...... forse ricorderete: il sottoscritto, e altri, avevano sottolineato la cosa che nel saggio di Stiglitz "il prezzo della disuguaglianza"
il premio nobel aveva "criticato" l'euro: non in sè ma per quello che
dietro la moneta stava venendo su.... a partire dalla sua nascita fino
ad oggi... lui e altri premi nobel avevano smentito la cosa
sottolineando, in un comunicato, che mai volevano criticare la moneta e
la costruzione, vero? Ebbene leggete questo:
dal Fatto Quotidiano del 6 maggio 2014 a firma di Redazione
Economisti di fama internazionale vanno all’attacco dell’euro e del nuovo meccanismo per il salvataggio delle banche
europee in crisi. E’ accaduto a Roma, durante un convegno presso
l’università Luiss. Partecipano, tra gli altri, il Nobel statunitense Joseph Stiglitz e il francese Jean-Claude Fitoussi (che in quell’università è anche docente). Il primo ha aperto il proprio intervento affermando che l’Unione europea “ha fatto un unico grande errore, l’euro,
che non ha funzionato”. E ha continuato sparando alzo zero: “Quando è
stato creato l’euro tutti si rendevano conto che non erano state
soddisfatte le condizioni per una moneta condivisa, ma è stata una
iniziativa politica e non economica”. Con l’euro “si è dato vita a un
sistema inefficiente e intrinsecamente instabile, ma i suoi creatori non
hanno compreso la natura profonda delle distorsioni nell’economia”.
Che fare, dunque? “Oggi l’Europa deve effettuare una scelta, ma ci
sono solo due strade: una, quella che io mi auguro, è che ci sia una
riforma della struttura dell’eurozona, l’altra è quella di andare
avanti, facendo il minimo indispensabile, introducendo un minimo di
riforme per far sopravvivere l’euro”. L’auspicio del docente della
Columbia University “è che ci sia un cambiamento, ma questo non
succederà spontaneamente o se si continuano ad incolpare le vittime, i Paesi in crisi.
Se i cambiamenti non vengono introdotti, restare nell’euro costerà
tantissimo, e gran parte dell’Europa resterà in recessione, ma uscire
dall’euro sarà ugualmente molto costoso. Se proprio ci deve essere una
rottura dell’unione monetaria allora la via più facile sarebbe che la
Germania fosse la prima a dire addio. Questo aumenterebbe la
competitività degli altri Paesi”.
Lo studioso
americano ha messo in guardia anche contro i facili entusiasmi per
l’inizio della ripresa: “Oggi in molte parti dell’Europa si celebra la
fine della recessione e secondo alcuni questo dimostrerebbe che
l’austerità funziona, ma ciò non significa che ci sia una ripresa
solida”. “Quando ero capo economista alla Banca Mondiale – ha ricordato –
ci era stato detto di non utilizzare i termini recessione e depressione
perché erano ‘deprimenti’. Ma oggi l’Europa deve rendersi conto che
alcuni paesi sono in ‘depressione’: solo la Germania ha un pil pro
capite superiore a quello pre-crisi, mentre in Grecia la riduzione è
stata del 25%”. Per lo studioso “si tratta di un vero fallimento dell’economia di mercato,
persino negli Usa il reddito mediano oggi è più basso che 25 anni fa”.
Infine, affonda il colpo Stiglitz, “in qualsiasi altro contesto la
crescita tedesca sarebbe considerata ‘ridicola’: appena +0,63% in media
negli ultimi 5 anni. Peraltro la performance della Germania è scadente
se consideriamo che la sua crescita è basata sull’avanzo dei conti e
quindi non può essere emulata a livello mondiale”. E ancora: “Avrei
bocciato gli studenti che mi avessero sottoposto analisi come quelle
presentate dalla troika” nei paesi europei in crisi, perché l’organismo
in cui siedono Fondo monetario, Commissione Ue e Bce “anziché
riconoscere gli errori ha incolpato le vittime”. “Eppure – ha concluso –
erano i loro modelli a essere sbagliati: la loro idea di contrazione
espansionistica è un errore”.
