martedì 30 giugno 2015

E voi, se foste greci?

30/06/2015 di triskel182
L’economista Paul Krugman spiega oggi con parole semplici, su “Repubblica”, il senso profondo del referendum greco: la cittadinanza di quel Paese, infatti, finora ha sempre espresso il desiderio di rimanere agganciata all’Europa e alla sua moneta, ma ha considerato dannosi e indigeribili i provvedimenti che l’Europa stessa le chiedeva in cambio. Adesso quella cittadinanza è chiamata a stabilire quale delle due cose è prioritaria: insomma è costretta a scegliere.
O di qua o di là: tertium non datur, almeno non in questa Europa e in questa moneta unica. Non in un contesto dove comandano Lagarde, Merkel e Schäuble. Non quando un Paese di soli 11 milioni di abitanti e con un’economia strutturalmente debolissima che ha tutti gli altri 18 Paesi contro. Quindi non ha la forza per cambiarne le regole e i trattati.
È un po’ un’ironia della sorte che sia un governo “di estrema sinistra” a mettere i greci di fronte a questo bivio chiaro, evitato da tutti gli esecutivi precedenti: ma si sa che la storia spesso si prende gioco della politica – e di tutti noi.
In ogni caso, già la fine di questo equivoco basterebbe a far capire che il referendum in questione è non solo politicamente legittimo, ma forse addirittura necessario. Ai greci in sostanza viene detto: ragazzi, l’Europa e l’euro sono questa roba qui, noi da soli non abbiamo la forza di cambiarli, a questo punto sta a noi decidere o dentro o fuori.
In questo senso, è curioso come nei giorni scorsi diversi commentatori e semplici cittadini abbiano criticato la decisione greca di andare a referendum, quasi fosse un modo con cui Tsipras ha evitato di prendere una decisione, scaricandosi dalle responsabilità.
A chi ragiona in questo modo forse non è chiaro che per la Grecia si tratta di una decisione di importanza epocale, probabilmente superiore a quella con cui noi italiani nel 1946 optammo (con un referendum, appunto) tra monarchia e repubblica. Consultare il popolo nei momenti di passaggio storici è, con ogni evidenza, una vittoria della democrazia, anzi ne è una condizione igienica di base.
Ma la democrazia è evidentemente una cosa a cui parecchi di noi, qui, non sono più molto abituati.
Altri – ho letto – hanno invece parlato a caldo di un “plebiscito patriottico” dall’esito scontato – e anche questa è un’interpretazione molto mal fondata. Intanto perché non è un plebiscito: in questi lunghi mesi di trattative in Grecia c’è stato tutto il tempo per quella “elaborazione del consenso o del dissenso” che (come insegna Zagrebelsky) distingue il plebiscitarismo dalla democrazia consapevole. In secondo luogo perché la vittoria del No “patriottico” non è affatto certa, anzi al momento i sondaggi danno in testa il Sì.
Il che, personalmente, mi stupisce pochissimo, per le stesse ragioni di cui sopra. Cioè perché i rapporti di forza sono straordinariamente sfavorevoli per il popolo che il 5 luglio andrà alle urne. Che si ritrova circondato non solo da governi e poteri extrapolitici compatti nell’imporre le vecchie regole, ma anche da opinioni pubbliche europee convinte che i greci siano “i parassiti dell’Europa”, quindi pochissimo interessate a fare pressioni affinché la Grecia possa scegliere da sola il modo con cui ripagare i debiti.
La storia del parassitismo, del vivere al di sopra delle proprie possibilità, è un altro paradosso della storia. Perché era fondata proprio quando ad Atene comandavano gli amici della Troika, che in questo modo ottenevano i consensi al proprio partito e ceto politico.
Ma adesso non è più così e basta vedere i numeri: la spesa pubblica è (in rapporto al Pil) di 0,9 punti inferiore a quella italiana e di appena 0,3 punti superiore alla media Eurozona: e ciò nonostante in Grecia il Pil sia in caduta libera dal 2008.
Anche la famosa spesa per le pensioni è (sempre in rapporto a un Pil sempre più basso) di soli 4 decimali di punto superiore a quella italiana: in un Paese dove con una pensione ormai ci campano in cinque o sei, quindi la loro riduzione implicherebbe una miseria ancor più diffusa, un crollo di consumi ancora più drastico. E in un Paese dove l’attuale governo, in ogni caso, aveva già accettato un graduale aumento dell’età pensionabile, quindi un’ulteriore riduzione della spesa.
In sintesi, oggi greci non vivono più “al di sopra delle proprie possibilità”. Anzi, vivono al di sotto di quelle che sarebbero le loro possibilità se non ci fosse stato l’obbligo di pagare interessi alti su un debito contratto dai predecessori di Tsipras per pascolare con le clientele il loro consenso.
Detto tutto questo – cioè l’isolamento della Grecia, i rapporti di forza così sfavorevoli rispetto ai grandi poteri e il bivio implacabile a cui il Paese è costretto – confesso che io stesso, se fossi un cittadino greco, da padre di famiglia sarei molto incerto tra l’opposizione alle pessime ricette imposte dalla Troika e il timore di acque del tutto incognite.
A cui probabilmente alla fine affiderei le mie speranze di cambiamento – visti i disastri determinati finora da quelle ricette – ma non senza averci passato diverse notti in bianco.
E voi, se foste greci?
Da gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it
p.s. (MIO)
ecco la domanda:

E VOI, SE FOSTE GRECI?

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