi 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile,
considerandoli in maniera interconnessa e impostare una nuova economia
capace di seguire i processi circolari della natura che la nostra
visione economica dominante ha purtroppo trasformato in processi
lineari con la produzione di scarti, rifiuti e inquinamento».
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