Dal Fatto Quotidiano del 4 ottobre 2015 a firma di Loretta Napoleoni
La
crisi medio-orientale non accenna a migliorare. Putin è intervenuto,
some sempre facendo tutto di testa propria e proteggendo i suoi
interessi, sfruttando la riunione straordinaria tenutasi pochi giorni fa presso le Nazioni Unite per discutere come debellare lo Stato Islamico.
Ed ecco la risposta russa: potenziando il regime di Assad, quello che
ha risposto alla primavera araba siriana con le pallottole. Da alcuni
giorni i cieli della Siria sono attraversati anche dai caccia russi, che
ufficialmente combattano contro l’Isis ma de facto bombardano
qualsiasi postazione ribelle. Naturalmente dalla Casa Bianca
arrivano le solite parole di condanna ma intanto Putin non solo le
ignora ma ha ricominciato a tessere la tela di ragno delle relazioni
diplomatiche intorno ai poteri europei che contano, e cioè la Francia e
la Germania. I motivi li conosciamo tutti: normalizzare la situazione
in Ucraina e risolvere la questione delle sanzioni.
Colpisce l’impotenza degli Stati Uniti
di fronte a Putin, e questa non è la prima volta che ciò succede tanto
che viene da domandarsi dopo un quarto di secolo dalla caduta del Muro
di Berlino se non ci siamo sbagliati su chi ha vinto la guerra fredda,
ma questa è una questione che richiede un’analisi a parte. Per ora
concentriamoci su a chi fa comodo l’entrata ufficiale russa nel
conflitto siriano? Naturalmente ad Assad. Dopo quattro anni di guerra civile e la perdita del nord del paese, l’esercito siriano a mala pena può contare su 90 mila soldati, prima dello scoppio delle ostilità ne aveva 300 mila.
Nonostante gli approvvigionamenti russi ed il supporto degli Iraniani
attraverso gli Hezbollah, armi, caccia e piloti scarseggiano. Fa dunque
comodo avere l’aviazione russa centrare con la precisione di un
cecchino gli obiettivi giusti. Questi si chiamano la coalizione
jihadista di Jaysh al Fateh, l’armata della vittoria, di cui fa parte
anche al Nusra.
Indirettamente i bombardamenti russi sono positivi anche per lo Stato
Islamico, in fondo colpiscono i suoi nemici, e cioè tutti i gruppi
armati finanziati dai paesi del golfo e dalla grande coalizione
occidentale che lo combattono. Ma c’è un altro aspetto che non va
sottovalutato: più le bombe cadono più la gente scappa verso la Turchia,
e l’Isis controlla i punti strategici di passaggio tra le due nazioni.
Per ogni profugo che lascia la Siria i trafficanti di uomini pagano
una tassa. Ma non basta, le bombe fanno anche bene al contrabbando, più
si distrugge e più c’è bisogno di importare i beni di necessità
basilari dalla farina ai medicinali al petrolio. L’Isis non solo
contrabbanda questi prodotti, ad esempio il petrolio o le derrate
agricole prodotti nei territori che controlla, ma tassa chi li smercia.
A
detta di un negoziatore europeo che ha contrattato il pagamento del
riscatto di alcuni ostaggi nelle mani dell’Isis nel 2014, ogni mese
questa tassazione genera dai 300 mila ai 500 mila dollari per lo Stato
Islamico. Si tratta di cifre da capogiro all’interno del conflitto
siriano.
Anche la Russia ha il suo tornaconto. Definita la guerra santa da Putin, l’ingresso ufficiale di Mosca
nel conflitto siriano rappresenta l’appendice di quello Ceceno. I
veterani sopravvissuti si sono spostati in Siria già da qualche anno e
adesso le forze fedeli a Putin domandano di poter seguirli per finire
questa brutta storia una volta per tutte. Ma per ora anche Putin non
intende spargere sangue russo. Certo tutto è possibile in questa moderna
guerra per procura che a poco a poco sta riassumendo le
caratteristiche di quelle classiche della guerra fredda.
Se nessuno fermerà Putin e se gli occidentali non la smetteranno di bombardare, l’esodo dei profughi continuerà con conseguenze umanitarie e politiche serissime per l’Europa ed il Medio Oriente.
Possibile che la situazione sia sfuggita di mano a tutti? Tutte le
parti in causa sono talmente concentrate a difendere la propria immagine
mediatica ed a nascondere le politiche scellerate che hanno prodotto
questa aberrazione da dimenticare lo scopo del conflitto: esportare la democrazia nel Medio Oriente. Impresa già fallita diverse volte negli ultimi 15 anni proprio per gli stessi motivi!
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