da Lavoce. info a firma di Renata Targetti Lenti del 30.06.15
La
diseguaglianza non sempre crea incentivi ed è un riconoscimento del
merito. Anzi, spesso è vero il contrario e un’elevata diseguaglianza
nella distribuzione dei redditi si traduce in una diseguaglianza di
opportunità. Azione perequativa dello Stato, mobilità sociale e ruolo
dell’istruzione.
Qual è il rapporto tra merito e diseguaglianza?
Alberto Alesina nell’editoriale sul Corriere della Sera
del 19 giugno ha affrontato un tema molto importante qual è quello del
rapporto tra merito e diseguaglianza. Tra l’altro, l’autore afferma
che la “diseguaglianza crea incentivi”. E dunque dovrebbero essere
previsti riconoscimenti monetari per “uno scienziato che fa
un’importante scoperta” o per “un imprenditore che innova”. In questi
casi, la diseguaglianza dovrebbe essere considerata una condizione che facilita l’innovazione e il riconoscimento del merito.
Non sempre è così, tuttavia. Anzi, nella maggior parte dei casi accade
il contrario: una elevata diseguaglianza nella distribuzione dei
redditi si traduce in una diseguaglianza di opportunità e in una
significativa difficoltà ad accedere a elevati livelli d’istruzione per
una parte consistente della popolazione. È difficile allora che si
verifichino effetti positivi dalla diseguaglianza al merito.
In un’economia capitalistica avanzata, i divari nei livelli di
istruzione e di competenze professionali tra i diversi gruppi di
popolazione non sono solo il risultato dell’operare del libero mercato,
ma anche della distribuzione delle “capacità” individuali, e per questo
devono essere accettate. È, tuttavia, molto difficile che individui
“meritevoli” possano raggiungere posizioni, reddituali e non,
corrispondenti alle loro effettive capacità, se non viene assicurata
loro un’adeguata eguaglianza di opportunità.
Alesina sottolinea come
“ora, sia in Europa sia negli Stati Uniti, seppur in misura diversa,
esiste uno Stato sociale che protegge i meno abbienti ben più di quanto
lo si facesse nella prima metà del ’900”. Questo è sicuramente vero
per la maggior parte dei paesi europei, ma non è così vero per gli
Stati Uniti.
Una buona approssimazione dell’azione perequativa dello
Stato è data dalla differenza tra l’indice di Gini (una misura della
diseguaglianza) calcolato sui redditi disponibili (quindi dedotte le
imposte e aggiunti i trasferimenti) e lo stesso indice calcolato sui
redditi lordi di mercato. Ora, negli Stati Uniti, l’indice di Gini
calcolato sui redditi disponibili appare particolarmente elevato
rispetto a un campione di paesi europei, mentre quando è calcolato
sulla distribuzione dei redditi lordi di mercato non risulta di molto
superiore a quello della Spagna o delle nazioni scandinave ed è
addirittura inferiore a quello di Germania, Gran Bretagna, Grecia e
Irlanda. Ciò significa che la redistribuzione risulta meno efficace
negli Stati Uniti rispetto a quanto avviene negli altri paesi europei,
come mostra il “Luxembourg Income Study” ().
L’impoverimento della classe media
Negli
Stati Uniti non solo la diseguaglianza nei redditi disponibili è
elevata, ma è aumentata in questi ultimi anni. Come ha sottolineato
Joseph Stiglitz in numerosi interventi, ben il 93 per cento dei guadagni
della ripresa, tra il 2009 e il 2010, è stato percepito dai redditieri
che si collocano nell’1 per cento più ricco. Con la crescita dei
redditi dei percettori più ricchi, si è ridotta la quota percepita
dalla classe “media”. E del resto nell’ultimo discorso sullo stato dell’Unione. Barack
Obama ha espresso grande preoccupazione per l’impoverimento della
classe media. Per contrastarla, il presidente americano ha indicato tra
gli obiettivi della sua amministrazione nuove opportunità di studio e
di lavoro per la “classe media”, nonché una politica fiscale più equa e
l’introduzione di misure di sostegno per favorire l’istruzione dei
figli e la cura degli anziani. Già oggi il divario nei risultati delle
prove (test scores) tra bambini ricchi e poveri risulta del
30-40 per cento più ampio di quanto non fosse venticinque anni fa.
Questo significa che un’elevata diseguaglianza che colpisce anche la
classe media influisce negativamente sulle potenzialità individuali,
riducendo la mobilità sociale. Anche Alberto Alesina sottolinea come la
mobilità nei paesi europei sia “più alta che nella media Usa”.
Il tema delle relazioni tra diseguaglianza e mobilità sociale è stato trattato da Stiglitz al recente Festival dell’economia di Trento
nella “Inet Lecture”. Stiglitz ha affermato che gli Stati Uniti sono
diventati uno dei paesi più disuguali del mondo non solo con riferimento
ai redditi monetari, ma anche per quanto riguarda la “uguaglianza
delle opportunità (…). Le forze del mercato (tecnologia e
globalizzazione) hanno giocato un ruolo importante in queste dinamiche.
Ma la politica non ha fatto nulla per impedire l’esplosione delle
disuguaglianze, un fenomeno tutt’altro che inevitabile”.
Un
importante fattore di riduzione delle diseguaglianze è stato ed è
ancora l’istruzione. Tuttavia, da sola, può non essere sufficiente.
L’accesso ai gradi più elevati dell’istruzione è infatti costoso e le
categorie più povere, ma oggi anche gran parte della “classe media”, ne
vengono escluse. Per evitare che i gruppi che dispongono dei redditi e
della ricchezza più elevati siano i soli ad acquisire posizioni di
rilievo nella società, è necessario, dunque, introdurre una pluralità di
interventi alternativi ed eterogenei perché eterogenei sono i fattori
all’origine della diseguaglianza. Anche Thomas Piketty nel suo Le Capital au XXI siècle
afferma che una elevata diseguaglianza non è solo il risultato di forze
economiche ineluttabili, bensì il prodotto delle politiche. Un livello
di diseguaglianza elevato può rappresentare un freno per la crescita,
poiché si traduce in una riduzione del capitale umano e in minori
opportunità per le prossime generazioni. Dunque, insieme a incentivi per
favorire l’emersione del merito occorrono anche correttivi del livello
della diseguaglianza attraverso politiche adeguate.
-----
p.s.
lo trovo un punto di vista estremamente interessante
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