dal Fatto Quotidiano a firma di Cesare Sacchetti del 10 novembre 2015
Ci risiamo. La pièce tragica dell’estate scorsa sul destino della Grecia e dell’eurozona, si arricchisce di nuovi capitoli. Chi credeva che si fosse giunti alla sua conclusione dopo la farsesca accettazione del terzo bail-out l’estate scorsa, rimarrà deluso. Qualche economista assennato avevano invano provato a denunciare le condizioni palesi di insostenibilità
di quel piano, e di come la sua implementazione avrebbe portato
rapidamente il rapporto tra debito e Pil al di sopra del 200%. Ma questo
forse sarebbe il male minore dal punto di vista macroeconomico, dal
momento che un’austerità che prevede la privatizzazione degli aeroporti
(incidentalmente comprati da compagnie tedesche),una riforma delle
pensioni che sposta ancora più in là l’asticella dell’età pensionabile
e un obbiettivo di bilancio fiscale fissato al 3.5% di avanzo primario,
porterebbe con ogni probabilità il seme della rivolta nelle strade di
Atene. L’esecuzione del terzo bail-out da parte della Grecia è
semplicemente impraticabile, e la conferma è arrivata proprio ieri
quando l’Eurogruppo ha rifiutato di versare nelle casse greche 2 degli 86 miliardi di euro,
che costituirebbero il terzo pacchetto di prestiti. Come ha annunciato
lo stesso Dijsselbloem, il perito agrario che presiede l’Eurogruppo,
la Grecia non ha attuato un soddisfacente piano di riforme strutturali e
“i 2 miliardi saranno pagati solo una volta che le istituzioni daranno
il via libera quando tutte le azioni che sono state concordate,
saranno realizzate, ma tutto questo non si è ancora verificato”.
Quali sono i termini dell’accordo che separano le due parti? Il nodo più difficile da scogliere riguarda la questione dei non-performing loans, quei prestiti difficili da recuperare e divenuti merce avariata per le banche greche
che li hanno concessi, e che costituiscono un serio intralcio alla
concessione di ulteriori aiuti da parte delle istituzioni europee. Le
più importanti banche greche come National Bank of Greece, Piraeus Bank,
Alpha Bank e Eurobank detengono 107 miliardi di euro di Npl, e
l’esposizione totale dei crediti deteriorati greci rappresenta il 34%
dei crediti complessivi. Una percentuale altissima, con la complicazione
che questi crediti sono in buona parte dei mutui concessi per
l’acquisto delle case di proprietà di molti greci. Il governo greco ha
proposto una rateizzazione in 100 tranche di questi
crediti per impedire che i debitori perdano la proprietà delle loro
case, senza rinunciare alla deroga di 26 giorni per onorare gli
eventuali pagamenti mancati. Un termine giudicato troppo generoso
dall’Eurogruppo, che lo vorrebbe ridotto a un solo giorno di ritardo,
senza la concessione di ulteriori deroghe. La soluzione proposta dai
creditori internazionali, metterebbe nelle condizioni di restituire i
prestiti solamente il 20% dei mutuatari, mentre il governo greco
vorrebbe ammorbidire le condizioni dell’Eurogruppo per tutelare almeno
il 50% dei proprietari. Se le banche greche vorranno la ricapitalizzazione delle loro perdite, dovranno necessariamente concedere qualcosa in questo senso.
A
voler essere pedanti, la colpa di tale situazione non è tanto dei
creditori internazionali, che in fondo altro non fanno che osservare i
propri interessi a qualunque costo, come hanno dimostrato ampiamente in
passato con il governo Samaras. L’accordo firmato ad agosto
prevedeva espressamente l’impegno del governo greco “per aggiornare le
proprie procedure di bancarotta, tra le quali quelle per fare fronte ai
non performing loans arretrati” fino a prevedere
esplicitamente l’adozione di una normativa per permettere di affrontare
le eventuali situazioni di insolvenza. La responsabilità di questa
situazione è del premier Tsipras, che ha accettato di
firmare un accordo irricevibile, tanto da sovvertire completamente
l’esito del referendum da lui stesso indetto.
In buona sostanza,
nulla è cambiato dalle burrascose condizioni dell’estate passata,
quando si era giunti ad un passo dalla rottura definitiva delle
trattative e alla conseguente uscita della Grecia dall’Eurozona. La Grecia non è in grado di rispettare quel programma, né può permanere in queste condizioni dentro l’eurozona, senza che le venga concesso un robusto hair-cut
sul suo debito e una dilazione alle condizioni degli obbiettivi
strutturali di bilancio, che persistono in impossibili avanzi fiscali e
sopprimono qualsiasi possibilità di crescita del PIL greco. La
posizione più lineare era stata assunta proprio dal falco Schauble,
quel Ministro delle Finanze accostato dai suoi detrattori ad un novello
dottor Stranamore infatuato della potenza dell’austerity, ma che dal
suo punto di vista aveva mantenuto una coerenza di pensiero. Se la
Grecia non è in grado di sostenere l’austerity, che esca e cammini con
le sue gambe. Su questo si smarca sempre più nettamente la Francia, che
inizia a mostrare segni sempre più tangibili di insofferenza nei
confronti dello strapotere tedesco, dopo che il ministro delle Finanze
francese Sapin ha fatto sapere che la Grecia “ha già fatto
considerevoli sforzi”, e spingendo in tal senso per l’accoglimento
delle richieste greche.
Ora arriva l’ultimo grottesco tentativo
del governo greco di acquisire un qualche peso negoziale in Europa,
giocandosi la carta dei migranti. La Grecia sarebbe
disposta ad aprire un passaggio per i migranti ad Evros, nel nord-est
del paese, pur di ottenere in cambio un po’ di ossigeno dai suoi
creditori e consentirle di tirare a campare per qualche altra
settimana. Se queste sono le strategie del nuovo
governo Tsipras, non c’è da stare troppo allegri e non stupirebbe
assistere nuovamente ad una piega drammatica di questa vicenda, ma il
buon senso sembra essere passato di moda da un bel pezzo.
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