Fonte: WSI 1 marzo 2018, di Marco Piersimoni (Pictet AM)
Solo la creazione di un asse anti europeista con la saldatura tra M5S e Lega potrebbe generare instabilità.
Ma a mettere sotto pressione gli spread dei periferici potrebbe
essere, proprio il 4 marzo, il mancato via libera alla formazione del
governo di Berlino.
01 Marzo 2018 – Il termometro finanziario più
accurato per misurare il rischio politico italiano, ossia il livello
dello spread BTP-Bund, non segnala preoccupazione da parte degli
investitori per l’esito elettorale. Il mercato ha una sua razionalità:
tutti gli ultimi appuntamenti politici, anche quelli che si sono
conclusi con esiti teoricamente poco graditi ai mercati (referendum
italiano), non hanno avuto impatti. La pazienza dei mercati
potrebbe essere messa alla prova dal fattore tempo: di fronte ad un
esito incerto, ossia con un parlamento non in grado di esprimere una
maggioranza chiara, quanto ci vorrà per formare un governo? Saranno
necessarie nuove elezioni? Alla Germania i mercati hanno lasciato un beneficio a tempo indefinito, mentre per l’Italia non si potrà contare su tanta condiscendenza.
Un primo punto importante: le differenze rispetto alle elezioni presidenziali in Francia di un anno fa sono enormi.
Il risultato non sarà interpretato come un voto di fiducia
sull’Europa. Le motivazioni sono molteplici: è diversa l’architettura
istituzionale, è diverso il contesto economico (notevolmente migliorato
in tutta Europa) e questo induce gli investitori istituzionali ad
essere più ottimisti. Lo spread Btp-Bund resta inoltre uno dei
differenziali di rendimento più generosi: a fronte di 130bp del
decennale italiano, un bond governativo spagnolo o irlandese offrono
rispettivamente 80 e 40 punti base.
Analizziamo dunque di seguito in quale misura il differenziale dei rendimenti tra titoli di Stato italiani
e tedeschi potrebbe variare in base ai diversi scenari politici che si
profilano all’indomani delle elezioni. Basiamo le nostre ipotesi
esclusivamente sui risultati degli ultimi sondaggi pubblicati il 16
febbraio, prima del silenzio elettorale, secondo cui il M5S con il 28%
delle preferenze si configurava come il primo partito italiano, seguito
da Forza Italia al 17% e dalla Lega al 14%; la coalizione di
centrosinistra raccoglieva invece circa il 25% delle intenzioni di voto.
Tuttavia, con una quota di indecisi
che si aggirava intorno al 20% e poco meno dei due terzi dei seggi che
verranno assegnati con un complesso modello proporzionale, persistono
alcuni elementi di incertezza che vale la pena non sottovalutare.
Gli scenari possibili, considerando i dati a nostra disposizione, sono tre:
L’ipotesi più probabile (circa il 60%) è la vittoria delle elezioni del centro
– destra ma senza una maggioranza in parlamento in grado di esprimere
un governo. Questa impone delle alleanze politiche trasversali di
compromesso. La prima coalizione possibile in questo contesto include
Forza Italia, PD e +Europa (il partito di Emma Bonino), con il
reclutamento degli eventuali voti mancanti tra l’ala più moderata della
Lega, tra i delusi del M5S e tra gli eletti all’estero. Questa intesa,
che potrebbe essere guidata da Gentiloni o da Tajani, non sarebbe una
soluzione invisa all’Europa e dunque non avrebbe impatto negativo sull’andamento dei mercati. Anzi, una volta formato il governo,
lo spread potrebbe portarsi verso quota 100. Il problema tuttavia
potrebbe manifestarsi nel processo di formazione del governo stesso,
processo per il quale Roma non può permettersi il lusso del tempo di cui
ha goduto Berlino. Pertanto, movimenti erratici nelle fasi
immediatamente successive al voto per poi convergere verso un livello di
spread minore.
La seconda ipotesi (circa 30%) è la vittoria del centro-destra
con i numeri per fare un governo. In questo scenario il dato dirimente
risulta senza dubbio quello relativo al partito che raccoglierà la
maggioranza relativa all’interno della coalizione. Se dovesse prevalere
Forza Italia, il primo ministro designato dovrebbe essere Tajani. Un
tale esito sarebbe visto dunque nel segno della stabilità: immaginiamo
che lo spread Btp-Bund si muoverà poco. Da un lato, il
mercato accoglierà con favore il profilo fortemente Europeista del
premier; in secondo luogo, il programma fiscale del centrodestra è espansivo,
pur facendo la dovuta tara alle promesse elettorali. Esiste in
alternativa la possibilità che il maggior numero di preferenze sia a
favore della Lega con Matteo Salvini premier: questo risultato ci
porterebbe in uno scenario meno gradito ai mercati che potrebbe creare
un certo grado di instabilità, con spread in salita di almeno 30/40
punti base. Si tratterebbe in ogni caso di un governo che non potrebbe
sposare la piattaforma della Lega sui temi europei, bensì che dovrebbe
accontentarsi di muoversi nei binari di un programma ammorbidito sulle
posizioni del partito di Berlusconi che è comunque considerato un
garante della tenuta europeista dell’Italia.
Esistono poi
probabilità inferiori per tutta una serie di scenari alternativi (in
totale non più del 10%), alcuni dei quali inverosimili ma che
potrebbero turbare i mercati semplicemente aritmeticamente possibili.
Tra questi, la possibile coalizione tra M5S, PD e LeU.
Questo scenario non rappresenta un rischio anti-Europeista, ma si
baserebbe su un programma di politica fiscale molto espansiva. Sarebbe
anche grossa una sorpresa cui il mercato non è preparato, con possibile
allargamento dello spread
di circa 30 punti base. Certo, un’ipotesi remota, che richiederebbe il
compiersi di significative giravolte politiche: il cambio di rotta del
Movimento rispetto all’idea originale di non allearsi con un partito,
il sacrificio di Matteo Renzi come leader PD. Infine, con probabilità
inferiore al 5%, la creazione di un asse anti-europeista con i 5S che
trovano l’accordo di governo a destra con Lega e Fratelli d’Italia.
Questo è l’esito più pericoloso, che potrebbe portare lo spread sopra
quota 200.
Infine, l’appuntamento elettorale italiano rischia di
essere oscurato, dal punto di osservazione dei mercati, da un altro
evento politico. Ovvero il referendum interno alla Spd con cui il
partito socialista tedesco si esprimerà su un nuovo governo di Große
Koalition con i cristiano democratici di Angela Merkell.
Secondo gli ultimi sondaggi, la possibilità di un No sono del 25-30%.
In questo caso, i previsti passi di integrazione europea sul tema
dell’unione bancaria subiranno una grossa frenata: per spread e listini
della periferia non sarà di certo una buona notizia. Va però detto che,
se gli esiti del voto italiano e tedesco rispettano i pronostici
suesposti, si apre una possibilità concreta – e con la Francia di Macron
crediamo accompagnata da volontà politica – di riprendere il percorso
di integrazione della Moneta Unica, migliorandone la governance a
partire dal completamento dell’Unione Bancaria.
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