Fitoussi si è concentrato invece sull’accordo riguardo alle nuove regole sui salvataggi delle banche in
crisi, che entreranno in vigore dal 2016. ”Vorrei un bail-in per i
poveri, non per le banche”, ha commentato, riferendosi al meccanismo - approvato dal Parlamento europeo a metà aprile e adottato dall’Ecofin il 5 maggio - in base al quale a pagare per evitare il fallimento di un istituto non saranno più i contribuenti, bensì azionisti, creditori della banca e correntisti (solo in ultima istanza e per una percentuale limitata). Ma Fitoussi – che peraltro siede nel consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo
– parlando a margine di un convegno alla Luiss non è entrato nel
dettaglio dell’accordo che costituisce il secondo pilastro dell’unione
bancaria europea. Ha detto solo che “non bisogna pagare più volte
i fallimenti dei sistemi finanziari, prima con la disoccupazione, poi
con l’aumento delle tasse e infine con l’intervento delle banche
centrali”. Al contrario, “bisogna piuttosto prendersi cura dei
correntisti, e del resto me ne frego”.
L’economista e docente Marcello Messori,
anche lui alla Luiss per il convegno, ha invece criticato il
meccanismo di bail-in sul piano dell’efficacia: “è sicuramente una rete
di protezione dinanzi a possibili crisi ma non credo sia
sufficientemente robusto” per gestire emergenze sistemiche, ha detto.
Giudizio “motivato da tre ragioni”: “la prima è che il fondo di
risoluzione delle crisi bancarie, che è in un certo senso privato,
essendo alimentato dalle banche, entrerà a regime solo in tempi lunghi:
insomma, se ci fosse una crisi bancaria dopo gli stress test non ci
sarebbero ancora risorse sufficienti” per gestirla. “Inoltre, penso che
un fondo di risoluzione di questo genere richieda comunque in ultima
istanza un backstop (“paracadute”, ndr) pubblico: il ruolo dell’Esm (il
meccanismo europeo di stabilità) a questo riguardo è ancora un po’ ambiguo e quindi temo che non ci sia un sufficiente sostegno pubblico”. Ma
soprattutto, per Messori, “il modo in cui è stato disegnato il bail-in
colpisce non solo i detentori di quote azionarie delle banche o di
titoli rischiosi, ma anche i detentori di obbligazioni”. E il rischio è
che ciò “possa alterare le passività delle banche in particolare nei
paesi periferici, e soprattutto in Italia”. “Senza garanzie – ha
osservato l’economista – le obbligazioni diventano in linea di principio
uno strumento molto rischioso, dal momento che chi le sottoscrive può
non essere in grado di valutarne la rischiosità”. Se l’accordo entrerà
in vigore senza modifiche, “non credo sarà possibile un funzionamento
del sistema bancario italiano come era prima della crisi, quando i
nostri istituti colmavano il divario fra prestiti e depositi con
l’emissione di obbligazioni”. Così, conclude Messori, “le banche non
potranno più avere il ruolo che avevano prima”.
p.s.
ora
due son le cose: o questi signori soffrono di una sorta di afasia fra
pensiero e quanto scritto nei loro saggi o, come al solito, i media
hanno distorto tutto.... propenderei per la prima perchè carta canta sia
nel caso della loro smentita sia in quanto è stato scritto nei loro
saggi: per Stiglitz, ad esempio nel saggio succitato
che sto, dopo qualche mese, finendo ora di leggere (è sempre un
economista e per giunta puntiglioso) ci sono interessanti paragrafi
dedicati all'europa. Per essere esatti: pagna 350 "fattore Grecia";
l'austerità pagina 364; pagina 401 la crisi dell'euro; l'ossessine
dell'inflazione pagina 407... per fare alcuni esempi. Potete comprare il
saggio o fidarvi, fate voi...
Nessun commento:
Posta un commento