Fonte: Il Fatto Quotidiano Economia & Lobby | 1 dicembre 2018 Economia e politica
di Felice Roberto Pizzuti *
Spread
e reazione dei mercati possono compromettere l’efficacia della manovra
economica italiana? Felice Roberto Pizzuti contesta questa tesi di
Blanchard e Zettelmeyer e spiega che quello che conta non è lo spread
ma la qualità delle misure previste.
1. Nel dibattito sulla Nota aggiuntiva al documento di economia e finanza
(Nadef) 2018 si evidenziano contributi anche autorevoli che, tuttavia,
rischiano di aumentare gli elementi di confusione che lo
caratterizzano. La manovra, anche per come viene presentata dal governo
nelle trattative con l’Unione europea, presenta delle
criticità che ne pregiudicano l’efficacia e, nel suo insieme, mostra
di non avere la visione di lungo respiro necessaria ad affrontare i
problemi organici della nostra economia, approccio che sarebbe
particolarmente congruo all’inizio di una legislatura “di cambiamento”.
Tuttavia, le critiche che la manovra merita non dovrebbero distogliere
l’attenzione dalla maggiore pericolosità insita in altri ingiustificati
rilievi che le sono rivolti, con i quali si cerca di riproporre la
stessa concezione economica della “austerità espansiva”
già rivelatasi molto dannosa non solo per il nostro Paese, ma per la
stessa costruzione europea la quale, peraltro, è resa sempre più
necessaria dall’evoluzione degli equilibri economici e politici globali.
2. In un articolo tradotto sulla Voce.info del 27 ottobre, Olivier Blanchard (tra l’altro, ex capo economista del Fmi) e Jeromin Zettelmeyer
(tra l’altro, ex direttore generale per le politiche economiche del
Ministero tedesco degli Affari economici e l’energia), attualmente
entrambi membri del Peterson Institute for International Economics, sostengono che l’obiettivo della crescita del Pil perseguito dal governo italiano con l’aumento del deficit di bilancio al 2.4%
non sarà raggiunto, poiché l’intento espansivo sarà più che compensato
dall’effetto contrario derivante dall’aumento dei tassi d’interesse
provocato dalla stessa manovra.
I due autori concordano che
“nonostante ‘strette fiscali espansive’ e ‘espansioni fiscali
restrittive’ siano teoricamente possibili, una politica fiscale
espansiva generalmente aumenta la produzione e una restrittiva la
rallenta – anche in Paesi con un alto debito pubblico”.
L’affermazione (almeno la parte successiva alla virgola) può sembrare
scontata, ma va considerato che, nei due decenni a cavallo tra il
vecchio e il nuovo secolo, molti economisti appartenenti al mainstream
del pensiero economico e istituzioni economiche internazionali come il Fondo monetario internazionale (Fmi),
hanno sostenuto e applicato la tesi che le politiche di consolidamento
fiscale (cioè di riduzione del debito) favorirebbero la crescita.
Secondo questa posizione, che si riassume nell’ossimoro della
“contrazione o austerità espansiva”, l’effetto restrittivo esercitato
dalla riduzione della spesa pubblica e dall’aumento del saldo dei
bilanci pubblici sarebbe più che compensato dal loro stimolo espansivo
sulla spesa privata, con il risultato complessivo di favorire la
crescita. L’effetto espansivo delle politiche di “austerità” era
considerato tanto più efficace quanto maggiore era elevato il debito pubblico. Successivamente, una consistente serie di studi analitici ed empirici ha dimostrato l’inconsistenza di queste posizioni.
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* Sapienza Università di Roma
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