30/06/2015 di triskel182
L’economista
Paul Krugman spiega oggi con parole semplici, su “Repubblica”, il
senso profondo del referendum greco: la cittadinanza di quel Paese,
infatti, finora ha sempre espresso il desiderio di rimanere agganciata
all’Europa e alla sua moneta, ma ha considerato dannosi e indigeribili i
provvedimenti che l’Europa stessa le chiedeva in cambio. Adesso quella
cittadinanza è chiamata a stabilire quale delle due cose è
prioritaria: insomma è costretta a scegliere.
O di qua o di là: tertium non datur,
almeno non in questa Europa e in questa moneta unica. Non in un
contesto dove comandano Lagarde, Merkel e Schäuble. Non quando un Paese
di soli 11 milioni di abitanti e con un’economia strutturalmente
debolissima che ha tutti gli altri 18 Paesi contro. Quindi non ha la
forza per cambiarne le regole e i trattati.
È un po’ un’ironia
della sorte che sia un governo “di estrema sinistra” a mettere i greci
di fronte a questo bivio chiaro, evitato da tutti gli esecutivi
precedenti: ma si sa che la storia spesso si prende gioco della
politica – e di tutti noi.
In ogni caso, già la fine di questo
equivoco basterebbe a far capire che il referendum in questione è non
solo politicamente legittimo, ma forse addirittura necessario.
Ai greci in sostanza viene detto: ragazzi, l’Europa e l’euro sono
questa roba qui, noi da soli non abbiamo la forza di cambiarli, a
questo punto sta a noi decidere o dentro o fuori.
In questo
senso, è curioso come nei giorni scorsi diversi commentatori e semplici
cittadini abbiano criticato la decisione greca di andare a referendum,
quasi fosse un modo con cui Tsipras ha evitato di prendere una
decisione, scaricandosi dalle responsabilità.
A chi ragiona in
questo modo forse non è chiaro che per la Grecia si tratta di una
decisione di importanza epocale, probabilmente superiore a quella con
cui noi italiani nel 1946 optammo (con un referendum, appunto) tra
monarchia e repubblica. Consultare il popolo nei momenti di passaggio
storici è, con ogni evidenza, una vittoria della democrazia, anzi ne è
una condizione igienica di base.
Ma la democrazia è evidentemente una cosa a cui parecchi di noi, qui, non sono più molto abituati.
Altri
– ho letto – hanno invece parlato a caldo di un “plebiscito
patriottico” dall’esito scontato – e anche questa è un’interpretazione
molto mal fondata. Intanto perché non è un plebiscito: in questi lunghi
mesi di trattative in Grecia c’è stato tutto il tempo per quella
“elaborazione del consenso o del dissenso” che (come insegna
Zagrebelsky) distingue il plebiscitarismo dalla democrazia consapevole.
In secondo luogo perché la vittoria del No “patriottico” non è affatto
certa, anzi al momento i sondaggi danno in testa il Sì.
Il che,
personalmente, mi stupisce pochissimo, per le stesse ragioni di cui
sopra. Cioè perché i rapporti di forza sono straordinariamente
sfavorevoli per il popolo che il 5 luglio andrà alle urne. Che si
ritrova circondato non solo da governi e poteri extrapolitici compatti
nell’imporre le vecchie regole, ma anche da opinioni pubbliche europee
convinte che i greci siano “i parassiti dell’Europa”, quindi pochissimo
interessate a fare pressioni affinché la Grecia possa scegliere da sola
il modo con cui ripagare i debiti.
La storia del parassitismo,
del vivere al di sopra delle proprie possibilità, è un altro paradosso
della storia. Perché era fondata proprio quando ad Atene comandavano
gli amici della Troika, che in questo modo ottenevano i consensi al
proprio partito e ceto politico.
Ma adesso non è più così e basta vedere i numeri: la spesa pubblica è (in rapporto al Pil) di 0,9 punti inferiore
a quella italiana e di appena 0,3 punti superiore alla media Eurozona: e
ciò nonostante in Grecia il Pil sia in caduta libera dal 2008.
Anche
la famosa spesa per le pensioni è (sempre in rapporto a un Pil sempre
più basso) di soli 4 decimali di punto superiore a quella italiana: in
un Paese dove con una pensione ormai ci campano in cinque o sei, quindi
la loro riduzione implicherebbe una miseria ancor più diffusa, un
crollo di consumi ancora più drastico. E in un Paese dove l’attuale
governo, in ogni caso, aveva già accettato un graduale aumento dell’età
pensionabile, quindi un’ulteriore riduzione della spesa.
In
sintesi, oggi greci non vivono più “al di sopra delle proprie
possibilità”. Anzi, vivono al di sotto di quelle che sarebbero le loro
possibilità se non ci fosse stato l’obbligo di pagare interessi alti su
un debito contratto dai predecessori di Tsipras per pascolare con le
clientele il loro consenso.
Detto tutto questo – cioè l’isolamento
della Grecia, i rapporti di forza così sfavorevoli rispetto ai grandi
poteri e il bivio implacabile a cui il Paese è costretto – confesso che
io stesso, se fossi un cittadino greco, da padre di famiglia sarei
molto incerto tra l’opposizione alle pessime ricette imposte dalla
Troika e il timore di acque del tutto incognite.
A cui
probabilmente alla fine affiderei le mie speranze di cambiamento –
visti i disastri determinati finora da quelle ricette – ma non senza
averci passato diverse notti in bianco.
E voi, se foste greci?
Da gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it
p.s. (MIO)
ecco la domanda:
E VOI, SE FOSTE GRECI?
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